Nuova bozza Recovery: raddoppia sanità, entra l’idrogeno, crescono digitalizzazione e innovazione

di Filippo Astone e Chiara Volontè ♦︎ Nel Pnrr, Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, la transizione ecologica rimane la prima voce con poco meno di 70 miliardi; previsti 2 miliardi per l'idrogeno. Per la salute, come confermato da Speranza, si sfiorano i 20 miliardi. Preoccupano la mancanza di un disegno di largo respiro, lo scarso rilievo per l'industria e l'illusione di affidare la trasformazione dell'economia italiana a una miriade di sussidi e micro-interventi

In attesa di capire come si evolverà la crisi di Governo che diventa con il passare delle ore sempre più concreta, quello che è certo è che in questi giorni si dovrà mettere definitivamente un punto al Recovery Plan o Pnrr, Piano nazionale di ripresa e resilienza. Le prime bozze circolano da mesi, ma nelle ultime settimane si sono cambiate alcune voci di spesa. Pur lasciando inalterata una filosofia che, come hanno scritto Claudio De Vicenti e Stefano Micossi sul Sole 24 Ore del 12 gennaio di «affidare la trasformazione dell’economia italiana a una miriade di sussidi e micro-interventi». Lasciano perplessi le decine di miliardi per equità sociale, parità di genere e categorie svantaggiate, che non sembrano avere alcuna ricaduta di medio termine chiara e forte sulla crescita economica. E soprattutto, si sente la mancanza di un ambizioso disegno di crescito e cambiamento, del quale ci sarebbe un disperato bisogno.

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Va detto, innanzitutto, che l’impianto complessivo è rimasto sostanzialmente invariato e che le modifiche più significative sono davvero poche. Primo e più importante cambiamento: alla salute verranno destinati 19,72 miliardi, più del doppio di quanto previsto dalle prime possibilità filtrate dall’esecutivo. Se questo incremento della dotazione sia il prodromo alla definitiva rinuncia al Mes – anch’esso pietra dello scandalo tra i renziani e la linea oltranzista del Movimento 5 Stelle – o un necessario adeguamento alle esigenze del paese lo si vedrà nelle prossime settimane. Quello che però appare evidente è l’urgenza di stanziare risorse per l’ampliamento delle terapie intensive e per l’assunzione di personale: a oggi, infatti, il numero di pazienti Covid nelle Icu è ancora superiore alla soglia limite del 30%, con i problemi che ne conseguono anche per le altre patologie. Se però questo incremento significativo delle risorse destinate alla salute e alla sanità volessero dire dare l’addio al Mes, allora non potremmo che segnalare che si tratta di un grave errore. Un prestito a tassi prossimi allo zero, di 36 miliardi, subito disponibili (e non in cinque anni), per di più con l’obbligo di essere investiti nella sanità, sarebbe un vero e proprio regalo che solo la furia iconoclasta di alcune parti politiche potrebbe rifiutare ottusamente. Inoltre, si libererebbero risorse del Recovery da destinare a investimenti produttivi di quella crescita economica che è indispensabile per consentire al Paese di sopravvivere, pagando anche gli ingenti interessi sul debito pubblico più alto d’Europa (dopo il Covid siamo a quota 2.500 miliardi rispetto ai 2.000 di prima, 42 mila euro per italiano, lattanti inclusi) che rappresenta un vero e proprio cappio al collo di cui molti non vogliono rendersi contro. Senza una crescita robusta di medio termine, il Paese sarà esposto a una crisi finanziaria tale da provocare l’arrivo di un nuovo Mario Monti nel giro di poco, con conseguente macelleria sociale e taglio di welfare, scuola, pensioni e diritti dei più deboli. Le categorie sociali (donne, anziani, svantaggiati, giovani, Sud) che si finge di voler proteggere con i micro-interventi e i sussidi sono in realtà quelle che potrebbero venire più massacrate da questa possibile evoluzione, tutt’altro che improbabile. 







La nuova bozza del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza si articola in sei voci di spesa per complessivi 222,9 miliardi, di cui 144,2 per nuovi interventi. Ma la cifra in fondo al piano raggiunge i 310 miliardi se si considera il periodo 2021-2026 in cui è stata conteggiata anche la programmazione di bilancio.

