Phoenix Contact e le strategie per una “all electric society” sostenibile

di Renzo Zonin ♦︎ Le ultime mosse della società tedesca di componenti e sistemi per l'automazione industriale nei mercati della factory automation, energia, smart city ed e-mobility. Ce ne parla Francesco Lanzani, General Manager della filiale italiana

Per l'e-mobility, Phoenix Contact lavora su due temi fondamentali: quello della connettività a bordo veicolo, un tema che vede soprattutto impegnata casa madre e filiali nella promozione ai produttori di veicoli per quanto riguarda inlet, e i connettori

Phoenix Contact è un’azienda con quasi un secolo di storia sulle spalle. Venne fondata a Essen nel 1923 da Hugo Knümann, il quale morendo nel 1953 senza eredi, lasciò l’azienda ai suoi due più stretti collaboratori, Ursula Lampmann e Josef Eisert. Quest’ultimo coinvolse in seguito i figli, Klaus, poi Jörg e Gerd. Pare che proprio a Klaus, che nel 2015 ha lasciato il posto di Ceo per ricoprire il ruolo di Presidente Onorario, si debba questo modus operandi che è entrato nel Dna dell’azienda, fatto di stabilità, concretezza, obiettivi a lungo termine, basso turnover, e contemporaneamente ricerca del know-how e delle competenze per entrare nei settori di mercato più innovativi e promettenti. Phoenix ha tenuto lo scorso gennaio un kickoff nel quale sono stati ridefiniti gli obiettivi dei prossimi anni, e abbiamo intervistato Francesco Lanzani, General Manager della filiale italiana, per capire meglio cosa è oggi Phoenix e cosa diventerà nei prossimi anni.

 







Phoenix Contact, oggi

Francesco Lanzani, General Manager della filiale italiana di Phoenix Contact

E la prima cosa che chiediamo a Lanzani è come definirebbe Phoenix Contact, cosa fa e dove va l’azienda?

«Phoenix oggi è un player orientato a soddisfare la domanda di automazione e controllo per tutto ciò che contribuisce alla realizzazione di un mondo sostenibile. La nuova mission, che è stata annunciata durante il kickoff svoltosi in Germania lo scorso gennaio, ultimo evento fisico che abbiamo tenuto, è stata proprio quella di sostenere un disegno che è stato tracciato molto bene anche all’interno di un report di Delphi, sostenuto anche da Pwc, che praticamente definisce quello che sarà il nuovo paradigma energetico nel 2040. Non è uno studio di settore teorico, bensì è molto pratico e ha raccolto molti stakeholder, non solo fra gli esperti della parte energetica ma anche attraverso il coinvolgimento di altri attori che fanno parte di questo mondo, e prevede che nel 2040 una gran parte dei sistemi di riscaldamento, di produzione e di mobilità verrà alimentata da un’energia tendenzialmente generata da sistemi puliti. Questo è un paradigma energetico nuovo, che Phoenix ritiene di dover sostenere per tutto ciò che gli compete, quindi per tutta la parte legata al controllo e alla connettività. La nostra storia parte da un sistema di connessione molto fisico, legato ai morsetti, e ancora oggi in qualche modo siamo riconosciuti per ragioni storiche come appartenenti a questo settore, ma nel tempo l’approccio si è evoluto e oggi quando parliamo di connettività parliamo soprattutto di sistemi di connessione fra macchine».

Per capire chi è Phoenix bisogna partire dalla storia, da dove è nata. Le connessioni sono la storia, ma nel tempo si è evoluta moltissimo, facendo leva su alcuni fattori fondamentali. Per esempio le acquisizioni: negli ultimi 15 anni è stato fatto un grande lavoro sulle acquisizioni, che andavano soprattutto a completare alcune competenze tecnologiche specifiche che non facevano parte della storia di Phoenix. Queste esigenze hanno portato all’acquisizione di EtherWan, una società taiwanese che si occupa soprattutto della parte switch e di infrastrutture di rete, a quella di Innominate, che si occupava soprattutto di cybersecurity, e quindi ancora una volta si parla di reti e della sicurezza delle stesse, e ad altre acquisizioni che miravano ad acquisire specifiche conoscenze in mercati particolari, come quella di Sysmik, che si occupava di building automation e in particolare della parte di controllo.

