I soldi del Pnrr? Alla fine arriveranno ma non è detto che facciano davvero crescere industria ed economia

di Laura Magna ♦︎ Progetti non strutturali e accompagnati da riforme: non avranno grossi effetti in termini di produttività. 120 miliardi dei 209 complessivi in prestito: peggioreranno la posizione debitoria. Linee di azione: centralizzare le funzioni ai vari livelli dell’amministrazione, formare la Pa e coinvolgere l’industria nella progettazione. Ne parliamo con Mario Calderini e Carlo Mochi Sismondi

I soldi del Pnrr? Alla fine, magari con qualche dilazione concessa dall’Europa, arriveranno, più o meno tutti. Ma la domanda da farsi è un’altra: così come li stiamo utilizzando (o tentando di utilizzare) avranno realmente una ricaduta sull’economia e l’industria italiana? Non necessariamente: perché se gli interventi non sono strutturali e accompagnati da riforme rischiamo di non avere grossi effetti in termini di produttività. Senza considerare che 120 miliardi dei 209 complessivi erogati nel Pnrr sono in prestito e andranno a «peggiorare la posizione debitoria del Paese, cosa di cui non c’è bisogno se non per un cambiamento copernicano», dice a Industria Italiana Mario Calderini, che insegna economia politica alla School of Management del Politecnico di Milano.

Un cambiamento che al momento sembra davvero lontano: e infatti l’Europa ci ha fermati sulla qualità dei progetti presentati, in particolare la ristrutturazione di due stadi cittadini e due riforma di fatto mancate (degli aeroporti e del teleriscaldamento). «Abbiamo puntato sulla quantità, pur di non perdere i soldi – dice Calderini – mentre avremmo dovuto guardare alla qualità della spesa: ovvero a quanto questi fondi riescano a mettere in moto meccanismi positivi per l’industria italiana, per i cittadini e la Pa. L’ossessione per la velocità della spesa ha spinto la Pa a fare interventi brutti e rovinato il Pnrr».







Va comunque rilevato che il rischio che ci potessero essere problemi nell’execution era stato paventato fin dal principio. Il problema più rilevante, secondo Carlo Mochi Sismondi, Presidente di Fpa-Forum Pa, società di servizi e consulenza del Gruppo Digital360 specializzata accompagnamento al cambiamento organizzativo e tecnologico delle pubbliche amministrazioni e dei sistemi territoriali «è la mancanza di figure dotate di saperi tecnici nelle amministrazioni, dove si conta meno del 4% tra i laureati che abbiamo diplomi in ingegneria, architettura o urbanistica». Con Calderini e Mochi Sismondi abbiamo fatto il punto per capire se e come l’Italia riuscirà a superare l’attuale impasse sul Pnrr.

 

Pnrr: perché i fondi si sono inceppati (e non è colpa dell’Europa)

Nel dibattito di questi giorni, emerge la posizione di chi ritiene, anche all’interno del governo Meloni, che l’Italia dovrebbe “chiedere una dilazione dei tempi, o un dimezzamento dei fondi”, perché il sistema non è in grado di assorbire il volume di investimenti del Pnrr. Secondo le stime della Corte dei Conti, abbiamo fin qui effettivamente speso solo il 13% delle risorse a disposizione, più o meno venti miliardi di euro. Il governo ha già aperto un tavolo con Bruxelles per verificare la possibilità di spostare alcune spese dal 2026 al 2029 e avere più tempo dunque per essere compliant con le richieste europee.

Ma il problema potrebbe essere più grave: uno scontro in atto su investimenti già deliberati e riforme che avrebbero dovuto essere già completate. Ora la Commissione ha un mese per valutare il raggiungimento degli obiettivi del secondo semestre 2022, in virtù dei quali l’Italia dovrebbe ricevere l’ultima rata (venti miliardi di euro) del Recovery Plan. Sono almeno tre i progetti che per i tecnici di Bruxelles non vanno nella proposta italiana: le riforme delle concessioni aeroportuali, quella delle reti di teleriscaldamento, l’ammissibilità dei finanziamenti di due investimenti, per i nuovi stadi di Firenze e Venezia. Chi ha sbagliato e perché? Dove si è rotto il meccanismo? Dove si è rallentata la macchina burocratica?