Sono 6 le missioni del Pnrr, che a loro volta raggruppano 16 componenti funzionali a realizzare gli obiettivi economico-sociali definiti nella strategia del Governo. Le componenti si articolano in 47 linee di intervento per progetti omogenei e coerenti. I singoli progetti di investimento sono stati selezionati secondo criteri volti a concentrare gli interventi su quelli trasformativi, a maggiore impatto sull’economia e sul lavoro. A tali criteri è stata orientata anche l’individuazione e la definizione sia dei “progetti in essere” che dei “nuovi progetti”. Per ogni missione, come indicato nella Parte II del documento, sono indicate le riforme necessarie a una più efficace realizzazione, collegate all’attuazione di una o più componenti. Le sei missioni del Piano rappresentano aree “tematiche” strutturali di intervento: 1. Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura; 2. Rivoluzione verde e transizione ecologica; 3. Infrastrutture per una mobilità sostenibile; 4. Istruzione e ricerca; 5. Inclusione e coesione; 6. Salute.

Sono 6 le missioni del Pnrr, che a loro volta raggruppano 16 componenti funzionali a realizzare gli obiettivi economico-sociali definiti nella strategia del Governo. Le componenti si articolano in 47 linee di intervento per progetti omogenei e coerenti. I singoli progetti di investimento sono stati selezionati secondo criteri volti a concentrare gli interventi su quelli trasformativi, a maggiore impatto sull’economia e sul lavoro. Le sei missioni del Piano rappresentano aree “tematiche” strutturali di intervento: 1. Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura; 2. Rivoluzione verde e transizione ecologica; 3. Infrastrutture per una mobilità sostenibile; 4. Istruzione e ricerca; 5. Inclusione e coesione; 6. Salute

 

Transizione ecologica, digitalizzazione e infrastrutture: i 3 pilastri del Pnrr

Al primo posto delle voci di spesa, comunque, rimane la cosiddetta Rivoluzione Verde e Transizione ecologica, cui saranno destinati 68,9 miliardi. Si tratta di una parte fondamentale degli accordi con l’Europa, che ha scelto di puntare in maniera decisa sul Green New Deal. E il motivo è molteplice: la riduzione delle emissioni, infatti, rappresenta un modo per evitare ulteriori catastrofi ambientali, che hanno un costo enorme per la collettività. Nel piano si legge che «occorre migliorare l’efficienza energetica e nell’uso delle materie prime delle filiere produttive, degli insediamenti civili e degli edifici pubblici e la qualità dell’aria nei centri urbani e delle acque interne e marine. La riconversione ecologica può e deve rappresentare anche un terreno di nuova competitività per molta parte del nostro sistema produttivo. Servono grandi investimenti per indirizzare le filiere industriali dell’energia, dei trasporti, della siderurgia, della meccanica e della manifattura in generale verso prodotti e processi produttivi efficienti riducendo gli impatti ambientali in misura importante, in linea con i più ambiziosi traguardi internazionali in materia, così come sono necessari investimenti nell’agricoltura sostenibile e di precisione, e nell’economia circolare, a partire dal Mezzogiorno, permettendo di conseguire una maggiore armonia con la natura, pur nel contesto di una società a forte vocazione industriale. Gli investimenti sull’economia circolare intervengono su un processo volto a produrre materie prime secondarie da materiali di scarto per rendere l’Italia meno dipendente dall’approvvigionamento di materie prime e conseguentemente più forte e competitiva sui mercati internazionali». Per l’idrogeno sono previsti due miliardi, con una serie di progetti che spazieranno dalla produzione di “green” idrogeno in aree industriali dismesse fino all’impiego di questo mezzo di combustione sia per i trasporti pesanti su ruota, sia per le ferrovie. Per la produzione e distribuzione di rinnovabili e sostegno alla filiera industriale dovrebbero essere previsti circa 8 miliardi. Un impegno di poco inferiore (7,5 miliardi) dovrebbe riguardare il pacchetto relativo a “Trasporti locali sostenibili, ciclovie e rinnovo parco rotabile”.