Quindi Phoenix, partendo da un core business tradizionale, che ancora esiste ma rappresenta una piccola parte dei 2,5 miliardi di euro di fatturato, ha allargato il proprio raggio d’azione attraverso queste acquisizioni.

«Poi, in presenza di potenzialità di mercato, se era assolutamente necessario che il know-how fosse proprietario allora abbiamo creato società da zero, acquisendo competenze dalle persone, e di conseguenza ci sono esempi come Protiq, che si occupa di stampa 3D. Protiq è nata da zero e ha un business model completamente diverso, web centrico. Oppure Phoenix Contact e-Mobility, perché evidentemente la parte di business nell’e-mobility è in forte ascesa e quindi abbiamo ritenuto necessario creare una nostra azienda, anche perché all’esterno non c’erano entità che potessimo considerare interessanti in un’ottica di acquisizione.

Quindi siamo una società orientata a soddisfare questa domanda di automazione e controllo, e per noi gli ambiti per la realizzazione di un mondo sostenibile sono il factory automation, il clean energy, le smart city con focus su e-building e infrastrutture, e infine la mobilità intelligente e green. Questo è da dove siamo partiti e dove stiamo andando. Oggi siamo diciamo così a metà strada rispetto a questo percorso. Questa nuova vision della “all-electric society” è stata annunciata a gennaio e sarà il nostro mantra almeno per i prossimi 5 anni. Noi oggi siamo presenti nella factory automation, nella produzione di energia per quanto riguarda il solare e l’eolico, e dobbiamo ancora fare un discorso per ciò che riguarda smart city e mobilità intelligente, visto che siamo all’inizio e il bello deve ancora arrivare».

La questione della sostenibilità si riverbera anche sui vostri clienti, che per produrre in modo sostenibile dovranno rinnovare le loro linee di produzione. E per farlo dovranno essere riforniti da un partner adeguato.

«Questo è ciò che tendiamo a fare. È la digitalizzazione, siamo partiti da noi stessi soprattutto per la parte produttiva, seguendo i dettami di Industria 4.0, quindi il collegamento fra il sensore, l’Erp e il controllo di gestione. La raccolta di tutti i dati dal campo produttivo all’interno del sistema gestionale rende possibile quella che viene definita la mass customization, quindi la possibilità di aderire in maniera molto precisa alle esigenze di un cliente che è sempre più esigente. Noi questo l’abbiamo fatto internamente e lo stiamo supportando con la nostra proposta di prodotti e consulenza nei confronti dei nostri clienti. Stiamo posizionando il nostro marchio al di là dell’offerta di prodotto, di componente in sé e per sé, per affiancarci al cliente nella progettazione, in questa fase soprattutto nella parte relativa alle macchine. Ma poi le macchine vanno installate in un ambiente operativo che va sottoposto a verifiche, per esempio in ambito safety e security. Quindi ci affianchiamo alle fabbriche, all’utilizzatore delle macchine, al cliente del nostro cliente, per fare degli assessment di safety o di security del network aziendale, in modo da garantire la continuità produttiva, che è un pilastro fondamentale che viene molto ricercato dai produttori».

Quindi Phoenix Contact si rivolge sia ai produttori di macchine che ai produttori di oggetti finiti?

«La nostra attività in questo momento è soprattutto legata agli Oem, ai produttori di macchine. Questo rappresenta più del 50% del nostro attuale business, con un’offerta di componenti e consulenziale. Diciamo che da 5 anni a questa parte, stiamo seguendo un trend e andiamo anche a valle del costruttore, in modo da aiutare gli utilizzatori dell’oggetto finito a integrare la tecnologia in maniera sicura, e in modo tale che eventuali fermi di produzione siano esclusi. Quindi sì, agiamo a tutti e due i livelli e questo procura un beneficio per entrambe le parti».

Come è composta la vostra offerta di componenti? Che tipo di componentistica date al costruttore?