Le risorse assegnate a missioni e componenti del PNRR aggiornato. A tali risorse, si aggiungono quelle rese disponibili dal REACT-EU che, come previsto dalla normativa UE, vengono spese negli anni 2021-2023 nonché quelle derivanti dalla programmazione nazionale aggiuntiva

 

Il primo problema? Le scelte fatte in fase di stesura e implementazione del piano

Carlo Mochi Sismondi, Presidente di Fpa-Forum Pa

«In tutti e tre i casi segnalati – dice Mochi Sismondi – il problema non è stata la macchina burocratica, quanto le scelte fatte nella fase di stesura del piano e della sua implementazione: per le concessioni aeroportuali si è deciso di non imporre una scadenza massima come chiedeva la Commissione, ma di procedere caso per caso, si tratta quindi di una scelta politica, così come politica è stata la scelta di inserire due opere come la ristrutturazione dello stadio Artemio Franchi di Firenze e il “Bosco dello sport” di Venezia all’interno di investimenti destinati a recuperare spazi urbani già esistenti allo scopo di migliorare la qualità della vita promuovendo processi di partecipazione sociale e imprenditoriale». Per quanto attiene alle reti di teleriscaldamento non sono state date per ora motivazioni per il riesame, ma anche qui pare si tratti di scelte fatte in fase di pianificazione.

 

Quando l’inclusione è solo un’etichetta: quello non funziona nei progetti che Bruxelles contesta

Insomma, «L’ossessione per la velocità della spesa ha spinto la Pa a fare interventi inutili o dannosi, perché fanno aumentare il debito pubblico senza ricadute. Progettare male porta in un cul de sac… come successo con i due stadi: quale miglioramento portano al Paese? – aggiunge Calderni – Non ci si è posti il problema del risultato, mascherando tutto con la questione dell’inclusione che però in questi casi è un’etichetta. Tentare di vendere la ristrutturazione dello stadio come riqualificazione urbana e b significa aver progettato male, pur di non perdere i soldi». Inclusione vuol dire misurare se le spese in una scuola di periferia hanno ridotto la dispersione scolastica dell’area, costruire strade o ferrovie a percorrenza rapida in Sicilia dove per percorrere pochi chilometri ci vogliono ore. «Il risultato è che oggi ci ritroviamo non tanto con un problema di lentezza ma con un problema di capacità di assorbimento delle risorse: un po’ come accade da sempre con i fondi strutturali europei, ma stavolta la scala è decisamente maggiore e non passa inosservata».

 

Un’occasione sprecata? Sì, se con il Pnrr non si finanziano le riforme strutturali e il libero mercato

Mario Calderini, professore di economia politica alla School of Management del Politecnico di Milano

Siamo ancora in tempo per usare bene questa enorme e probabilmente irripetibile occasione. Come, lo spiega ancora Calderini. «Per l’industria – dice il professore – piuttosto di disperdere in mille rivoli questi soldi del Pnrr, con investimenti a pioggia poco o nulla efficaci, sarebbe stato più interessante fare due cose. Ovvero metterli a disposizione delle infrastrutture critiche reali e virtuali, rilevanti per la produttività del Paese, concordando gli interventi per le imprese. E usarli come merce di scambio per realizzare le riforme. Per esempio quella della concorrenza, dei balneari e dei tassisti che non si sono mai riuscite a fare. Coi soldi del Pnrr si sarebbero potuti aprire tavoli negoziali con le corporazioni più resistenti. A vantaggio del libero mercato e della competitività del sistema Italia». Esiste anche, certamente, un tema di eccessiva complessità dei bandi: quando si chiede per esempio di lavorare in associazione di imprese anche trans-nazionali o mettere insieme imprese e accademia o enti di ricerca. Tuttavia, «questi vincoli, per la maggior parte, derivano dalla struttura delle misure legate all’investimento “Next Generaton EU” che è per sua natura sovranazionale – commenta Mochi Sismondi – È stata già una grande vittoria poter attingere a fondi che derivano da un debito comune dell’Unione e credo che queste complessità vadano prese come vincoli necessari. È vero che dobbiamo spendere, ma dobbiamo spendere bene e portare effettivi risultati, la sola fretta di spendere sarebbe una pessima consigliera».

