Perché in Italia la Quarta Rivoluzione Industriale stenta a decollare? E perché non è ancora cambiato il sistema produttivo?

di Andrea Donato*♦︎ Sono tanti i fattori che stanno limitando la portata epocale del paradigma Impresa 4.0, ma i principali sono due: la non comprensione delle vere logiche del sistema 4.0 e la non consapevolezza del loro impatto sui meccanismi interni della propria azienda. Ecco strategie e approcci per uscirne

Andrea Donato

di Andrea Donato*♦︎ Sono tanti i fattori che stanno limitando la portata epocale del paradigma Impresa 4.0, ma i principali sono due: la non comprensione delle vere logiche del sistema 4.0 e la non consapevolezza del loro impatto sui meccanismi interni della propria azienda. Ecco strategie e approcci per uscirne

  1. Qual è il problema?

“Impresa 4.0 non decolla, in pista solo il 10% delle aziende italiane” (Digital360 Corcom 01.03.19)







“Istat: solo il 4,7% delle imprese italiane ha un elevato livello di digitalizzazione” (Digital360 Corcom 20.06.19)

“Industria 4.0, si può fare di più” (Industria Italiana 15.05.19)

“DESI 2019, oltre la metà degli Italiani non ha competenze digitali di base: Italia quintultima in Europa – Anche l’impresa non è abbastanza digitale” (Innovation Post 11.06.2019)

“Industria 4.0, aziende italiane spaventate dalla complessità” (Innovation Post 13.06.2019)

“Nell’era del 4.0 il divario tra le economie si allarga: Italia trentunesima in competitività” (Innovation Post 17.10.2018)

“Industria 4.0 e manifatturiero italiano, i freni e gli ostacoli – Le piccole non investono” (ZeroUno 10.09.18)

Lo scenario apllicativo di Industria 4.0. Fonte Osservatorio Politecnico di Milano

Questi sono solo alcuni titoli di articoli recenti che è possibile leggere sui siti delle riviste specializzate on-line e che danno l’idea di quanto la cosiddetta quarta rivoluzione industriale sia ancora lontana dall’affermarsi (ed i dati economici del Paese lo stanno a testimoniare).

Senza iscriversi al partito dei catastrofisti, oppure parteggiare per la folta schiera dei fiduciosi ad ogni costo, puntiamo a sviluppare un ragionamento che si attenga il più possibile a dati reali e considerazioni oggettive.

La cosiddetta Quarta Rivoluzione Industriale praticamente non è mai decollata in Italia, anche perché non si è manifestata come un rivolgimento profondo, destabilizzante e pervasivo. Vediamo perché:

  1. È la prima “rivoluzione” annunciata con grande risonanza mediatica ancora prima di avvenire;
  2. È stata studiata in dettaglio e pianificata a tavolino a livello politico, economico e tecnico-scientifico;
  3. Non ha prodotto gli effetti attesi, cioè di consolidare un processo di rinnovamento, sovvertire i processi e le prassi operative, determinare una frattura profonda nello statu-quo, apportare un cambiamento esteso e radicale negli approcci strategici;
  4. Non sta incidendo permanentemente nelle mentalità, comportamenti, abitudini delle classi imprenditoriali e manageriali.

Una dichiarata rivoluzione “dirompente” si dovrebbe propagare rapidamente nel tessuto socio-economico e produttivo e rappresentare un elemento di discontinuità con prassi preesistenti.

In definitiva, doveva modificare profondamente ogni paradigma produttivo. È successo tutto questo finora? La risposta per l’Italia è evidentemente no!

Dopo 8 anni dal programma di sviluppo produttivo tedesco “Industrie 4.0” presentato alla fiera di Hannover nel 2011 e a distanza di 3 anni dal piano Calenda, solo il 16% delle aziende italiane ha effettuato interventi e investimenti in una qualche tecnologia rappresentativa del sistema Industria 4.0.

