Quarta rivoluzione industriale/ E se a guidarla fosse la comunità scientifica?

Lavoro sulle nanotecnologie
Lavoro sulle nanotecnologie

di Patrizio Bianchi ♦ L’economista dei sistemi industriali spiega perché alla community che sviluppa tecnologie destinate a Industry 4.0  debba essere riconosciuto un ruolo cruciale. Quello di motore della convergenza ricerca-educazione-produzione. Per superare i rischi delle frammentazioni nazionali e i monopoli produttivi da “privatizzazione” dei risultati scientifici

Industria 4.0 non deve essere vista solo dal punto di vista tecnologico come la robotizzazione della produzione o la interconnessione digitale delle fasi produttive, ma come la capacità di far convergere tutte le tecnologie che la scienza oggi riesce a sviluppare per dare risposte personalizzate in grandi numeri ad una “nuova” domanda che ha una estensione di mercato globale. In questo senso ha dunque ben ragione chi si riferisce alla nuova organizzazione della produzione, definita come Industria 4.0, o Digital production mass, come una rivoluzione.







Robot al lavoro
Robot al lavoro

Tuttavia bisogna rilevare che la rivoluzione industriale, che pure può essere rappresentata dalla sua tecnologia di riferimento – i classici avrebbero detto dal suo elemento ordinatore – non si riduce al suo elemento tecnologico strutturante ma alla complessa relazione fra bisogni emergenti e capacità di risposta in termini produttivi. Una rivoluzione che si basa non su una sola tecnologia dominante ma su un insieme di tecnologie convergenti.

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”Il dato probante di questa rivoluzione industriale è la complessità sia della offerta che della domanda. Nel contempo questa rivoluzione si basa non su una sola tecnologia dominante ma su un insieme di tecnologie convergenti ed abilitanti una produzione di beni e servizi che deve misurarsi con il senso stesso della globalizzazione

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Quindi la rivoluzione industriale in corso – la quarta, come identifica una sempre più vasta letteratura – va intesa come una completa trasformazione strutturale che modifica le dotazioni di capitale fisico ed umano, e quindi le conoscenze e le competenze, che caratterizzano la organizzazione produttiva agendo nel contempo sugli stessi assetti sociali che strutturano la comunità umana a livello mondiale.

Invecchiamento
L’invecchiamento è uno dei problemi con cui si misura la Quarta rivoluzione industriale

Il dato probante di questa rivoluzione industriale è la complessità sia della offerta che della domanda, che mai come prima pone nello stesso istante, contestualmente, i problemi propri delle società avanzate – come i problemi dell’ageing o delle malattie legate alla sovralimentazione, oppure i problemi dell’inquinamento e della rapida urbanizzazione ed i problemi dei paesi emergenti, tra cui la denutrizione e la mancanza di acqua, assieme a problemi globali, come il cambiamento climatico.

Nel contempo questa rivoluzione si basa non su una sola tecnologia dominante ma su un insieme di tecnologie convergenti ed abilitanti una produzione di beni e servizi che deve misurarsi con il senso stesso della globalizzazione, cioè sulla contestuale presenza sul mercato di produttori aventi condizioni sociali, economiche e culturali molto diverse fra loro. In tale contesto tutti i paesi industrializzati dalla Germania agli Stati Uniti, dalla Cina alla Corea, fino alla recente iniziativa italiana del Piano Calenda hanno promosso progetti di strategie nazionali legate al sostegno ad una rapida transizione verso la nuova produzione digitalizzata di massa.

 

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Il professor Patrizio Bianchi, al suo secondo articolo come collaboratore di Industria Italiana

La comunità scientifica il principale collante”globale” per affrontare la sfida

Di fronte ad un fenomeno che tutti individuano da subito di portata epocale, tanto da riconoscerne i caratteri della rivoluzione industriale, in presenza di una dimensione globale dei problemi, tutti i governi seguono la via di una azione definita a livello nazionale, intendendo che il livello nazionale sia adeguato e sufficiente ad affrontare una tale trasformazione strutturale, disconoscendone però nei fatti la dimensione sovranazionale, e annullandone le implicazione territoriali.