La seconda voce più significativa è quella destinata alla digitalizzazione. Questi interventi che valgono poco meno di 50 miliardi si articolano su tre componenti: modernizzazione della pubblica amministrazione, innovazione delle imprese, incremento dell’attrattività del turismo. «Il digitale non è un settore a sé, ma è il principale driver di trasformazione della manifattura, dei servizi, del lavoro. La digitalizzazione e l’innovazione di processi, prodotti e servizi, caratterizzano ogni politica di riforma del Piano, dal fisco alla pubblica amministrazione. E coinvolgono il rafforzamento delle infrastrutture sociali e delle infrastrutture critiche, oltre alla ripresa delle attività culturali e turistiche. L’Unione Europea, stabilendo il target digitale di almeno il 20% per la Recovery and Resilience Facility, ha promosso gli investimenti in tecnologie, infrastrutture e processi digitali degli Stati membri, per aumentare la competitività europea su scala globale e per favorire la diversificazione e la resilienza delle catene del valore europee. In questo ambito – si legge nel Piano -, lo sviluppo di un cloud nazionale e la effettiva interoperabilità delle banche dati delle Pa avviene in parallelo e in sinergia con il progetto europeo Gaia-X, dove l’Italia intende avere un ruolo di primo piano. Sfruttando anche la digitalizzazione va sviluppato un “Programma di innovazione strategica della Pa». La seconda componente, riguarda l’innovazione e la digitalizzazione delle imprese (Transizione 4.0), ivi comprese quelle del comparto editoria e della filiera della stampa, la realizzazione di reti ultraveloci in fibra ottica, 5G ed investimenti per il monitoraggio satellitare. In quest’ottica, gli incentivi fiscali inseriti nel Pnrr sono riservati alle imprese che investono in beni strumentali, materiali ed immateriali, necessari ad un’effettiva trasformazione digitale dei processi produttivi, nonché alle attività di ricerca e sviluppo connesse a questi investimenti. Si prevedono inoltre progetti per sostenere lo sviluppo e l’innovazione del Made in Italy, delle catene del valore e delle filiere industriali strategiche, nonché la crescita dimensionale e l’internazionalizzazione delle imprese, anche attraverso l’utilizzo di strumenti finanziari a leva. La terza componente, mira ad incrementare l’attrattività del sistema turistico e culturale del Paese attraverso la modernizzazione delle infrastrutture materiali e immateriali, la formazione ed il potenziamento delle strutture ricettive attraverso investimenti in infrastrutture e servizi turistici strategici e il finanziamento dei progetti dei Comuni per investimenti su luoghi identitari sul proprio territorio (inclusi interventi sul patrimonio artistico-culturale di Roma in occasione del Giubileo)». Il piano Transizione 4.0 dovrebbe essere profondamente rivisto: ci saranno, infatti, meno agevolazioni per i beni strumentali tradizionali mentre gli aiuti per la digitalizzazione delle imprese verranno aumentati. Queste modifiche dovrebbero entrare in un decreto legge che il governo dovrebbe varare alla fine del mese. Ci sarà una clausola per evitare incertezze tra le imprese: le maggiorazioni per l’acquisto di beni digitali saranno comunque retroattive, e scatteranno per investimenti effettuati a partire dal 16 novembre 2020, la stessa data di avvio del Piano prevista dalla manovra di bilancio.
Per quanto riguarda i centri di trasferimento tecnologico, verrà dato spazio a sette nuove strutture che fungano da “terra di frontiera” nello sviluppo delle novità. Verranno riorganizzati anche i centri già esistenti e, con la collaborazione tra Mise e Miur, verranno attivati dottorati innovativi per le imprese e indirizzo dei ricercatori nelle aziende. Spazio ad appalti pubblici innovativi nei settori della salute, della mobilità e dell’economia circolare, accordi per l’innovazione tra Stato e imprese, finanziamento della partecipazione italiana a iniziative europee come gli Ipcei (Important Projects of Common European Interest). Un progetto a parte riguarda il completamento del Piano banda ultralarga. Infine, per quello che concerne il bonus al 110% che dovrebbe dare una spinta all’edilizia, sono stati stanziati 6 miliardi, un miliardo in più di quanto contenuto nella precedente bozza. Ma la cifra stanziata è insufficiente per arrivare fino al 2023 come nelle intenzioni di alcuni membri del governo.

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza si articola in sei voci di spesa per complessivi 222,9 miliardi, di cui 144,2 per nuovi interventi. Ma la cifra in fondo al piano raggiunge i 310 miliardi se si considera il periodo 2021-2026 in cui è stata conteggiata ancjhe la programmazione di bilancio

Il terzo capitolo di spesa più “corposo” è quello dedicato alle infrastrutture e alla mobilità sostenibile, cui saranno destinati 31,98 miliardi. «Una specifica linea di azione – si legge ancora nel documento – è rivolta allo sviluppo della mobilità sostenibile attraverso il potenziamento delle infrastrutture per il trasporto rapido di massa e delle ciclovie e a un imponente rinnovamento del parco circolante di mezzi per il trasporto pubblico locale. Enti locali e regioni saranno un attore fondamentale nella definizione e implementazione di questa linea di azione».














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