Perché le imprese italiane innovano poco e così lentamente? Analisi di uno stallo

di Stefano Casini ♦ Aziende nazionali  perlopiù lente e in ritardo, e pur consapevoli delle profonde trasformazioni, esitanti ad affrontare il cambiamento organizzativo e di business. È il quadro che emerge da un’analisi IDC, commissionata da Sap, su un campione di 600 imprese. Come fare? Le case histories di due aziende manifatturiere che stano affrontando con successo la sfida: iGuzzini e Vibram

Avanti con prudenza. È  d’uopo una citazione manzoniana, per descrivere l’attitudine di gran parte delle imprese nazionali di fronte alle sfide dell’ innovazione. La celebre frase, che è poi diventata proverbiale, nei “Promessi Sposi” viene messa in bocca al diplomatico spagnolo Antonio Ferrer,  che esorta in questo modo il suo cocchiere ad avventurarsi con la carrozza in mezzo a una folla tumultuante. Non si sa mai, la strada è segnata, ma se verrà percorsa, di insidie ne può ben riservare. E così, nell’era della “digital disruption”  le aziende devono incamminarsi e “darsi una mossa”, e devono farlo perlomeno alla velocità del cliente, che è sempre più “digitale”. Ma non tutte lo fanno. Anzi, quelle più dinamiche, rapide, fortemente innovative, restano una minoranza. Per quasi la metà (48%) dei Digital leader e manager Hi-Tech aziendali, i ritmi d’innovazione della propria organizzazione non sono al passo con la trasformazione dei mercati. Le imprese restano troppo lente. Sono spesso in ritardo. Anche se tra gli specialisti delle tecnologie è alta la percezione dei cambiamenti in corso.

 







I diversi comportamenti di fronte alla disruption: la cautela è a regola

Nelle imprese italiane, sette Digital leader su dieci (il 70% del totale) ritengono il proprio Business aziendale esposto alla “Disruption” digitale, a un’innovazione di netta rottura rispetto al passato. Solo il 30% considera la propria azienda «poco esposta» alla rivoluzione tecnologica in atto. Di fatto, con atti concreti, solo un Digital leader su dieci punta già ora a realizzare un’innovazione “Disruptive”, a forte impatto sul modello di business. Sono queste le imprese e i dirigenti più dinamici, coraggiosi, veloci, visionari. Quattro su dieci (il 42%) scelgono strategie più progressive e graduali di evoluzione e rinnovamento del modello di Business. Sono in pratica le realtà propense a cambiamenti importanti, epocali, ma che evitano brusche accelerazioni e salti in avanti. Procedendo un passo alla volta, senza correre. Cinque su dieci (48%) preferiscono invece interventi d’innovazione mirati, a limitato impatto sull’attuale modello di Business.

In sostanza, ciò significa che la metà dei Digital leader italiani, e quindi la metà delle aziende “Made in Italy”, seguono gli sviluppi e le tendenze dell’innovazione digitale con prudenza e cautela, e soprattutto senza stravolgere le caratteristiche e i connotati dell’azienda per come sono stati finora. Con un atteggiamento più “freddo” e conservativo.Non solo. Una netta maggioranza, il 60% del totale, ritiene di dover innovare in modo sperimentale e in scenari incerti. Circa la metà (il 46%) prevede che entro 3 anni l’azienda sarà in competizione con nuovi attori sul mercato. E il 37% considera necessario definire nuove metriche per misurare il Business digitale.

L’indagine “Digital leaders journey”

È questo il quadro che emerge da un’analisi sul tasso d’innovazione digitale nelle aziende italiane realizzata da Idc (International data corporation), e sostenuta da Sap, intitolata “Digital leaders journey”, che ha coinvolto i manager e responsabili Hi-Tech protagonisti nelle strategie d’innovazione di 600 grandi aziende italiane.