Carlo Calenda, Ministro dello Sviluppo Economico nei Governi Renzi e Gentiloni

Facciamo un parallelo ardito: è come se nella rivoluzione bolscevica del 1918, il 16% dei russi avesse scelto il collettivismo comunista mentre i restanti 84% fosse rimasto suddito dello Zar!

Questo accade nonostante i molti strumenti agevolativi messi in campo, anche se va detto che finora sono stati prevalentemente appannaggio delle imprese grandi e medio-grandi, più strutturate per beneficiarne.

A ben vedere, le aziende industriali italiane si sono finora coinvolte solo parzialmente in questo processo dinamico, da qui discende l’opinione di una rivoluzione mancata, almeno fino a questo momento. La verità è che in netta prevalenza gli investimenti promossi dall’Iper-ammortamento e dalle altre misure e incentivi fiscali sono stati finalizzati alla sostituzione e/o all’adeguamento tecnologico dell’obsoleto parco macchine italiano, costituito da impianti e macchinari datati mediamente 16-18 anni, senza una visione integrata e complessiva.

  1. Internet e la rivoluzione

Qualcuno identifica la rivoluzione industriale con la diffusione universale di Internet. Certamente Internet ha costituito un’evoluzione rivoluzionaria di portata mondiale ed ha avuto senza dubbio un impatto formidabile a livello sociale, culturale e di costume, ma va considerato da una prospettiva differente.

Dato che il world-wide web (abbreviato in www) risale agli anni 90, è evidente sia molto antecedente alla cosiddetta quarta rivoluzione industriale, e pertanto non ne può di per sé costituire il fattore scatenante né la causa diretta, tuttalpiù ne può rappresentare l’elemento facilitante.

Internet è indubbiamente l’infrastruttura che ha consentito la connettività universale e la trasmissione di enormi quantità di informazioni.

Con la commercializzazione dei primi smartphone (iPhone 2007, Android 2008, Blackberry 2007) la generazione dei dati e la interconnettività sono aumentate esponenzialmente, dando ulteriore impulso allo sviluppo e diffusione di tutte le altre tecnologie.

Quindi Internet è il basamento ed il veicolo di tutte le tecnologie “disruptive” ma non rappresenta di per sé stesso la “rivoluzione”.

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  1. Evolvere con l’innovazione

Le soluzioni tecnologiche del Sistema Industria 4.0 vanno considerate come un mezzo ed uno strumento: la finalità ultima è di perseguire ed ottenere il cambiamento e l’evoluzione dell’impresa per mezzo dell’innovazione tecnologica (e non solo, come vedremo).

D’altronde tutto il mondo va verso Industry 4.0 e anche la classifica del World Economic Forum ne prende atto. Il Rapporto 2018 sulla competitività globale analizza 60 nuovi parametri (su 98 totali) e per la prima volta dal 2008 assegna il primo posto agli Usa (86,5 punti), mentre l’Italia è stabile al 31° posto (70,8). Dietro gli Usa, Singapore (83,5), Germania (82,8), Svizzera (82,6) e Giappone (82,5).

Guarda caso, l’Italia è penalizzata dal basso punteggio (60-65 punti su 100) ottenuto su 3 fattori chiave della competitività: diffusione Ict, capacità d’innovazione e dinamismo imprenditoriale.

Balza all’occhio che più di due terzi delle 140 economie prese in esame hanno un punteggio uguale o inferiore a 50/100 punti per la capacità di innovazione. In pratica sembra che si stia profilando uno dei pericoli del nuovo paradigma industriale, un divario forte fra chi si è adeguato e spinge verso l’innovazione e chi rimane indietro, e il nostro Paese sembra essere ancora in mezzo al guado.

Quindi il vero obiettivo in Italia consiste nel cambiare la cultura aziendale tradizionale, conformata sull’esperienza, verso un modo nuovo di pensare al modello di business, ridefinendo un nuovo ruolo dell’azienda nei confronti di tutte le entità coinvolte direttamente ed indirettamente nel processo produttivo.

