Strategie della guerra Cina-Usa-Europa nel supercalcolo, con pesanti implicazioni industriali

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di Laura Magna ♦ Il confronto economico si combatte a colpi di petaflops. Perché Big Data e apparati industriali sono ormai coincidenti, come spiega Patrizio Bianchi. Il Dragone è ora al top, mentre l’Italia….

Lo strumento per dominare il mondo nel prossimo futuro (almeno quello della produzione) ? Il supercomputer. E a possederne la quota maggiore non sono gli Usa, ma la Cina. Lo apprendiamo dall’ultima edizione della lista Top 500 , stilata dai ricercatori del Lawrence Berkeley National Laboratory, dalla University of Tennessee e dalla società di cloud computing Prometeus. Secondo la lista, Pechino non solo possiede i supercomputer più veloci al mondo ma  se consideriamo la classifica per quantità di supercomputer disponibili, ne ha 202 contro i 143 degli Usa, che restano secondi in classifica, ma che sono sui minimi dal 1993, anno dal quale la lista viene compilata. Il terzo posto è occupato dal Giappone con 35 supercomputer, quarta è la Germania con 20 calcolatori; seguono Francia e Gran Bretagna, con 18 e 15 super calcolatori.

 







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Percentuale di supercomputer per nazione

In realtà, che la Cina stesse avanzando a passi da gigante era visibile già dal 2010, quando nella lista per la prima volta un suo super computer  era salito sul gradino più alto del podio. Dal 2013 la medaglia d’oro è rimasta costantemente in mano ai cinesi e quest’anno il più potente computer del mondo è il Sunway TaihuLight, capace di eseguire operazioni con prestazioni di 93 petaflops. La vera novità è che, per la prima volta, la Cina ha prodotto in casa l’hardware, dunque è in grado di dominare la tecnologia che sta dietro la superpotenza di calcolo. Un esempio di cosa stiamo parlando: in informatica FLOPS è un’abbreviazione di FLoating point Operations Per Second e indica il numero di operazioni in virgola mobile (un approssimazione dei numeri reali) eseguite in un secondo dalla CPU. Peta è invece un prefisso che significa 10 elevato alla 15. Cioè un milione di miliardi. Il computer più potente al mondo oggi riesce a eseguire 93 milioni di miliardi di calcoli al secondo.

 

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La top ten dei supercomputer più veloci al mondo

 

L’ascesa della Cina

In principio fu Tianhe, che in mandarino significa “via Lattea”. Fu istallato al National Supercomputer center di Guangzhou detenendo lo scettro di supercomputer più potente del mondo per oltre due anni, a partire dalla metà del 201. Poi, alla fine del 2016, è stato superato dal Sunway TaihuLight, tre volte più potente del suo predecessore: 93 petaflops (espandibile a 124,5) contro i 34 che riusciva a elaborare Tianhe. Questo gioiello è frutto della ricerca del centro di Wuxi. Gli Usa hanno raccolto il guanto di sfida e avviato un progetto che dovrebbe portarli a riagguantare lo scettro con Summit, super-pc che dovrebbe essere pronto a inizio 2018 ( vedi video a seguire ).

 

 

Non si tratta solo una prova di forza per il prestigio globale, ma della corsa al dominio di uno dei principali fattori di produzione del domani. Possedere la potenza di calcolo è ad esempio la chiave per controllare il traffico aereo e gestire il cambiamento climatico, grazie a previsioni accurate; per ottenere vantaggi nel campo della ricerca, molecolare, matematica, fisica; per rafforzare la difesa grazie a una cybersecurity più efficace; per avvantaggiarsi di dati che vengono immessi sui cellulari dagli utenti; ultimo, ma per noi più importante, per fornire i fattori abilitanti di industria 4.0, che è la strada obbligata per le manifatture di tutto il mondo. Oggi mondo dell’elettronica e mondo della produzione sono praticamente coincidenti e senza adeguati strumenti tecnologici che abilitino la quarte rivoluzione industriale, la manifattura è spacciata. Di più: se a controllare questi sistemi abilitanti sono Cina e Usa, la possibilità che l’Europa e l’Italia giochino un ruolo rilevante, diventa rarefatta.