Le figure IT in azienda partecipano alla regia dell’ innovazione

«Per delineare le dinamiche di trasformazione in atto, abbiamo condotto un’indagine su 600 imprese di vari settori, dalla quale emergono diverse strategie, orientamenti e indicazioni» spiega Fabio Rizzotto, Associate vice president Research & Consulting di Idc Italia: «innanzitutto, le aziende italiane stanno introducendo scenari di trasformazione del modello di Business a diverse velocità. In generale, la presa di coscienza di un cambiamento profondo della società e dei meccanismi economici si sta delineando all’interno delle organizzazioni italiane. Emerge una grande consapevolezza da parte dei Digital leader della necessità di trasformare i propri processi e modelli di business per rispondere alla rivoluzione digitale. E l’indagine evidenzia anche una leadership condivisa tra diversi manager aziendali, con una significativa presenza di figure IT che partecipano alla regia dell’innovazione, insieme a diversi ruoli non-IT, con un approccio trasversale alle varie funzioni interne».

Dove si colloca l’innovazione

Per quanto riguarda gli ambiti di trasformazione e cambiamento, il 60% del totale rileva un’innovazione a livello di prodotto o servizio, quindi dell’offerta al mercato. Il 31% delle 600 aziende analizzate prevede innovazioni di Marketing; il 27% in termini di erogazione di servizi alla clientela, assistenza e supporto; il 26% per quanto riguarda il modello aziendale e organizzativo; il 12% innovazione a livello di ecosistema esterno.

Digital Economy: le aziende si muovono più lentamente dei loro clienti

La Digital economy introduce meccanismi di complessità nelle organizzazioni che, in molti casi, impattano su processi e tempi di risposta, nel momento in cui clienti e utenti aumentano le attese. Con risultati e performance finora poco soddisfacenti: il 48% dei manager Hi-Tech interpellati da Idc non ritiene che la velocità con cui si innova sia adeguata ai cambiamenti di mercato; per il 45% la propria azienda ha bisogno di migliorare i tempi di risposta alle richieste di clienti e utenti.«Non solo l’economia digitale sta trasformando i processi e i modelli di consumo, ma lo sta facendo a un ritmo che non ha precedenti» sottolinea Rizzotto, «nuove capacità e velocità sono oggi richieste alle aziende e alle istituzioni pubbliche per misurarsi con il consumatore digitale e dare nuovo valore alla relazione con clienti, utenti e cittadini».

Come adeguarsi, allora, ai ritmi dei clienti? Il 46% delle grandi aziende italiane gestirà dati testuali e dati non-strutturati relativi alle interazioni con la clientela; il 42% gestirà sistematicamente dati provenienti da “sensori” di mercato e vari Asset; circa un’azienda su tre (il 30%) svilupperà prodotti e servizi più adeguati alle esigenze dei clienti e utenti, valorizzando i dati in modo sistematico. In pratica, i Digital leader segnalano la valenza del “paradigma data-centrico”, che si alimenta di un tessuto variegato di Touch-point e ambienti connessi. In questo scenario, per quanto riguarda la gestione delle competenze, essenziali all’innovazione, «in un quadro multiforme di approcci e interventi, tra crescita delle competenze interne e ricerca di talenti esterni, spicca il valore attribuito all’introduzione di un modello partecipativo delle persone alle logiche e ai processi innovativi» rileva l’Associate vice president Research & Consulting di Idc Italia.

Centrale il coinvolgimento delle risorse umane

I numeri dicono che il 67% dei manager tecnologici ritiene strategico coinvolgere dipendenti e collaboratori come parte attiva nell’innovazione; il 65% considera essenziale far crescere internamente competenze e attitudini digitali; il 38% giudica fondamentale la ricerca di competenze e talenti esterni. In sostanza, almeno tra gli specialisti del settore, emerge sempre più forte la consapevolezza che senza innovazione tecnologica non sia possibile rimanere competitivi nei nuovi mercati digitali.
«Lo conferma uno spostamento progressivo della spesa ICT delle aziende verso tecnologie innovative espressione dei paradigmi digitali» fa notare ancora Rizzotto, «anche se permane una certa complessità nell’amplificare a livello aziendale le prime sperimentazioni».