Performance dell’ecosistema di innovazione. Suddivisione
per gruppo di reddito. Fonte World Economic Forum analysis

 

  1. Cosa frena la trasformazione digitale

Ma come riuscirci, se l’uscita dal “Comfort” tecnologico è percepita generalmente come un rischio, oltre che un’incognita? Di conseguenza è naturale una evidente riluttanza a lasciare e cambiare l’area rassicurante delle prassi e delle tecnologie conosciute e consolidate da parte degli imprenditori.

Secondo una recentissima ricerca condotta congiuntamente da Ipsos e Boston Consulting Group, le aziende italiane individuano nella “capacità di innovare e di innovarsi” la caratteristica distintiva dei settori trainanti, eccellenti e strategici per il Paese.

Ciononostante il 22% delle aziende italiane del settore manifatturiero non ha ancora attivato né pianificato attività in ambito Industria 4.0 e il restante 78% si è concentrato prevalentemente su attività a bassa complessità, per esempio automazione e gestione della produzione. Inoltre pochissime aziende hanno promosso team interni dedicati alla trasformazione digitale per sviluppare progetti e promuovere le competenze.

Alla luce di questi dati, emerge una perplessità da parte della piccola-media impresa italiana che ancora non vuole confrontarsi con una evoluzione (rivoluzione?) globale già in atto negli altri Paesi industrializzati che sta cambiando profondamente gli equilibri della geografia economica mondiale.

Sempre dalla ricerca emerge che soltanto il 24% delle aziende attua – con una visione non sempre lineare – progetti ad alto coefficiente di complessità che coinvolgano l’intera catena del valore, con processi che per esempio includano fornitori e/o clienti nello sviluppo di nuovi prodotti.

Il concentrarsi su progetti a basso indice di complessità risulta nei fatti quasi inconcludente, in quanto solo il 14% delle aziende con progetti a bassa complessità̀ dichiara un aumento di ricavi, mentre la percentuale salta al 60% tra le imprese che hanno progetti di maggiore complessità ed elevata maturità̀.

Istituzioni e altri motori della competitività. Fonte
World Economic Forum analysis

Sempre dalla citata ricerca risulta interessante l’analisi dei motivi addotti dalle aziende che non stanno avvalendosi di soluzioni 4.0. Le più restie sono le aziende più piccole, ovvero con meno di 10 milioni di euro di fatturato annuo, che costituiscono il 36% di questo campione.

Le due principali ragioni di perplessità sono gli investimenti eccessivi richiesti e i benefici non significativi se rapportati allo sforzo che si dovrebbe sostenere per le implementazioni. Oltre, naturalmente, al tema delle competenze.

Alcune argomentazioni avanzate dagli imprenditori sono assolutamente corrette e condivisibili e non possono essere liquidate frettolosamente come resistenza al cambiamento e nostalgia dei passati splendori. Quando affermano: “Non ho accesso a finanziamenti bancari, il credito d’imposta mi consente un recupero fiscale ma non possiedo le risorse di capitale per investire, la mia azienda non fa utili quindi il credito non mi dà alcun vantaggio, gli impianti sono sotto-utilizzati e ho ancora capacità produttiva, le condizioni e le pratiche sono molto rigide, complesse e costose, non voglio rischi di contestazioni dall’Agenzia delle Entrate” è difficile dar loro torto sulle singole motivazioni.

Il problema pertanto è sempre lo stesso: non riuscire a vedere il quadro complessivo proiettato sugli anni successivi ma rimanere vincolati alla logica del rapporto costi-benefici e del ROI nell’immediato, senza la capacità progettuale di disegnare i cambiamenti nel medio periodo.

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  1. Quali sfide attendono gli imprenditori

Finora in Italia si è preferito o si è stati costretti in larga parte a competere sul versante dei costi e dell’efficienza marginale, che in un contesto di competizione delocalizzata, globale, aggressiva, con prezzi di mercato e margini decrescenti, porta all’attuale situazione di sofferenza di molte aziende, soprattutto PMI.

