Nell’epoca della fabbrica 4.0 il Chief Information Officer è Re

Chief Information Officer

di Marco de’ Francesco ♦ Perno della digital transformation aziendale, il CIO cambia funzione, acquisisce attribuzioni decisive e aumenta la sua importanza. Un cambiamento registrato da una ricerca KPMG che delinea i nuovi orizzonti d’impiego di quello che è sempre più un dirigente strategico. Con una mission: legare tecnologia e business

Per anni, da quando l’informatica ha messo piede in azienda, il CIO (acronimo di Chief Information Officer, altrimenti detto capo dell’It, o in alcune realtà direttore dell’informatica, o dirigente di informatica, tanto che a Torino esiste il famoso Club dirigenti di informatica) ha svolto una funzione di tecnico specializzato al servizio del top management. Adesso, all’epoca della Fabbrica 4.0 siamo a un punto di svolta: il CIO è destinato ad assumere il ruolo di mediatore di relazioni tra l’IT e il Business, e tra questi e l’ecosistema esterno. Ed è diventato un dirigente strategico, cruciale per la stessa esistenza in vita dell’azienda, di pari livello del Chief Financial Officer e del Chief Marketing Officer. E forse, in alcune realtà, ancora di più. Insomma, all’epoca della Fabbrica 4.0 il CIO è re, come abbiamo titolato.

Il fatto è che con l’allineamento tra Business e IT, il primo è diventato digitale e nuovi servizi e modelli di business sorgono grazie all’IT. Servono team complessi e flessibili, in grado di elaborare strategie che mettano insieme IT, Business, ma anche l’Operating; e che siano dirette a governare l’ecosistema dei partner. E occorrono piattaforme che favoriscano l’interazione di tutti gli attori in gioco, che siano clienti o sviluppatori. Il nuovo CIO sarà dunque l’orchestratore dei rapporti che si affermano nell’ambiente modificato dall’innovazione digitale.







E dal momento che non sono più immaginabili operazioni di Business che ignorino l’IT, chi gestisce quest’ultima vedrà accrescere il proprio rilievo professionale. La pensa così Gaetano Correnti, partner KPMG head of CIO Advisory; e d’altra parte il cambiamento emerge dalla ricerca “Harvey Nash/KPMG CIO Survey 2017”, vasto sondaggio in materia giunto alla 19esima edizione: sono stati sentiti 4.500 CIO e technology executives di 86 paesi. Analisi condivisa nel corso del CIO Executive Meeting “Il nuovo ecosistema della digital company” svoltosi a Milano nella sede del Gruppo 24 Ore. Va precisato che Industria Italiana è impegnata in un’analisi sulla figura del CIO che darà vita ad una serie di articoli.

CIO Executive Meeting - KPMG Correnti (def1)

La ricerca KPMG

La ricerca registra diversi “impatti” determinati dalla digitalizzazione sulla figura professionale e sulla attività del CIO. L’IT, si legge, sta gradualmente diventando una Business Technology. Poi, nella nuova realtà determinata dalla Quarta Rivoluzione Industriale, l’assegnazione delle risorse e la determinazione delle priorità vanno riviste ogni tre mesi, o forse anche con una cadenza più stretta. Inoltre le strategie dell’IT e del Business coincidono, mentre i modelli di domanda-fornitura diventano obsoleti. Infine, l’infrastruttura dell’IT è ormai una commodity e ha costi piuttosto irrilevanti, di per sé. Tante circostanze influiscono sulla figura del CIO. Ora, può sembrare singolare che nella ricerca si legga che i CIO diventeranno obsoleti, a lungo termine, e che non gestiranno più la fabbrica IT. E ciò anche perché i confini organizzativi stanno diventando sempre più labili, nelle aziende. Ma cosa sta succedendo?