La difficoltà di implementare  i  progetti pilota

Ma il 63% dei Digital leader aziendali ammette di non riuscire a passare velocemente dalla fase pilota e di prototipazione all’innovazione estesa; il 47% (meno della metà) ritiene di avere già architetture tecnologiche adeguate per lo sviluppo del Business digitale, mentre il 37% prevede di incrementare la spesa in innovazione tecnologica.«La percentuale di aziende che prevede di far leva su tecnologie innovative espressione dei paradigmi digitali sfiora il 40%» rimarca lo specialista di Idc Italia, «e ancora più significativa, nel 68% dei casi, è la correlazione tra approcci fortemente Disruptive alla trasformazione del modello di Business e l’utilizzo di “acceleratori” dell’innovazione, come IoT, Intelligenza artificiale e Machine learning, Robotica, Blockchain, realtà virtuale e aumentata, e via dicendo».

Necessaria una nuova organizzazione aziendale

Per restare al passo dei cambiamenti in atto, e in prospettiva, servono quindi tecnologie adeguate, ma anche una nuova organizzazione aziendale. Nelle aziende italiane, certifica l’analisi di Idc con il supporto di Sap, «c’è oggi bisogno di attrezzarsi con contributi multipli e team estesi che permettano un cambiamento sostenibile dei processi, dell’innovazione tecnologica e delle relazioni con ecosistemi esterni, come partner, università, Startup, per tracciare e accelerare nuove forme di Business». E inoltre: «i Digital leader delle aziende più attive nella trasformazione dei modelli di Business rafforzano il valore di team e processi strutturati oltre che la collaborazione con attori dell’ecosistema». E per quanto riguarda la presenza di Team di Ricerca e Sviluppo, e innovazione, nelle grandi aziende italiane, nel 56% dei casi esiste una “squadra” di specialisti dedicata, stabile e strutturata; per il 24% del totale i Team per l’innovazione vengono creati “ad hoc” in base ai progeti da sviluppare; mentre in una grande azienda su cinque (20%) non esiste ancora un Team dedicato, né stabile né creato all’occorrenza.

 

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Il nuovo headquarter Prysmian Group è illuminato con prodotti e tecnologie iGuzzini

Come fare innovazione : la case history iGuzzini

«Oggi abbiamo clienti sempre connessi alle piattaforme digitali e con aspettative più elevate rispetto al passato» sottolinea Mario Carrelli, Chief information officer di iGuzzini, protagonista del Made in Italy a livello mondiale nel settore dell’illuminazione e dei progetti di illuminotecnica, «riceviamo tante informazioni da strumenti e canali diversi, e dobbiamo rielaborarle, de-codificarle. Dobbiamo “cavalcare” questa onda, questi cambiamenti in atto e in prospettiva, tenendo conto che nel nostro settore già da qualche anno stiamo vivendo e affrontando una tecnologia “Disruptive”, di forte rottura rispetto al passato, vale a dire la tecnologia Led. Il 74% del nostro fatturato oggi deriva dalla vendita di prodotti al Led, e negli ultimi 4 anni l’incremento delle soluzioni al Led è del 24%. Per questo abbiamo modificato diversi processi produttivi».

Ci sono due elementi principali che stanno caratterizzando il processo d’innovazione all’interno di iGuzzini: «il primo è la consapevolezza del cambiamento» osserva il Chief information officer, «il secondo è la velocità». Lo scorso anno in azienda è stata creata una “Task force”, formata da dirigenti e responsabili di diverse aree aziendali, e capitanata dall’amministratore delegato, «e abbiamo analizzato le indicazioni che provengono da alcuni nostri punti di riferimento tecnologico, come Sap, Google, Microsoft, per capire come stanno interpretando loro la trasformazione e l’innovazione Digitale» spiega Carrelli, «trovando ovviamente paradigmi diversi, da cui ricavare indicazioni utili e tendenze per orientarci».