Sicuramente ci sono difetti in come il piano è stato scritto, come già abbiamo detto. Ma questo non assolve chi oggi il piano lo deve implementare. Ed è come se chi si occupa di dover mettere in atto le opportunità di questo piano stia deliberatamente ignorando le regole del gioco: «fin dall’inizio – spiega Calderini – era chiaro che il Pnrr avrebbe legato le erogazioni, differentemente da quanto avviene con i fondi strutturali, non arriva a rendicontazione della spesa, ma sulla base della misurazione del reale impatto sociale ambientale ed economico della singola opera. Il problema è che a oggi nessuno si sta occupando di misurare il risultato effettivo in termini di impatto su imprese, cittadini, Pa». E la Commissione europea ha bisogno di questi parametri: vuole avere contezza di cosa ha prodotto la spesa erogata. Mentre proprio l’impostazione culturale del governo attuale sembra andare nella direzione opposta. «Lo si evince da come è stata scritta la riforma del codice degli appalti – continua Calderini – dove si afferma che esattamente che i risultati sono dati dagli output, da ciò che viene speso, e non, come dovrebbe essere e come si aspetterebbero i contribuenti, dall’evidenza di come quelle spese hanno cambiato la qualità della vita di chi insiste sui territori».

 

Le linee di azione: centralizzare le funzioni ai vari livelli dell’amministrazione, formare la Pa e coinvolgere l’industria nella progettazione

La rendicontazione dei risultati dovrebbe essere una competenza diffusa in tutte le pa che hanno a che fare con il Pnrr, ma come precisa Calderini «al momento a livello regionale e comunale ma anche nei ministeri non ci sono professionalità in grado di garantire buona progettazione e misurazione dei risultati». E allora come agire?«Quando il Pnrr è stato concepito era già evidente che mancassero unità che a vari livelli, comunale, regionale, ministeriale, accentrassero avocando a sé ogni competenza necessaria perché le cose venissero realizzate. Una seconda grande assenza è un sistema di partneriato pubblico-privato, in cui il privato sia coinvolto non come semplice erogatore di denaro ma in quanto co-progettista. La Pa si è limitata, nell’implementazione del Pnrr, a usare strumenti amministrativi vecchi di 50 anni con bandi a fondo perduto che sono il modo meno efficace, in cui specifichi il problema e chiedi al privato di partecipare finanziariamente e basta. L’industria invece dovrebbe essere coinvolta in maniera più importante, portando il suo contributo in termini di disegno degli stessi progetti».

Le risorse assegnate a missioni e componenti del Pnrr

Sul fronte della pubblica amministrazione secondo Mochi Sismondi «è importante muoversi su due piani: quello dell’oggi che vuol dire assistere le amministrazioni anche con apporti esterni e quello di un domani molto vicino per cui dobbiamo assumere giovani preparati e nuovi profili e incrementare la formazione dei dipendenti». E poi le parole d’ordine di un piano efficace, dovrebbero essere «competenza, responsabilità di tutte le strutture, comprese quelle locali e focalizzazione sugli obiettivi abbattendo i silos che permettono continui scaricabarili. Per ogni macro-obiettivo vanno individuate filiere amministrative verticali responsabili del risultato finale e, in questo, vanno coinvolti anche gli organismi di controllo che, anch’essi, devono essere orientati al raggiungimento del risultato».














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