Secondo Correnti, «ciò che è cambiato, nel breve periodo, è che prima si chiedeva al CIO di presidiare la tecnologia; ma nel frattempo la tecnologia è diventata parte integrante del Business. Certo, ora il CIO è tenuto ad adottare un linguaggio che non gli è consono; ma la prima sfida che deve affrontare è fare di sé un uomo che leghi tecnologia e business. Non è poco. Significa che se l’imprenditore ha una nuova idea relativa all’evoluzione del prodotto, si deve rivolgere al CIO, che gli fa comprendere se quell’idea sia traducibile nella realtà dei fatti. La tecnologia che si fa business diviene parte della catena del valore».

 

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Gaetano Correnti, partner KPMG head of CIO Advisory

Secondo la ricerca, il 64% dei CIO riconosce che il contesto politico, economico e di business sta diventando sempre più imprevedibile. Lo studio definisce, per questa figura professionale, cinque priorità, qui presentate in scala decrescente: anzitutto, il 52% sostiene che occorre creare piattaforme tecnologiche più flessibili e agili; poi, il 49% ammette di lavorare con budget ridotti rispetto al passato; ancora, il 45% afferma che sta investendo in cyber security per far fronte all’aumento degli attacchi informatici; inoltre, il 34% dichiara che sta investendo in automazione: digital labour, cognitive automation e automazione dei processi; infine il 25% dichiara di lavorare in aziende in cui è stato designato un Chief Digital Officer.

CIO Executive Meeting - KPMG Correnti (def2)

A proposito, secondo Correnti «in questo contesto, dando un occhio all’interno dell’azienda, Il CIO trova il proprio contraltare nel Digital Officer, che alla fine si occupa solo di digitale. Alcuni CIO sono già impegnati nell’assorbire anche questa funzione. Mi spiego meglio. Il CIO da una parte deve governare il digitale e mantenere la macchina attiva; dall’altra il suo è un punto di vista privilegiato sull’innovazione: deve cercare di comprendere quali linee di prodotto funzionino, senza temere di fallire. Deve anticipare il domani. Infatti oggi il CIO viene assunto da aziende diverse, rispetto a quelle di riferimento settoriale, quelle di cui si sarebbe occupato fino a poco tempo fa. Il fatto è che sono sempre più rilevanti esigenze di contaminazione».

CIO Executive Meeting - KPMG Correnti (def3)

Verso la commoditization della tecnologia

Ma perché il contesto sta cambiando? Secondo la ricerca, l’attuale trasformazione digitale è «estremamente differente dalle precedenti ere di evoluzione tecnologica». Cambia il comportamento del cliente; cresce la ricerca del valore dell’informazione; aumentano le aspettative della forza lavoro. Pertanto, sempre secondo lo studio, si assiste ad una progressione verso la commoditization della tecnologia; ad un miglioramento del livello di integrazione e della connettività; e ad una costante ricerca di alternative più economiche per presidiare il mercato. A causa di tutto ciò, dice la ricerca, il 35% delle aziende ha sviluppato una strategia digitale per l’intera impresa (con un aumento del 27% nel 2015); d’altra parte, il 27% della “disruption” è già dovuto a innovazioni digitali nella fornitura di prodotti e servizi.

Tutti questi cambiamenti hanno determinato una risposta organizzativa. Il CIO 1.0 era legato ad un IT pensato come supporto tecnico. Nel contesto di una organizzazione gerarchica, era un tecnico altamente specializzato. Si occupava di supportare i processi amministrativi, alla luce di uno scarso allineamento con la strategia di Business, visto che IT e Business rappresentavano mondi separati. Il CIO 2.0, invece svolge la sua attività sulla scorta di una nuova consapevolezza: l’IT è un ponte tra Business e tecnologia. Per supportare tale interazione, il CIO è chiamato a implementare modelli di domanda-fornitura. L’interazione si fa sempre più strutturata, e vengono disegnati processi tecnologici in linea con le richieste del Business.

CIO Executive Meeting - KPMG Correnti (def4)

Arriva Il CIO 3.0

Ma ora siamo al CIO 3.0: la funzione IT, parte strategica e integrata del business, governa la discontinuità della Digital Trasformation. Il fatto è che: il business è diventato digitale e nuovi servizi e modelli di business sorgono attraverso l’IT; le nuove tecnologie consentono ai nuovi operatori di lanciare rapidamente nuovi prodotti e servizi; Business e IT lavorano insieme in squadra e a livello strategico; si è creato un ecosistema multi-sourcing di partner; e una rete flessibile e integrata di team comprendenti IT, Business e Operations.