Le aziende devono rapidamente scegliere se competere creando valore tramite l’innovazione, oppure se continuare a distruggere valore, accettando la guerra dei prezzi. I fatti ed i dati dimostrano che la seconda opzione è sempre perdente: innovare la propria azienda non è una opzione possibile, è una necessità senza alternative.

La stasi permanente della nostra economia è anche provocata dalla scelta o dalla necessità di tante aziende di competere sui costi, anziché puntare sull’innovazione di processo, di prodotto o di modello di business, campo in cui la genialità e flessibilità italiane potrebbero davvero fare la differenza.

Quasi paradossalmente, imprenditori e manager concordano nell’affermare che innovazione ed efficientamento dei processi siano oggi le principali sfide in atto, seguite da internazionalizzazione ed espansione della capacità produttiva e commerciale.

Bisogna quindi andare ben oltre l’ottimizzazione dell’attuale (è un aggettivo sostantivato) per affrontare le nuove sfide, e guardare alla supply chain, alla gestione dei clienti e della produzione in modo diverso e costantemente evolutivo.

Tra gli ostacoli all’implementazione di tecnologie come Industria 4.0, capaci di rivoluzionare il modo di produrre e di essere dell’azienda, la necessità di competenze specifiche per gestire la complessità tecnologica e la resistenza al cambiamento: il fattore “difesa della Comfort-zone” diviene il primo scoglio da superare.

Il paradigma 4.0 porta una nuova visione del mondo manifatturiero e industriale con cui avviare un percorso di innovazione dei processi (interni ed esterni all’impresa), degli asset produttivi, dei beni e dei servizi proposti al mercato. Si basa su una produzione industriale completamente automatizzata e interconnessa che, attraverso nuove tecnologie e servizi digitali, permetta alle aziende di innovare più rapidamente anche attraverso l’adozione di nuovi business model.

Propone quindi un concetto di impresa del tutto nuovo, necessariamente a base digitale, dove la visione progettuale promuove l’incremento costante dell’efficienza e dell’efficacia dei processi, l’innovazione di prodotto/servizio ed il ridisegno dei modelli di business.

Le capacità chiave degli imprenditori nel sistema 4.0 consistono quindi nel saper rivedere continuamente la propria strategia, sfruttare velocemente le nuove opportunità tecnologiche, progettare, ingegnerizzare e fornire prodotti su misura, innovare continuamente il modello di business, attivare velocemente nuovi vantaggi competitivi.

Con l’obiettivo di sviluppare la capacità di formulare e realizzare strategie di impresa centrate su nuovi business model e su nuovi prodotti e servizi centrati sui clienti.

Analisi e risultati a livello globale della digitalizzazione aziendale. Fonte EY
  1. Oltre la tecnologia

Va ribadito con chiarezza che la sola tecnologia non basta perché questo avvenga. Occorre poter attivare gli altri due fattori della innovazione industriale di nuova concezione: i sistemi organizzativi e il ruolo del fattore umano.

Nella nuova idea d’impresa “Smart” hanno un ruolo preminente il funzionamento organizzativo associato allo sviluppo delle competenze sia tecniche, necessarie per svolgere adeguatamente il compito (c.d. Hard skill), sia quelle relazionali e di comunicazione tra persone, team, funzioni, reti e partner (Soft skill).

Quindi è necessario agire in parallelo sugli altri due facilitatori del processo di trasformazione digitale (DT):

  • Adeguamento organizzativo, perché non ha senso sovrapporre sistemi di gestione e controllo complessi ad una organizzazione inefficiente;
  • Crescita culturale, personale e professionale dei manager e dei collaboratori, perché acquisiscano le competenze richieste tramite processi di formazione continuativa sui contenuti del Sistema 4.0.