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”la comunità scientifica, oggi più che mai globalizzata, diviene se non l’unico, certamente il principale collante per affrontare le grandi sfide che si presentano nella nostra epoca„

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Per contro proprio la dimensione globale riappare nella sempre più diretta relazione tra ricerca scientifica e sua trasformazione in tecnologie abilitanti e strutturanti la nuova produzione, cosicché proprio la comunità scientifica, oggi più che mai globalizzata, diviene se non l’unico, certamente il principale collante per affrontare le grandi sfide che si presentano nella nostra epoca. Per evitare il rischio di risposte frazionate, e volte solo ad affermare a livello globale o anche solo macroregionale, si riaffaccia la responsabilità della comunità scientifica internazionale nel ricordare come le grandi sfide globali richiedano sforzi congiunti di eguale entità, rivolti a consolidare sistemi produttivi rivolti ad affrontare i grandi temi che oggi segnano negativamente la vita ed il futuro del pianeta.

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”La dimensione della rivoluzione industriale che viene riconosciuta alla Digital mass production obbliga ad una riflessione sugli effetti sociali ed istituzionali di questa trasformazione strutturale, che descriviamo stilizzandone i processi trasformativi attraverso il mutamento nella organizzazione della produzione„

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In questo contesto si deve porre la sfida europea ed all’interno di questa una capacità di proposta italiana, che risulti di indirizzo e stimolo ad una rinnovata visione europea unitaria, in un momento in cui la stessa prospettiva europea sembra essersi confusa, dimostrandosi incapace di affrontare e risolvere quel tema dell’emergenza profughi, che altro non è che il condensarsi di tutti i temi posti dall’Onu, che non trovando un’adeguata risposta politica, sono approdati drammaticamente sulle nostre spiagge.

Signe_de_l'ONU,_Genève
Ginevra, la sede di una delle agenzie dell’ Onu

Produzione personalizzata di massa, global value chain e ruolo della tecnoscienza

La dimensione della rivoluzione industriale che viene riconosciuta alla Digital mass production obbliga ad una riflessione sugli effetti sociali ed istituzionali di questa trasformazione strutturale, che descriviamo stilizzandone i processi trasformativi attraverso il mutamento nella organizzazione della produzione. Non solo l’introduzione di un modello di produzione basato sulla produzione personalizzata di massa ha impatti significativi sulla occupazione, sulle competenze richieste, sulle stesse modalità di organizzazione del lavoro, ma rilevante è la modificazione nella stessa configurazione delle classi sociali, che strutturano società aperte ed inserite in una economia globalizzata.

Acciaierie in Cina. Nel paese, a basso costo del lavoro, si sono localizzate, fasi centrali di routine del ciclo produttivo
La trasformazione della Global value chain

La straordinaria organizzazione che porta da una dotazione di capitale ad un’ altra non ha del resto stessa durata per tutti i settori ed un tutti i contesti territoriali, dipendendo largamente dal contesto in cui sono inserite le diverse fasi di uno stesso ciclo produttivo. Tale approccio è stato di recente rilanciato dalla letteratura sulla Global value chain, che stilizza processi produttivi le cui diverse fasi di uno stesso ciclo sono localizzate in contesti territoriali diversi ed anche remoti, in ragione delle convenienze relative che i singoli territori presentano per le diverse fasi di uno stesso ciclo produttivo.