Si assiste ad un gap tra la velocità esterna e quella interna all’azienda. Occorrono modelli agili e adattivi, che portino ad un nuovo equilibrio. «In effetti – continua Correnti – il mondo esterno è contaminato dalla consumerizzazione dell’IT. Assistiamo, cioè, ad un cambiamento guidato dal comportamento dell’utente finale. È un processo non governabile con i modelli tradizionali. Pertanto le aziende che evolvono devono cambiare qualcosa: il bilanciamento è urgente, e comporta metodi più agili e interazioni più fluide».

Sono necessari nuovi meccanismi di governance, nuove competenze e un mindset aperto per affrontare il cambiamento. E poi, dal momento che si assiste alla contaminazione di competenze IT e Business per progettare soluzioni digital, Il CIO è chiamato a facilitare i nuovi meccanismi relazionali. «Bisogna creare delle squadre dotate di diverse competenze – afferma Correnti – e ciò al fine di ottenere un diverso modello di interazione per fare evolvere sia chi presidia il business che chi presidia l’IT, vicendevolmente. La verità è che non si può più realizzare un prodotto a prescindere da ciò che ne pensa l’IT».

Chi è il nuovo CIO

Dunque, chi è il nuovo CIO? «Meglio fare un passo indietro – chiarisce Correnti -: dobbiamo pensare che i prodotti non sono più realizzati in modo verticale, perché devono soddisfare le esigenze del nuovo consumatore. Questo soddisfacimento si realizza con la connessione di servizi eterogenei. Si tratta di orchestrare, di coordinare un ecosistema fatto di componenti diverse, e ciò grazie a piattaforme. Nell’ecosistema sono presenti produttori di valori (sviluppatori e partner) e consumatori di valore. Questi soggetti interagiscono, nella piattaforma. Ecco, il CIO può essere l’owner della piattaforma, l’aggregatore, il responsabile dell’erogazione del servizio. D’altra parte, alla fine il consumatore a chi si rivolge? Al gestore della piattaforma. A ciò si aggiunga che la piattaforma deve gestire anche servizi realizzati da terzi».

In pratica, l’IT è una piattaforma che riguarda sia il Business che l’Operating. Dal punto di vista del Business, concerne anche gli sviluppatori e i partner, non solo i clienti; e dal punto di vista dell’Operating, ha una architettura complessa che contempla l’interfaccia, le API (interfaccia di programmazione di un’applicazione), le SDK (pacchetti di sviluppo per applicazioni), l’integrazione dei servizi e la gestione degli asset. Ma anche la gestione delle partnership, dei consorzi e degli sponsor. Per Correnti, il nuovo CIO è in sostanza un mediatore di tutte queste realtà che si incrociano.

CIO Executive Meeting - KPMG Correnti (def5)

La domanda e l’offerta di oggi complicano la gestione dell’ innovazione

Secondo la ricerca, oggi domanda e offerta si muovono su equilibri diversi dal modello tradizionale. A causa della «scarsezza di risorse e della domanda dei ‘Millennials’, attenta e orientata alla soddisfazione delle proprie esigenze, la concorrenza si sta focalizzando su innovazioni disruptive: il ciclo di vita per l’innovazione digitale viene stravolto in termini di tempo; il riconoscimento del valore dell’innovazione viene anticipato e l’abbandono fast fail non viene percepito come un fallimento». Non è facile gestire l’innovazione. Sull’asse cartesiano, se il valore è l’ordinata e il tempo è l’ascissa, la discesa tra la maturità e il declino è assai ripida.