Cosa significa in pratica sotto l’aspetto dell’Organizzazione? Creare strutture che facilitino il flusso interno-esterno delle informazioni, in un’ottica di condivisione e di miglioramento delle decisioni aziendali tramite la estesa disponibilità di dati, ed abbattere le barriere di protezione delle funzioni aziendali in una logica collaborativa. Significa configurare reti organizzative su base globale; sviluppare unità organizzative flessibili; predisporre sistemi di coordinamento e controllo non solo gerarchici; favorire una nuova cultura ed etica dell’impresa.

che hanno intrapreso un percorso di trasformazione digitale. Fonte EY
Le competenze digitali nell’industria manifatturiera secondo l’indagine di EY. Fonte EY
  1. Da dove partire allora?

Sicuramente dalla consapevolezza, acquisendo un quadro d’assieme su tutte le componenti e le peculiarità di questo imponente processo di trasformazione digitale. In collaborazione con P-Learning, per esempio, ho realizzato un corso di formazione on-line, che permetta di acquisire con grande facilità e velocità i principali elementi di questo processo. Il corso è strutturato su 4 aree tematiche:

  • La Trasformazione digitale applicata all’innovazione complessiva dell’azienda
  • I Big Data e gli Analytics: gli strumenti e le tecnologie per la Smart Factory
  • Innovazione e comunicazione 4.0: la gestione e gli strumenti del cambiamento
  • Il progetto di DT: dall’analisi all’impostazione, normative e agevolazioni fiscali

Non basta valutare investimenti solo sulle nuove tecnologie produttive quindi, ma diventa imprescindibile allargare il campo di applicabilità a tutti i fattori del business, in modo da definire progetti di innovazione competitiva a 360 ° che tengano conto dell’integrazione delle tecnologie con le altre componenti rilevanti: Organizzazione, Formazione, Clienti, Partner.

L’innovazione digitale 4.0 – che investe l’intera azienda con modalità inclusive – si basa sulla crescita e condivisione della consapevolezza di programmi, obiettivi, prospettive, opportunità che l’azienda intende sviluppare nel processo di trasformazione digitale, spostando il focus dall’applicazione di tecnologie isolate verso percorsi di trasformazione digitale a tutto tondo, con una finestra temporale di medio termine.

Per l’introduzione di soluzioni tecnologiche innovative che siano organizzativamente ed economicamente sostenibili, diventa prioritario valutare la struttura organizzativa ed il grado di maturità digitale di partenza dell’azienda per definire il processo di trasformazione digitale ed identificare i nuovi obiettivi strategici in chiave 4.0, necessari per essere vincenti in un contesto in continuo movimento.

Come valutare il grado di adeguatezza digitale dell’azienda da cui partire per definire un progetto di trasformazione digitale 4.0?

Esistono alcuni strumenti di rilevazione ed analisi, definiti genericamente Assessment – con l’obiettivo dichiarato di inquadrare il grado di maturità digitale raggiunto dall’azienda analizzata – che hanno la funzione di delineare la situazione di partenza e le priorità di intervento in un’ottica di digitalizzazione. Tra questi, i più conosciuti sono il questionario di Self-assessment promosso da Unioncamere, denominato Selfi 4.0 (oppure Zoom 4.0 da compilare con il supporto di un Digital promoter) ed il Test Industria 4.0 di Confindustria, entrambi gratuiti e certamente utili per un punto di riferimento iniziale.

Questi due metodi, però, possono considerarsi solo un primo – seppur utile e concreto – passo di quella che dovrà essere un’analisi approfondita dello stato attuale di maturità digitale, al fine di inquadrare con approccio operativo criticità, vincoli, priorità e opportunità, operazione appunto, che deve necessariamente essere eseguita da una figura specializzata, obiettiva e competente in materia, che abbia una chiara visione di quali debbano essere tutti i passi necessari per impostare un percorso corretto ed efficace.

Da modelli lineari a ecosistemi. Fonte EY
  1. La soluzione di P-Learning

Un Check efficace deve fornire gli elementi di conoscenza e consapevolezza per poter rispondere a queste 3 domande essenziali:

  • Qual è la posizione attuale dell’azienda rispetto al percorso dell’Industria 4.0?
  • Quali condizioni devono essere create per un’implementazione di successo in azienda?
  • Quali sono le azioni prioritarie da realizzare?