 

Mario Carrelli
Mario Carrelli, Chief information officer di iGuzzini (twitter account image)
Il primo Hackathon aziendale

La seconda iniziativa che ha generato innovazione in iGuzzini è stata, sempre lo scorso anno, organizzare il primo Hackathon aziendale, al quale hanno partecipato esperti di informatica, programmatori e giovani imprenditori di 20 Startup del settore dell’illuminazione, insieme a una trentina di professionisti interni di varie aree aziendali. «Le idee che hanno portato i giovani delle Startup sono state molto interessanti, e da questa esperienza abbiamo sviluppato due progetti» sottolinea il manager Hi-Tech, «tra cui quello che abbiamo chiamato “Digital live experience”, che consiste nell’allestimento con tecnologie digitali, all’interno dell’azienda, di uno spazio completamento buio in cui si possono vedere e sperimentare direttamente tutte le nostre nuove soluzioni per l’illuminazione. Al cliente permette un’esperienza pratica e personale sui nostri prodotti, e a noi permette di raccogliere Feedback e dati utili ai successivi sviluppi».

Processi, tecnologie e risorse umane gli elementi cardine

«Abbiamo capito che l’innovazione per noi passa attraverso tre elementi cardine» rileva Carrelli: «processi, tecnologie, e risorse umane». Lo specialista IT sottolinea che «occorre davvero mettere il cliente al centro dell’offerta e delle attività, creare una customer experience adeguata, e per fare questo è necessario rivedere i processi di sviluppo prodotti, di vendita, di definizione di nuovi servizi, che è un po’ come definire un nuovo modello di Business».Il secondo elemento cardine è la tecnologia, che deve essere abilitante a seguire meglio e a conoscere meglio il cliente: «il nostro progetto di evoluzione digitale ha implementato il sistema Sap Hana, ed è un progetto importante perché innova processi che in precedenza erano molto frammentati» spiega il manager di iGuzzini, «e poter attingere alle “Best practice” messe a disposizione da Sap per noi si è rivelato molto utile».

 

La suola Vibram (credits: original uploader Jojo659 at German Wikipedia)

La case history Vibram

«Noi realizziamo circa 35mila prodotti e articoli diversi, con misure diverse, colori diversi, mescole chimiche e di materiali diverse, quindi abbiamo sempre dovuto gestire un’alta complessità intrinseca» spiega invece Virginio Basilico, Global IT manager di Vibram, altra storica azienda Made in Italy, con sede a 7 chilometri da Varese, affermata a livello internazionale nella produzione di suole e calzature, che conta circa 700 addetti tra Italia, Stati Uniti e Cina, e un fatturato di circa 250 milioni di euro l’anno.«Siamo sempre stati orientati all’innovazione, dei prodotti e dei materiali, e per fare questo mettiamo sempre il “focus” su persone e processi, pensiamo a cosa vogliamo realizzare, e questi fattori poi ci indicano la tecnologia più adeguata da adottare» sottolinea il Global IT manager: «la pianificazione della produzione per noi si sta evolvendo in maniera molto diversa rispetto al passato. »

 

Virginio Basilico, Global IT manager di Vibram e Fabio Rizzotto, Associate vice president Research & Consulting di Idc Italia(courtesy IDC)

 

«Per massimizzare i risultati di produzione, e minimizzare gli sprechi, abbiamo collaborato anche con il Dipartimento di Ingegneria dell’Università del Salento, dove hanno sviluppato dei modelli matematici in grado di gestire questa complessità. In più, abbiamo adottato le tecnologie Sap Ecc, e stiamo lavorando nell’ottica di passare poi ai sistemi Sap Hana».L’azienda manifatturiera sta anche “patrimonializzando” le conoscenze e il Know-how posseduti dai suoi professionisti, per evitare che vengano dispersi con il ricambio generazionale, mentre «la misurazione dei dati e dei processi è sempre più fondamentale» rimarca lo specialista Hi-Tech, «perché ti devi sempre migliorare, e perché i tempi si stanno sempre più accorciando».

Ma, come evidenzia l’indagine di Idc, le grandi aziende italiane procedono a velocità molto differenti tra loro. Con atteggiamenti, scelte e sensibilità diverse da parte dei propri manager e vertici aziendali. Per cavalcare le trasformazioni in atto servono visione, lungimiranza, investimenti in tecnologie, talenti e figure professionali adeguate. E visto che i cambiamenti del mercato, ancora di più a livello internazionale, non aspettano, molto probabilmente da qui a qualche tempo saranno proprio queste diversità a fare la differenza.














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