Per Correnti «non bisogna tirarsi indietro, trovando anche il coraggio di rischiare. Certo, la cultura dell’insuccesso non è molto italiana, ma oggi non è un insuccesso percorrere una nuova linea tecnologica che nell’immediatezza non dia risultati. Bisogna avere la capacità di passare da una linea all’altra. D’altra parte l’Industry 4.0 non è solo un rinnovamento tecnologico; è tutt’altro: il digitale è un modello di integrazione che mette insieme più servizi, più componenti. Il digitale è il governo dell’integrazione tra servizi che prima erano considerati stand-alone. Oggi si raccolgono i dati, ma lo si faceva anche prima; ora però c’è la connettività, che consente l’integrazione tra servizi e quindi la creazione del valore». Bisogna decidere rapidamente, “fallire” rapidamente, ma apprendere con velocità.

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I nuovi “must” per l’IT

Sempre secondo la ricerca, i vecchi “must” per l’IT erano efficienza, standardizzazione, stabilità, affidabilità e controllo. Ora sono tutt’altro. Si parla di visione e strategia “digitale” olistica, di semplicità ed agilità nell’esecuzione, di cultura innovativa e flessibile, di collaborazione IT-Business. Dunque, secondo la ricerca, la figura del CIO si dirige verso un nuovo modello di leadership, che consiste nel governare il nuovo modello digitale, aggiornando il modello relazionale con la leadership; nel gestire i talenti come priorità ed elemento differenziante; nel mantenere un forte allineamento con il business model; nel governare il nuovo ecosistema di partner e nel garantire l’innovazione, mantenendo il rischio governato.

Per Correnti «due sono le componenti del modello: anzitutto, si tratta di saper comunicare con le controparti, sia interne che di altri comparti; il ruolo del CIO, da questo punto di vista, consiste nel far comprendere che l’elemento decisionale è accompagnato da un elemento di business. Insomma, il CIO deve essere nel Board, ma non deve subire decisioni prese da terzi. Deve avere un ruolo nella catena del valore. E poi: l’IT non si basa sugli skill tradizionale; è un ruolo che evolve, verso un grado di managerialità spinta. Non è più un costo operativo, ma un manager di risorse umane, in grado di governare quelle che gli sono state assegnate. Il millennial tende al cambiamento, e ha aspettative diverse da colleghi che hanno 30 anni di esperienza alle spalle. Insomma, il CIO governa l’innovazione, che intuisce e presidia. E deve orchestrare soluzioni non solo interne all’azienda. Il nuovo CIO è un manager che ha la capacità di comprendere non solo il suo modello di business, ma il cambiamento del mondo esterno; anzi, non presidiando solo la tecnologia, è il motore del cambiamento».

 

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Veduta aerea dello stabilimento Phoenix a Verdello (BG)
Un esempio sul campo: Phoenix International

I progressi del CIO sono strettamente legati al contesto in cui opera. Stefano Biava è IT Manager alla Phoenix International, Gruppo bergamasco da 77 milioni di fatturato (e 539 dipendenti); leader europeo nella progettazione, produzione e vendita di matrici in acciaio per l’estrusione dell’alluminio, è passato un anno e mezzo fa ai francesi di Chequers, che hanno battuto la concorrenza dei fondi Hig Capital e Ambienta rilevando la quota di controllo da Opera Sgr. «Si dice che il dato è il nuovo petrolio – afferma Biava -; ma il valore di questa affermazione va valutato nei singoli contesti. La Phoenix, per esempio, è nata per iniziativa di privati, con un’impronta padronale; poi è stata capace di espandersi, e attualmente sta percorrendo la strada che la porterà ad avere un’impronta multinazionale. Il passaggio di proprietà è recente: il nuovo management cerca di guardare al gruppo in vista di un modello multinazionale.»

 

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Phoenix International, interno dello stabilimento

«Ora, gli argomenti tipici del Cio suscitano poca sensibilità; ma si comincia a percepire che il patrimonio è il dato, nel senso più ampio del termine: non solo il singolo file, ma quello che rappresenta; riusciamo a risalire alla progettazione di 25 anni fa, grazie al fatto che è in corso la digitalizzazione dell’archivio. In pratica, quando un cliente chiede un particolare relativo ad un vecchio piano, noi riusciamo a reperirlo. Una reperibilità che agli occhi del management è business puro. Con un click si risparmiano i 50 minuti che avrei buttato via cercando un dato non digitalizzato; faccio la stessa cosa risparmiando tempo e denaro.»