Dalla identificazione delle aree di debolezza, delle criticità e delle priorità di intervento che la conduzione dell’Assessment esteso avrà individuato, sarà possibile ricavare un quadro completo con le indicazioni necessarie ed indispensabili per l’impostazione del progetto di DT.

Ogni metodologia di valutazione orientata all’individuazione di soluzioni da inglobare in un progetto articolato deve possedere alcune caratteristiche che ne determinino la vantaggiosità:

  • Essere un percorso, non una “fotografia”;
  • Essere scalabile a diversi livelli di dettaglio;
  • Adottare metriche prevalentemente oggettive, riducendo le aree di valutazione soggettiva;
  • Poter misurare l’attitudine e l’approccio al cambiamento;
  • Indicare criticità e priorità con punteggi comparabili tra loro.

Il Check proposto da P-Learning è suddiviso in attività con un progressivo livello di profondità e dettaglio, che partono da una ricognizione preliminare dei comportamenti e delle mentalità prevalenti in azienda verso la trasformazione digitale per giungere ad una determinazione oggettiva del grado di maturità digitale.

Gli step per percorso sono quelli elencati qui di seguito:

  • Attitude Readiness Assessment, per verificare il contesto culturale e attitudinale in cui il processo di digitalizzazione si va ad innestare;
  • Structure Effectiveness Assessment, che misura il Gap attuale tra lo schema di fabbrica tradizionale ed il modello di fabbrica evoluta (Smart factory);
  • Organizational Readiness Assessment, con cui si valuta il grado di sviluppo dei processi aziendali e delle procedure operative in tutte le aree di creazione di valore, per misurare la loro adeguatezza sotto l’aspetto tecnologico, organizzativo, operativo, gestionale;
  • Innovation Readiness Assessment, analisi che si concentra sulla misurazione del grado di predisposizione all’introduzione di soluzioni innovative in tutti i comparti aziendali;
  • Digital Readiness Assessment, che determina il grado di maturità digitale con un check applicabile a tre livelli di profondità e dettaglio;
  • Infine si sintetizzano i punteggi cumulativi attribuiti dall’analisi per individuare priorità, aree di miglioramento e criticità e si identificano le azioni da inserire in un piano di implementazione:
  • Grafico dei GAP – Misurazione area del differenziale digitale
  • Matrice Scelte/Azioni – Individuazione delle priorità e delle iniziative
Formazione professionale
  1. Caratteristiche dell’analisi

Tutti questi passaggi devono necessariamente essere condotti da un Innovation manager di consolidata esperienza e competenza, che supporti l’azienda nel valutare il livello di predisposizione digitale al fine dell’identificazione dei processi di sviluppo necessari e nell’impostare un programma di avanzamento progressivo della trasformazione digitale.

Una volta accertate le potenzialità dell’innovazione tecnologica ed organizzativa da applicare all’attività, il passaggio successivo consiste nell’impostare un progetto di trasformazione digitale nelle principali aree interessate dal cambiamento:

  • Gestione
  • Organizzazione
  • Produzione
  • Risorse umane

I processi aziendali vengono raggruppati in aree funzionali e scomposti nei singoli sotto-processi allo scopo di comprendere come tali processi siano collegati, interdipendenti ed integrati fra loro. Attraverso il Check esteso di P-Learning è quindi possibile definire e concretizzare un percorso di trasformazione digitale scalabile a diversi livelli di dettaglio attraverso metriche prevalentemente oggettive, misurando l’attitudine e l’approccio al cambiamento e indicando i livelli di criticità e le priorità con punteggi comparabili tra loro.

I criteri adottati per assegnare il punteggio si basano su valutazioni: di come i processi siano monitorati e controllati, della struttura organizzativa che supporta l’operatività, della capacità di gestione ed esecuzione dei processi e del grado di adeguatezza e funzionalità dei sistemi ICT e delle dotazioni hardware e software sottostanti l’esecuzione dei processi.