Lo schema di base di tale approccio vede le fasi del ciclo produttivo disporsi in una sequenza, che fissa i livelli più alti di valore aggiunto nelle fasi precedenti e successive alla manifattura in senso stretto, cioè nelle fasi di progettazione del prodotto ed organizzazione del ciclo ed infine nelle fasi di relazione con il mercato, mentre a più basso valore aggiunto stanno le attività di trasformazione, che come tale possono essere allocate in localizzazioni a bassi costi del lavoro e ridotte competenze. Cosi negli anni tra la fine del secolo scorso ed il primo decennio di questo secolo la organizzazione produttiva si riorganizzava frammentandosi (unbundling) e rilocalizzando le fasi centrali del ciclo, ritenute di routine, in paesi a basso costo del lavoro, ed innanzitutto in Cina.

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”Con la nuova organizzazione della produzione, basata su interconnessione non solo delle persone ma delle macchine (internet of things) e la piena digitalizzazione della produzione vi è la possibilità di realizzare attività di trasformazione ad alto valore aggiunto perché customizzabili„

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Il reshoring

Dopo la crisi del 2007 tuttavia si registra una riduzione del commercio mondiale in presenza dell’emergere della nuova organizzazione digitalizzata, ma anche di un profondo cambiamento del contesto economico mondiale. Con la nuova organizzazione della produzione, basata su interconnessione non solo delle persone ma delle macchine (internet of things) e la piena digitalizzazione della produzione vi è la possibilità di realizzare attività di trasformazione ad alto valore aggiunto perché customizzabili, e nel contempo sotto il diretto controllo di un centro, che ha interesse a disporre in tempo reale di tutta la catena del valore a stessi livelli di qualità.

Così diviene sempre meno necessario trasferire la produzione verso paesi a basso costo del lavoro, che non garantiscono livelli certi di qualità per tutte le componenti del prodotto finale; si apre così una fase definita di reshoring in cui fasi già dislocate tornano verso il centro, con rilevanti impatti sui territori periferici. Nel contempo i paesi come la Cina, cresciuti rapidamente sulla dislocazione delle attività manifatturiere, stanno risalendo la catena del valore impossessandosi delle imprese che dispongono della progettazione e della presenza finale sul mercato, anche acquistando direttamente imprese nei paesi avanzati, e con esse il controllo delle relative catene del valore.

Scarpe da tennis Diadora. Il gruppo ha confermato l’intenzione di riportare almeno il 10 per cento della produzione in Italia

Linee di una political economy di Industria 4.0

Se nella produzione rigida di massa la barriera all’entrata nei settori manufatturieri era data dalla dimensione dell’impianto di trasformazione manifatturiera, nella nuova produzione in cui virtualmente la digitalizzazione delle produzioni permette di disporre di apparati in grado di essere continuamente riprogrammati per realizzare beni on demand, la barriera all’entrata si sposta a monte nella gestione di tutti i dati essenziali per far funzionare il sistema e nel contempo per rispondere alla domanda incipiente. Lo stesso concetto di efficienza della produzione cambia. Nella organizzazione fordista l’efficienza della produzione dipendeva dalla capacità di riequilibrare fra loro i tempi di produzione delle diverse fasi, così da ridurre i tempi morti dei nostri sistemi produttivi.

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”nella nuova produzione in cui virtualmente la digitalizzazione delle produzioni permette di disporre di apparati in grado di essere continuamente riprogrammati per realizzare beni on demand, la barriera all’entrata si sposta a monte nella gestione di tutti i dati essenziali per far funzionare il sistema e nel contempo per rispondere alla domanda incipiente„

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L’organizzazione fordista

Il presupposto era che una linea di produzione era composta da fasi in sequenza per la realizzazione di uno stesso bene omogeneo. Usando una terminologia diciamo Neosmithiana, diremo che l’efficienza dipendeva dalla capacità di linearizzare la “produzione fatta”‘ cioè la progressiva trasformazione di uno stesso bene, per una concorrenza basata sui minori prezzi per uno stesso bene omogeneo. Le economie di scala erano date dalla stessa linea di produzione che veniva fissata per produrre un solo bene omogeneo, frazionandone le mansioni in una sequenza successiva fino al prodotto finale (scale).