«Forniamo tutto ciò che c’è all’interno del quadro elettrico e a bordo macchina. Quindi dal controllo, la parte più intelligente, dai Plc agli Hmi, per scendere poi all’interno con la parte di connettività, le interfacce, la parte legate a alla fornitura di energia, Ups e alimentatori, e tutto ciò che è cablaggio a bordo macchina, quindi ciò che permette la raccolta di segnali dalla machina per riportarli all’interno del quadro elettrico. Questo dal punto di vista del componente, legato soprattutto al costruttore di macchine. Abbiamo un certo numero di cataloghi, qualcosa come 60mila referenze, una varietà infinita di prodotti. Potremmo essere considerati un fornitore orientato a fornire tutto ciò che è automazione e controllo, fino al sensore».

 

La strategia multichannel

La sede italiana di Phoenix Contac

Come potrebbe essere riassunta la vostra strategia?

«La strategia che perseguiamo è multichannel. Cerchiamo di raggiungere in maniera più esaustiva possibile ciascun player attraverso partner qualificati che vanno dall’agente, al distributore, al grossista, al system integrator fino al web. Essere multichannel significa circondare il mercato potenziale con tutti quei canali che rendono possibile soddisfare la domanda. Questo per ciò che riguarda la capacità di raggiungere. Una volta raggiunto il cliente, il nostro obiettivo è renderci un partner affidabile, stabile nel tempo, con basso turnover delle persone che lavorano internamente, e che è in grado di garantire un affiancamento di medio/lungo termine stabile, che è garanzia di assunzione di responsabilità reciproca nello sviluppo di un progetto, qualsiasi esso sia».

Considerate le peculiarità del tessuto produttivo italiano, ci sono differenze di strategia fra l’Italia e il resto del mondo?

«Non c’è una differenza sostanziale, questa mission guida tutta l’azienda e l’Italia non può essere diversa dal resto. Quindi seguiamo molto volentieri, anche perché ci rende le cose più facili. Ci sono delle specificità che sono differenti per ogni country, per esempio le priorità, intese come andare su un mercato piuttosto che su un altro. In Italia per esempio, dove c’è tantissimo dal punto di vista della presenza degli Oem costruttori di macchine, il core business è ovviamente quello e gli sforzi maggiori vanno in quella direzione. Altre nazioni, come per esempio la Francia. hanno un tessuto di costruttori meno esteso di quello italiano e quindi sono più orientati per esempio alla parte di energia. Ma è questione di priorità, perché l’azienda ha intenzione di essere presente nel medio termine, nell’arco di almeno 5 anni, in maniera equilibrata su tutti e 5 i macromercati definiti prima. Per noi si tratterà di ottimizzare la presenza in ambito Oem e far crescere building automation, energia e infrastruttura, per altre filiali si tratterà di far crescere altri pillar sui quali non sono oggi particolarmente focalizzati, ma il tratto comune è quello per tutti».

Ma cosa comporta il fatto che in Italia il tessuto industriale sia costituito soprattutto da Pmi?

«Questo per noi talvolta rappresenta una difficoltà, sappiamo bene come l’Italia sappia poco “fare sistema”, però questo fatto offre soprattutto tante opportunità in tema di innovazione. Abbiamo un tessuto industriale di Pmi che rappresentano un fiore all’occhiello dal punto di vista dell’innovazione tecnologica in alcuni ambiti. Pensiamo ai settori del packaging, imbottigliamento, automazione di macchina che hanno come epicentro Bologna. Quindi per noi la presenza di un gran numero di Pmi costituisce sicuramente una grande opportunità, ritengo che possa essere limitante per loro in termini di competitività nei loro mercati di sbocco, ma noi vediamo ancora una grande capacità di sviluppo per la loro presenza di mercato».

 

L’importanza di prendere le decisioni giuste per tempo

Per quanto riguarda la mobilità elettrica, Phoenix lavora su due temi fondamentali: quello della connettività a bordo veicolo, e i connettori

Avete scelto di produrre in proprio la vostra componentistica già dagli anni 60, creando vostre fabbriche per parti ceramiche, metalliche, plastiche, proprio quando gli altri cominciavano ad affidare la produzione a terzi, prima in Giappone e poi in Cina. Quali vantaggi ha portato questa decisione, e il fatto di essere clienti di sé stessi per 50 anni?