La comparazione dei punteggi cumulativi attribuiti dall’analisi permette di individuare priorità, aree di miglioramento e criticità e di identificare le azioni da inserire in un piano di implementazione. Dalla individuazione delle aree di debolezza, delle criticità e delle priorità di intervento che l’Assessment ha tracciato sarà possibile trarre le indicazioni utili per l’impostazione del progetto di Digital Transformation.

Passando alla fase operativa, si potrà quindi mettere a punto un progetto di sviluppo che coniughi l’acquisizione delle nuove competenze, il piano finanziario dell’investimento, la scelta delle tecnologie, le priorità di introduzione, il modello organizzativo e di business.

Tale verifica, associata alle altre rilevazioni su aspetti organizzativi, gestionali, operativi e delle competenze delle RR.UU. consente una corretta mappatura di obiettivi e priorità per l’impostazione di un progetto complessivo con investimenti, tempistiche, operatività, metriche e ritorni attesi.

La crescita aziendale si ottiene con le giuste competenze
  1. Perché misurare la maturità digitale della propria azienda?

Questo esercizio non può ovviamente essere fine a sé stesso, ma deve rivestire una valenza propedeutica per le azioni conseguenti. Non va quindi vissuto come un test sulla propria capacità imprenditoriale oppure una diagnosi impietosa sulle lacune esistenti, perché non è assolutamente questo lo scopo.

Piuttosto serve a ricavare un quadro oggettivo delle condizioni di partenza di un eventuale progetto di evoluzione digitale, con l’obiettivo di incrementare il potenziale competitivo innovando il proprio modello di business ed individuando le azioni prioritarie da attivare.

Sulla base delle risultanze dell’analisi, infatti, sarà possibile verificare la congruenza dei nuovi processi con le architetture informatiche già esistenti nell’azienda e definire le tecnologie abilitanti più adatte al contesto; progettare l’inserimento in azienda delle tecnologie individuate; pianificare come integrare l’IT con l’OT (Operation Technology); implementare il tutto con logiche di Smart manufacturing, Smart factory e Smart Governance; valutare il livello di CX (Customer eXperience) per ridisegnare il percorso del cliente e massimizzare fidelizzazione e customizzazione.

Potranno, inoltre, essere definiti il potenziale ed il fabbisogno formativo delle HR e pianificati interventi di training, formazione e addestramento del personale. Saranno infine da sviluppare i prodotti in chiave Smart product, riprogettandoli in funzione del PLM (Product Lifecycle Management), degli Add-on digitali e del «Product-as-a-service».

È fondamentale quindi creare le condizioni ed i requisiti per un’implementazione di successo. Il processo innovativo deve essere trasversale e inclusivo, coinvolgendo la totalità dei collaboratori. Allo stesso modo, ci deve essere un forte impulso da parte della Governance aziendale, perché è tipicamente un processo Top-down che parte sempre e unicamente dalla forte determinazione e dalla consapevolezza del valore strategico del progetto.

 

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* Andrea Donato, Business Innovation manager, esperto di riorganizzazione aziendale per la trasformazione digitale, è uno dei docenti di P-Learning, società specializzata nell’e-learning (piattaforme LMS, corsi on-line a catalogo e personalizzati) di alta qualità.
Dopo una lunga esperienza manageriale in aziende italiane e multinazionali ed il conseguimento del Master in Innovation Management, con la duplice certificazione delle competenze professionali di Consulente di Direzione e Temporary manager, Donato svolge attività di consulenza direzionale in ambito strategico su temi quali l’innovazione, il miglioramento organizzativo, la ridefinizione del modello di business, la trasformazione digitale applicati alla competitività delle PMI. La sua attività di docente e formatore è focalizzata in particolare sulle tematiche inerenti a progetti di riorganizzazione, revisione del modello di business, trasformazione digitale ed Impresa 4.0 in ambito associativo e aziendale.













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