La produzione di più beni era data dalla possibilità di disporre di linee parallele, senza vantaggio di produzione congiunta fra loro (scope). La innovazione del prodotto si realizzava attraverso la modifica dello stesso impianto di produzione, essendo la qualità del prodotto fissata nella stessa organizzazione della produzione rigida. Il rapporto tra ricerca e produzione si svolge in termini fra loro separati, con lunghi tempi di relazione fra una ricerca di base, una sua applicabilità e sviluppo industriale, una messa in prova in impianti pilota e poi una messa in linea in impianti, la cui dimensione costituisce di per se stessa la principale barriera all’entrata nel mercato di nuovi per concorrenti aventi stesse tecnologie.

Catena di montaggio nel primo stabilimento Ford
La produzione flessibile di massa

Nella produzione flessibile di massa si è cercato di incrociare più linee, anche agendo su moduli integrati per fase, cosi da comporre con stessi moduli diverse combinazione di prodotto. In tale processo che assume forme di complessità organizzativa si dispone di una serie di fasi, in parte in sequenza ed in parte in parallelo, per poter avere economie di scale, cioè di specializzazione per talune fasi di produzioni specifiche ed economie di scope, cioè di complementarietà per altre, come gli assemblaggi.

Emerge in questo periodo (dalla crisi degli anni settanta a fine secolo) il bisogno non solo di mantenere i vantaggi legati alla gestione della continuità della “produzione fatta”, ma anche di mantenere il controllo della “produzione da farsi“, cioè delle conoscenze sul mercato, che richiede ora beni differenziati, e sulle competenze con cui rispondere al mercato che diviene sempre più centrato su una no-price competition.

Produzione in serie di bombardieri B52

L’efficienza si mantiene linearizzando flussi produttivi complessi attraverso un aumento del controllo delle conoscenze e delle competenze inerenti alla varietà dei prodotti offerti. Nella produzione flessibile di massa l’innovazione avveniva entro range delimitati, potendo agire sui singoli moduli di produzione, al fine di offrire varianti discrete di uno stesso prodotto-base. Nella produzione flessibile di massa i tempi fra ricerca, sviluppo industriale messa in produzione si accorciano, mentre emerge come barriera all’entrata anche la disponibilità di reti di vendita in grado di gestire gamme di prodotti e quindi una concorrenza anche su qualità differenziate.

La produzione digitalizzata di massa

Nella produzione digitalizzata di massa,  o Industry 4.0 secondo la dizione data dalla azione di politica industriale del Governo federale tedesco, la struttura di produzione è virtualmente in grado di aggiustarsi continuamente, cosicché l’efficienza della produzione diviene integralmente sulla “produzione da farsi” cioè sulla capacità di linearizzare i dati inerenti i bisogni da soddisfare ed i dati di gestione dei sistemi produttivi disponibili, in una concorrenza che è largamente data dalla capacità di individuare e soddisfare bisogni emergenti in termini efficienti, cioè senza generazione di idle times.

Schema di smart factory

L’innovazione continua

Parte essenziale di questa nuova efficienza della produzione diviene qui la capacità di “comprendere” nel senso letterale di “cogliere e tenere insieme” bisogni diversi, ed anche contrastanti, disponendone una risoluzione, che dando risposte specifiche, componga volumi sufficienti da utilizzare appieno il capitale fisico ed umano impiegato. In tale approccio dinamico la capacità di disporre con continuità di strumenti e tecnologie in grado di cogliere e tenere assieme i bisogni da soddisfare con le tecniche per trasformarli in attività di produzione e servizio diviene l’elemento strategico per la crescita e la innovazione, che qui diviene continua, in quanto il prodotto può essere customizzabile rispetto ai bisogni del richiedente. Il rapporto continuo con la domanda diviene essenziale per poter retroagire con continuità alla produzione, senza generare idle times nel flusso lineare di dati e comandi di produzione. Il rapporto con la ricerca diviene continuo, anche perché le soluzioni produttive si definiscono nella stessa fase di ricerca, che sempre più riunisce anche le fasi di sviluppo produttivo.