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Stefano Biava , IT Manager Phoenix International

«E poi è un servizio per il cliente, che può verificare l’archivio dei pezzi che il mondo Phoenix gli ha fornito negli anni. Il cliente è sgravato dalla gestione dell’informazione; mentre noi possiamo richiamare un progetto e modificarlo, in base a nuove esigenze dell’azienda. È un processo snello. Com’è noto, noi trattiamo acciaio, facciamo matrici; il vantaggio è che il prodotto è customizzato ed è veloce: arriviamo subito a casa del cliente. E questo è un vantaggio per lui e per me, che ho snellito i tempi di evasione. Il patrimonio dei dati serve a questo».

Secondo Biava, la nuova legge dell’Ue finirà, indirettamente, per conferire un maggior rilievo al lavoro del CIO. «Sicuramente tutto ciò mi ha reso più appetibile agli occhi del nuovo management. Certo, devi sempre fare qualcosa di più: se un concorrente fa un servizio per il cliente, devi essere in grado di fare altrettanto, e di più. È questo il valore aggiunto. E ancora, c’è l’obbligo della gestione del dato: il 25 maggio 2018 entra in vigore la nuova privacy europea: si tratta di un regolamento che entra in funzione automaticamente. Un documento scritto in stile anglosassone, con pochi (80) articoli ma chiari: bisogna garantire l’integrità dei dati. »

 

Phoenix: fase di lavorazione

«Vanno trattati in un certo modo, senza scappatoie. Sono previste sanzioni pesantissime per chi non si adegua: sino al 4% del fatturato. Se un dato in qualche modo è perso, o si crea il pericolo che possa essere utilizzato da terzi non autorizzati, si deve subito (entro 72 ore) denunciarlo e comunicarlo ad un apposito ente europeo. Dal momento che si è fatta la segnalazione, si deve attendere l’arrivo di ispettori dell’ente, che chiederanno quali strumenti sono stati messi in campo per tutelare i dati. Se hai fatto il possibile, forse te la cavi con una lieve sanzione; ma se le cose non stanno così, allora possono essere guai. Per l’azienda è una rogna. Dobbiamo gestire risorse e informazioni che non ritenevamo importanti».

CIO Executive Meeting - KPMG Correnti (def7)

Il CIO entrerà nel Board?

Nella ricerca si legge che «negli ultimi anni il CIO è diventato progressivamente più influente. Quest’anno, questa tendenza è proseguita: più di sette su dieci intervistati affermano che l’influenza del CIO sta aumentando. Più CIO stanno prendendo un posto al “tavolo superiore”. Nel 2005, appena il 38% dei CIO era seduto nel comitato esecutivo; oggi tale cifra è salita al 62%. I leader IT stanno lavorando sempre più a livello di board. Più di tre quarti hanno partecipato ad un incontro al Board negli ultimi 12 mesi. Gli argomenti trattati al Board includono strategia IT, investimenti tecnologici, trasformazione digitale e, naturalmente, la sempre presente sfida della sicurezza informatica. Questa aumentata esposizione potrebbe aver portato molti CIO ad assumere ruoli leader dell’innovazione in azienda».

Secondo Biava «Almeno nell’immediato non ci sarà una regola. In aziende con cultura padronale, e sono tante in Italia, e con un management snello, il CIO assumerà una nuova e più spiccata importanza, ma probabilmente il suo ruolo non sarà “ufficializzato” con l’appartenenza formale al Board. Certo, stiamo parlando di un ruolo che in genere crescerà sempre di più; le aziende che non si adegueranno, alla fine pagheranno uno scotto. Comunque sia, quanto al nuovo CIO, segnalerei due caratteristiche. Da una parte deve possedere capacità tecnica e passione per il lavoro: altrimenti non riesce a superare i momenti difficili, per i quali occorre una certa forza interiore. Dall’altra deve tenersi sempre aggiornato, in un contesto dove l’informazione è trasversale, è polisettoriale. Deve rapportarsi con più settori, e osservare le cose in modo più ampio».














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