«Questo rende molto bene l’idea di quello che è Phoenix. Ai tempi, l’idea era di una sorta di autarchia. C’era l’esigenza di avere all’interno della società tutto il know-how necessario per coprire l’intera filiera che serviva per arrivare al prodotto finito. Quindi l’idea iniziale era sostanzialmente legata al fatto che non si volesse demandare fuori ciò che allora era la conoscenza del core business. Così tutti i processi erano assolutamente all’interno. Dico erano ma potrei dire sono. Uno degli aspetti più interessanti è legato alla produzione delle nostre macchine. Abbiamo un reparto di circa 200 persone, che progetta e produce le macchine per assemblare i nostri prodotti. Questo è abbastanza curioso, ma è legato alla volontà di possedere il know-how su come assemblare meglio, su come si possano ottimizzare i processi, e per questo si è voluto avere un’unità produttiva interna. Che ovviamente non soddisfa completamente la domanda, non è che ci produciamo le presse a iniezione per la plastica, lì non c’è niente da inventare quindi evitiamo di farlo. Ma tutto ciò che è automazione e assemblaggio lo facciamo internamente. Poi per le altre aziende la delocalizzazione è stata un fenomeno che aveva un fondamento esclusivamente economico: si tendeva a produrre dove il costo del lavoro era inferiore, cercando di massimizzare il profitto. Phoenix invece ha sempre seguito una strategia di prossimità al cliente. Oggi abbiamo fabbriche in Cina, Usa, Canada, Grecia, Turchia, Brasile, India e in tanti altri posti, giusto per citarne qualcuno, ma tipicamente le varie unità produttive riversano gran parte della produzione localmente. L’idea è di garantire la customer proximity, quindi essere sempre adeguati al meglio alle esigenze locali, e chi meglio di un locale può gestire questo tipo di domanda. Quindi l’espansione territoriale della produzione di Phoenix non è stata mai un tentativo di riduzione spasmodica del costo del lavoro, ma è sempre stata una vicinanza al cliente, e credo che questo abbia pagato moltissimo, in termini di acquisizione di quote di mercato anche locali, di adeguamento alla richiesta locale, e in un certo modo di dimostrare che per un’impresa avere un’etica alla fine è comunque profittevole».

 

Avere un’etica aiuta il business

PLCnext di Phoenix Contact è il primo Plc a piattaforma aperta, programmabile con linguaggi standard, aperto al cloud

L’etica è un altro tema interessante. In molte aziende gli azionisti pretendono risultati a brevissimo termine dai manager, che saltano al primo obiettivo non raggiunto. In Phoenix c’è un Board of Directors con persone che stanno al loro posto per  10/20 anni. Questa longevità del board dà una visione più a lungo termine? Permette di fare piani meno contingenti e più lungimiranti?

«Questa stabilità rappresenta un valore aziendale. Questo modus operandi deriva probabilmente da quello che oggi è l’ultimo esponente della famiglia Eisert. Adesso non ha un ruolo operativo, è Presidente Onorario, ma la famiglia è sempre stata un punto di riferimento in Phoenix, in termini proprio di continuità, di presenza, di volontà di investire il patrimonio all’interno dell’azienda stessa. Questo mette Phoenix in condizione di avere tutte le risorse necessarie, senza l’ansia di ottenere i risultati sul breve termine, e garantisce che una volta selezionate le persone giuste, esse abbiano il tempo di lavorare e dimostrare il loro valore. Anch’io sono in azienda da vent’anni, non avrei mai pensato all’inizio del mio percorso di restare così a lungo in un’azienda, al massimo 4 o 5 anni poi avrei dovuto cambiare. Ma in realtà le condizioni di vita, crescita, possibilità di imparare, di relazione con l’azienda sono tali per cui alla fine non ho mai sentito l’esigenza di dover fare un cambio. Quest’anno in realtà ci saranno dei cambiamenti a livello di “C level” in azienda, dettati esclusivamente dal raggiungimento di limite d’età di tre dei membri attuali, e quindi hanno preso degli executive all’interno del gruppo, che quindi vivono nello spirito dell’azienda da anni, ne conoscono i valori, e li hanno messi in una situazione di differente livello ma con il background necessario per garantire la crescita futura dell’azienda. Questo è lo spirito Phoenix».