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”Nella produzione digitalizzata di massa, la struttura di produzione è virtualmente in grado di aggiustarsi continuamente, cosicché l’efficienza della produzione diviene integralmente sulla “produzione da farsi”„

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Barriere all’entrata e il ruolo della tecnoscienza

La barriera all’entrata si sposta cosi sempre più nella fase di ricerca che permette di individuare la domanda o meglio il bisogno emergente e di fornire la risposta tecnologica adeguata e finalizzata a quello specifico bisogno. In altre parole la nuova barriera all’entrata è data dall’intreccio fra scienza, tecnologia e produzione, cioè da ciò che individuiamo come “tecnoscienza“. La densità delle strutture di ricerca e la loro interconnessione con i sistemi produttivi diventano allora la principale esternalità per la collocazione di quelle fasi che governano i cicli produttivi, così come esternalità essenziale alla crescita diviene la disponibilità di quella essenziale infrastruttura per lo sviluppo che è un sistema educativo in cui sono bene integrate le attività di istruzione e di formazione per lo sviluppo di competenze necessarie per la attivazione dei nuovi cicli produttivi, dai livelli di base fino ai livelli di alta formazione alla ricerca.

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”La nuova barriera all’ entrata è dunque proprio la interrelazione fra sistemi di ricerca ed educazione e i sistemi di produzione e servizio„

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L’ interazione fra comunità di ricerca e business communities diviene del resto cruciale per lo sviluppo di applicazioni tecnologiche e quindi di modelli di organizzazione della produzione che possano utilizzare in modo convergente risultati scientifici di discipline diverse, che proprio nella loro applicazione contestuale ritrovano una loro complementarietà funzionale.

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Una veduta aerea del Polo Meccatronica di Rovereto, esempio di collaborazione tra istituzioni, comunità di ricerca e imprese

Egualmente essenziale è la presenza di infrastrutture che permettano non solo la gestione dei dati ma anche lo sviluppo delle chiavi analitiche necessarie all’utilizzo per la ricerca e la produzione dei dati prodotti. La nuova barriera alla entrata è dunque proprio la interrelazione fra sistemi di ricerca ed educazione e i sistemi di produzione e servizio o meglio la capacità di organizzare una comunità di ricerca, educazione e produzione aventi carattere di continuità e contiguità tali da far confluire conoscenze e competenze diverse, ma rese fra loro complementari, nella comune capacità di risoluzione di problemi non precedentemente affrontabili.

Un accesso garantito a tutti ai risultati della scienza

Per garantire la possibilità di affrontare e vincere le grandi sfide dell’umanità delineate dalle Nazioni Unite bisogna tuttavia garantire l’accesso ai risultati della scienza a tutti quanti intendano operare per la pace e la prosperità, evitando la appropriazione dei risultati scientifici e tecnologici da parte di pochi, che monopolizzandone gli esiti produttivi costituirebbero un limite allo sviluppo sostenibile, con il rischio che – esasperando le disparità fra i popoli e ceti sociali – si precostituiscano le basi per nuovi conflitti sociali e politici.

Egualmente bisogna evitare che gli immani sviluppi del sistema di big data, che sono alla base dello crescita della tecnoscienza e del resto sempre più della stessa vita quotidiana, possano essere appropriati a fini contrari al bene comune, garantendo con azioni comuni la cybersecurity dei sistemi big data che sorreggono le attività scientifiche, produttive e civili nell’intero pianeta, assicurando nel contempo il diritto alla privacy dei propri comportamenti e delle proprie opinioni.