 

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La “lunga marcia” della Cina verso il primato nella potenza di calcolo

 

Ci sono elementi positivi che non inducono, per fortuna, a una rassegnazione fatale: l’Italia ha il primato del super-pc europeo (lo possiede il consorzio universitario CINECA, lo vedremo più avanti in dettaglio) e può ambire a essere il perno della ricerca europea in questo ambito.Nel nostro continente l’interesse a livello istituzionale inizia a crescere: lo scorso anno la Commissione Junker ha stanziato 5 miliardi per gareggiare con  America e Asia per la leadership del super calcolo. Questi miliardi serviranno a sviluppare l’high performance computing (hpc)  e il commitment dei singoli Stati membri è forte: lo dimostra il fatto che il 23 marzo, al Digital Day di Roma che celebrava i 60 anni dell’Unione, Italia, Germania, Francia, Spagna, Portogallo, Olanda e Lussemburgo hanno firmato l’accordo per sviluppare l’Euro-hpc, il supercomputer europeo.

 

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Il supercomputer cinese Tianhe-2

Il gap dell’Europa: come recuperarlo?

Questo impegno sarà sufficiente a colmare il gap e a riportare l’Europa, unita, sul podio del super calcolo? Ne abbiamo parlato con Patrizio Bianchi, professore ordinario di Economia applicata alla Facoltà di Economia, già rettore dell’Università degli Studi di Ferrara.

«Noi della Cina abbiamo sempre un’idea centrata su quello che era in passato, ovvero un Paese che giocava sulla competizione basandosi su prodotti a bassissimo prezzo e di bassissima qualità. Quella realtà non c’è più. La Cina è riuscita ad avere tantissima liquidità grazie al suo passato di fabbrica del mondo, ma successivamente e quasi in sordina si è spostata molto in alto sulla produzione scientifica, investendo moltissimo in Università. Le università cinesi hanno investito in strumentazioni, ma anche in big data: con il risultato che nei sistemi di supercalcolo è diventata tra i principali operatori al mondo. E la capacità di supercalcolo fa la differenza nei sistemi produttivi: perché chi ha capacità di gestire non solo l’operatività ma soprattutto i sistemi complessi basati sui dati, di fatto controlla industria 4.0, che altro non è che un’industria che si fonda su dati e superdati».

 

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Patrizio Bianchi, professore ordinario di Economia applicata alla Facoltà di Economia

I big data sono a tutti gli effetti un fattore di produzione che si aggiunge a quelli tradizionali. «Il fatto che la Cina abbia investito molto in questo ambito dà un’idea precisa del posizionamento che vuole avere nel mondo. I servizi sono un altro elemento su cui a Pechino e dintorni si sta puntando massicciamente. Direi che la Cina è come l’allievo che supera il maestro: ha appreso moltissimo dall’estero, dal mondo occidentale, e oggi tutte le politiche di attrazione degli investimenti hanno fatto arrivare nel Paese prima la produzione, e poi la progettazione: a Shenzen, grande città industriale a sud di Canton, si fa ingegneria. Un’università come la South China University of Technology a Guangdong sta al pari con le grandi Università Usa», continua Bianchi, che sottolinea come questo processo di apprendimento dall’occidente abbia infine portato il primato nell’ ambito pc nel Celeste Impero.

«Basti pensare ai computer Lenovo, che hanno acquisito tutta la divisione dei portatili di IBM e sono diventati non solo autonomi, ma anche leader di mercato. Lo stesso dicasi per i telefonini: un produttore come Huawei, che era mediocre, è diventato un leader assoluto in un mondo che non è solo più mera telefonia mobile. Il telefonino che si ha in tasca è ora un terminale e si avvale del cloud per funzionare. Ma le macchine per supportare il cloud da qualche parte ci devono essere. Chi ha le macchine controlla il flusso di dati e dunque di fatto la produzione. Se sul mercato la leadership dei pc è cinese, l’equazione è presto fatta. Non bisogna sottovalutare lo spostamento che la Cina sta facendo su tutto il comparto e quanto stia cambiando il concetto di elettronica. Al contrario bisogna prestare grande attenzione al mondo del supercalcolo, per non restare spiazzati».

 

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Il supercomputer Marconi al Cineca ( photo by Tukulty 65 )

Italia hub europeo del super calcolo

La vecchia Europa, in questo contesto rischia davvero grosso. Ma non tutto è perduto, come dicevamo. In Italia ci sono alcuni dei computer più potenti al mondo; il Cineca di Bologna dispone, per fare un esempio calzante, del più potente computer d’Europa. Cineca è un consorzio Interuniversitario senza scopo di lucro formato da 70 università, 8 enti di ricerca nazionali e il Miur. Costituito nel 1969 (come Consorzio Interuniversitario per il Calcolo Automatico dell’Italia Nord Orientale), oggi è il maggiore centro di calcolo in Italia, uno dei più importanti a livello mondiale. Operando sotto il controllo del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, offre supporto alle attività della comunità scientifica tramite il supercalcolo e le sue applicazioni, realizza sistemi gestionali per le amministrazioni universitarie e il MIUR, progetta e sviluppa sistemi informativi per pubblica amministrazione, sanità e imprese. Ha sedi anche a Milano e Roma e oltre 700 dipendenti, e opera al servizio di tutto il sistema accademico, dell’istruzione e della ricerca nazionale.