Questo avvicendamento naturale comporterà anche un cambiamento organizzativo aziendale? L’ultimo riassetto in Phoenix è stato nel 2011/2012 (Corporate Plan 2.0), in questi anni ci sono state molte novità, siete entrati in nuovi mercati, state pensando a un Corporate Plan 3.0?

«Questa è stata una delle domande che ho posto io all’evento di gennaio, se l’introduzione di questa nuova mission, che prevedeva l’allargamento in mercati anche differenti rispetto a quelli tipici del core business avrebbe comportato un riassetto dell’azienda. In realtà abbiamo avuto delle evoluzioni, oltre al 2012 ce n’è stata una nel 2015/16, quando c’è stato il cambio del Ceo, che è diventato Presidente Onorario, ed è entrato un nuovo Ceo, quindi c’è stata una sorta di riorganizzazione. Però le nostre riorganizzazioni sono sempre delle evoluzioni più che delle riorganizzazioni totali, gli assetti non vengono sconvolti, vengono fatte delle ottimizzazioni per seguire al meglio le nuove tendenze di mercato. Questa continuità è un grande valore, e lo conferma anche dal punto di vista organizzativo, viene data continuità non solo nella presenza delle persone, nel management e nella proprietà, ma viene data anche una certa continuità all’organizzazione stessa. Poi evidentemente a valle, nelle filiali ci può essere più fermento, noi cambiamo spesso all’interno per ritrovare linfa vitale nella nostra organizzazione, ma dal punto di vista strutturale non è previsto e non è necessario. È necessaria un’evoluzione ulteriore, per essere più aderenti alla nuova realtà».

 

Controllare gli eventi “disruptive”

Protiq è nata da una cellula interna a Phoenix, che si occupava della creazione degli stampi per fare poi le pressofusioni dei nostri prodotti, e che impegnava importanti risorse per poter sviluppare nuovi prodotti

A volte i piani a lungo termine vengono scompaginati da eventi “disruptive”, come nel caso della recente pandemia. Ma alcune decisioni prese in Phoenix molti anni fa pare abbiano influenzato positivamente il comportamento dell’azienda durante questa crisi. Per esempio il fatto di portare le fabbriche vicino ai clienti. Come è andato questo periodo di lockdown per Phoenix?

«La nostra prossimità al cliente ha fatto sì che ci fosse un impatto limitato da parte del virus. Ma non siamo nelle condizioni di limitare tutte le conseguenze di questa che è una tragedia di dimensioni planetarie. Lo shortage di componenti che vanno montati sui nostri prodotti, e che hanno un’unica fonte di approvvigionamento in Cina, diventa difficile da contrastare. Ma non è un problema di Phoenix bensì di mercato, di come sono organizzate oggi le produzioni di taluni concorrenti. Al di là di questo, avere la prossimità al cliente ci ha aiutato molto. Al di là della tragedia umana, dal punto di vista aziendale non posso dire che questa situazione ci abbia messo in grande difficoltà. Non dal punto di vista dei risultati, il primo semestre lo abbiamo chiuso con un paio di punti percentuali in meno rispetto al precedente anno, in Italia qualcosa di più perché l’Italia è stata maggiormente penalizzata dalla pandemia e avevamo circa il 7% di riduzione di fatturato, che misurato in modo relativo ai competitor e al mercato non è un risultato negativo, anzi. Quindi sui risultati non stiamo registrando una contrazione particolare rispetto a quanto è successo; al contrario, dal punto di vista della produttività e del modo di lavorare la pandemia ha dato una forte spinta in avanti. A gennaio 2020, durante il kickoff, avevamo annunciato un percorso formativo per introdurre lo smartworking. Gli eventi ci hanno superato e tutto ciò che prevedevamo di dover superare con la formazione, in termini di resistenza al cambiamento, è stato superato sul campo: ci siamo trovati a dover lavorare in modo completamente diverso. Qualsiasi barriera al cambiamento è stata abbattuta, e da questo punto di vista la rispondenza da parte dei collaboratori e dell’azienda in generale è stata tale per cui siamo riusciti a contrastare efficacemente quella che poteva essere una contrazione naturale della domanda. Quindi da questo punto di vista mi ritengo soddisfatto di quello che siamo riusciti a fare, nonostante le condizioni di contorno».














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