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Lean Experience Factory a Pordenone, trasmissione di competenze tecniche e gestionali

Le competenze richieste per Industria 4.0: tecniche e gestionali

La riflessione su Industria 4.0 richiede un approfondimento su quali competenze sono richieste per attivare e sostenere un processo di riorganizzazione produttiva rivolta alla digitalizzazione, interconnessione e customizzazione della produzione. Non si tratta solo di competenze tecniche per porre in atto le singole funzioni. Questa sarebbe una riproposizione sotto altre spoglie di un fordismo di ritorno in cui vengono separate le funzioni di applicazione e le attività di comprensione e visione dell’intero processo, e nel contempo di risposta ai bisogni a cui quella produzione si rivolge.

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”costruire una impresa oggi vuol dire confrontarsi con la concorrenza, ormai globale, che si rivolge non più a riprodurre a costi inferiori beni già disponibili, ma sempre più centrata sulla capacità di rispondere a bisogni emergente in forma sempre più personalizzata„

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Le competenze che debbono essere coinvolte sono certamente tecniche, perché ogni idea che deve diventare una impresa abbisogna di solide basi tecniche, in altre parole di un saper fare, che deve permettere di definire in termini operativi il prodotto che dovrà essere realizzato. Tuttavia accanto alle competenze tecniche bisognerà definire bene i bisogni di quelle competenze gestionali, che permetteranno di strutturare una organizzazione, che contenga in se’ stessa la condizione di crescita aldilà degli sforzi di partenza.

Questo implica una capacità di visione e di continua rielaborazione dei risultati ottenuti per sostenere ed accelerare quel learning effect, quella capacità di apprendimento cumulativo, in grado di utilizzare a pieno le potenzialità delle nuove forme produttive, che tuttavia richiede ora anch’esso una solida base educativa, perché costruire una impresa oggi vuol dire confrontarsi con la concorrenza, ormai globale, che si rivolge non più a riprodurre a costi inferiori beni già disponibili, ma sempre più centrata sulla capacità di rispondere a bisogni emergente in forma sempre più personalizzata.

Un saper fare condiviso

La tradizione fordista vuole che le nuove imprese nascano da un saper fare che ha origine in una altra impresa. In questa impresa si è arrivati magari da giovani e poi si è cresciuti imparando non solo le tecniche per lavorare, ma anche il come si vive in impresa, qualunque sia la posizione di entrata. Le competenze per vivere in impresa, anzi per vivere l’impresa sono cambiate molto negli anni. Nella vecchia fabbrica fordista, quella per intenderci della catena di montaggio, c’era una netta distinzione fra i livelli operai, che disponevano solo delle conoscenze per realizzare un numero ristretto di mansioni, i livelli impiegatizi, che erano posti alle funzioni di controllo e di amministrazione, e gli irraggiungibili livelli manageriali, in cui si confinavano tutte le informazioni rilevanti.

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”oggi l’organizzazione della produzione richiede di essere pensata per gestire continui cambiamenti e quindi anche il rapporto con i singoli operatori richiede una continua condivisione delle informazioni„

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A titolo di esempio si ricordi che alla Fiat degli anni cinquanta tutti i livelli avevano una loro divisa, per caratterizzata e caratterizzante il ruolo, le mansioni, le responsabilità, le informazioni, le conoscenze dalle tute blu alle giacchette grigie fino ai colletti bianchi fino alle imperscrutabili vette della proprietà in cui si ricevevano tutte le informazioni sui mercati, e si formulavano le strategie future. Queste strategie però per essere realizzate richiedevano che tutta questa immensa macchina organizzativa venisse riequilibrata ogni volta che si doveva introdurre anche la più piccola innovazione.