 

https://www.youtube.com/watch?v=nYKaLVfi7YY

 

Il suo supercomputer si chiama Marconi (c’è dentro tecnologia Lenovo e Intel) e per realizzarlo è stato stanziato un investimento da 50 milioni di euro in due fasi, a partire da aprile 2016: la prima ha messo a disposizione della comunità scientifica una potenza di calcolo pari a circa 20 petaflop e una capacità di memorizzazione dati di oltre 20 petabyte, la cui messa in produzione si è completata nella seconda metà del 2017. La seconda fase inizierà nel corso del 2019 e avrà come obiettivo l’incremento della potenza disponibile fino a raggiungere i 50/60 petaflops entro il 2020. Sempre restando in Europa, se riprendiamo in mano la classifica di Top 500   vediamo che il primo europeo – non Ue – della top ten è invece Piz Daint, svizzero, ospitato a Lugano.

 

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Il supercomputer svizzero Piz Daint

 

L’impegno della Commissione europea

Lo scorso ottobre è stato annunciato lo sviluppo di un primo prototipo per un’infrastruttura di supercalcolo tutta europea, sia per design sia per tecnologia . Questo è l’obiettivo di EuroExa, progetto finanziato con 20 milioni di euro nell’ambito del programma di ricerca Horizon 2020, lanciato dalle sedici istituzioni europee che vi partecipano, tra cui l’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) e l’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) in Italia. La potenza di calcolo di queste macchine mira ad arrivare all’exaflops, ovvero a un miliardo di miliardi di operazioni aritmetiche al secondo. Una sfida che consentirebbe all’Europa di tornare in gioco e di competere con Usa e Asia. Ci vorranno almeno cinque anni ed è su questo arco temporale che si estende il progetto. E ci vorrà uno sforzo comune che richiederà agli Stati di allearsi e abbandonare personalismi e campanilismi, perché nessuna nazione del Vecchio Mondo da sola ce la può fare contro la potenza di fuoco del resto del mondo.

«Quando si dice che l’Italia ha un sistema scientifico che non tiene e che rimane minoritario, noi possiamo opporre queste eccellenze: il mondo sta cambiando moltissimo e la Cina ci dimostra che in questi sistemi si può rapidamente crescere (e anche calare). L’Italia deve essere in condizioni di rafforzare la propria posizione nell’interesse sia nazionale ma anche dell’Europa. A Bologna stiamo concentrando la maggior potenza di supercalcolo in Europa, con risorse nostre, nazionali e mi auguro anche europee. Ma temo che questa operazione sia fortemente sottovalutata nel dibattito nazionale, non c’è percezione di cosa voglia dire avere le macchine: vuol dire controllare il cloud, e i sistemi di comunicazione e di supercalcolo connessi», afferma Bianchi. Che invece sottolinea le ragioni per cui l’attenzione andrebbe tenuta alta.

 

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Il supercomputer Marconi al Cineca ( photo by Tukulty 65 )

L’importanza di stimolare il dibattito sulla potenza di calcolo

«Supercalcolo non è solo una macchina, – sottolinea Bianchi – vuol dire che chi lo controlla riesce a gestire l’evoluzione dei processi, dal controllo del traffico aereo fino al fatto che ogni volta che qualcuno accende il telefono regala dati sensibili. E controlla anche la produzione, che come abbiamo già detto, e lo ribadiamo, di fonda sui big data come su capitale e lavoro. Questo controllo dei dati diventa cruciale e la Cina sta lavorando per possederne le chiavi. La posizione italiana non è negativa, al contrario. E può essere la rampa di lancio da cui l’Europa riprenda la corsa e colmi il ritardo accumulato in passato. Ma per farlo bisogna investire in maniera massiccia». Ed è persino difficile capire come mai nel dibattito sia così tralasciato questo elemento da cui scaturisce tutto, la stessa industria 4.0. «Abbiamo messo una grande enfasi su industria 4.0 che colpisce l’immaginario e che crea attenzione. Mentre su quello che sta a monte, cose fisiche e terminali, non si ha la percezione complessiva di quanto il supercalcolo sia rilevante. E contribuisce a questo gap anche la sfiducia innata per il nostro Paese. Le capacità ci sono e però bisogna investire molto: se ci riusciamo l’Italia all’interno di un sistema europea può essere hub di riferimento e possiamo competere persino con la Cina», conclude il professore.














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