Oggi che le innovazioni sono continue ed anzi proprio la velocità di progettazione ed attuazione delle innovazioni sono diventate la base stessa della competizione, l’organizzazione della produzione richiede di essere pensata per gestire continui cambiamenti e quindi anche il rapporto con i singoli operatori richiede una continua condivisione delle informazioni, e la condivisione da parte di team ben affiatati capaci di generare continue innovazioni senza fermare e bloccare la produzione.
Anche questo “lavorare insieme” richiede competenze, che debbono essere tenute in seria considerazione; queste competenze si definiscono oggi soft skill, per distinguerli dagli skill più tecnici, di cui abbiamo già discusso.

Strategie politiche

Di fronte a sfide cruciali per la stessa sopravvivenza della umanità bisogna sostenere in ogni modo lo sforzo delle comunità scientifiche per dare risposte unitarie e comuni, che superino le frammentazioni nazionali, ed evitino la appropriazione individuale dei risultati scientifici con azioni di monopolizzazione degli esiti produttivi che limiterebbero lo sviluppo creando presupposti per ulteriori conflitti.

Il consolidamento di una comunità scientifica globale, rispettosa delle diverse origini e delle diverse tradizioni, ma aperta e sempre più integrata diviene baluardo contro i rischi di nuove divisioni politiche e nuove fratture sociali. Le comunità scientifiche in stretta intesa con le business communities e le autorità pubbliche favoriscano lo sviluppo di tecnologie originate da diversi percorsi di ricerca e rivolte a rispondere a diversi bisogni produttivi, in una ricerca della complementarietà che valorizzi le specializzazioni ed autonomie disciplinari, senza rinchiuderle in ambiti non comunicanti.

Sicurezza digitale
Bisogna garantire la Cybersecurity dei dati

Egualmente bisogna garantire la security dei sistemi scientifici ed un particolare la cybersecurity dei dati, che sorreggono la attività scientifica, industriale e civile delle nostre comunità, tracciandone i percorsi i percorsi di acquisizione e la destinazione dei dati, al fine di evitare usi criminali e comunque contrari all’interesse comune, assicurando tuttavia il diritto dei singoli cittadini, delle imprese e delle istituzioni alla riservatezza dei propri comportamenti e delle proprie opinioni. La interazione dei sistemi produttivi nel contesto della digitalizzazione delle relazioni deve poter determinare sistemi produttivi aperti, in cui piccole e nuove iniziative possono inserirsi in contesti di mercato aperti, contribuendo significativamente alla innovazione e dinamica dei processi di sviluppo sostenibile.

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”Di fronte a sfide cruciali per la stessa sopravvivenza dell’ umanità bisogna sostenere in ogni modo lo sforzo delle comunità scientifiche per dare risposte unitarie e comuni, che superino le frammentazioni nazionali, ed evitino la appropriazione individuale dei risultati scientifici„

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Parlando di cybersecurity dobbiamo inoltre ricordare le nuove emergenze legate al terrorismo internazionale e alla necessità di trovare, almeno a livello europeo, livelli di garanzia affinché la vita dei cittadini, sempre più affidata ad apparti digitalizzati, possa essere tutelata da ingerenze, che potrebbero minare non solo i livelli di privacy individuali, ma mettere in pericolo la stessa vita democratica.

Il sistema educativo diviene il principale vettore di questi processi di integrazione delle conoscenze e di reciproca affidabilità fra paesi e gruppi sociali, se viene assicurato un accesso aperto e non discriminatorio, e sostenuto da programmi di scambio e di interrelazione fra diverse esperienze culturali. Un programma di mobilità del tipo Erasmus Programme esteso a livello globale, o almeno fra le grandi aree, consolidando ed estendendo le azioni già presenti a livello europeo ed internazionale, con interazione fra scuola ed università, imprese, ed istituzioni di ricerca, potrebbe contribuire a consolidare una comunità non solo virtuale ma effettiva di giovani educati ad affrontare le grandi sfide dell’umanità avendo conoscenza delle opportunità e possibilità , che gli sviluppi della scienza offrono per uno sviluppo sostenibile.














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