La scommessa è di quelle grosse, ma vale la pena giocare la partita fino in fondo. L’Italia e la sua industria si preparano ad abbracciare la rivoluzione dell’idrogeno, l’energia del futuro. L’eolico, il solare, il mare, non possono bastare a soddisfare la domanda di una manifattura che dipende ancora dall’energia straniera, una volta completata la decarbonizzazione. L’Italia ha i suoi assi nella manica, il gas di cui i nostri fondali sono ricchi e appunto l’idrogeno. L’incubatore di questo cambiamento è Eni, il primo player energetico nazionale, ma non solo. C’è anche Snam, che si prepara a diventare il perno, se già non lo è, di un’Italia che presto a tardi viaggerà a idrogeno. Industria Italiana ha voluto fornire ai suoi lettori una panoramica di un processo che nolenti o volenti, è inevitabile.
Perché l’idrogeno
Nessuna forma di energia può conquistare il mercato senza precisi vantaggi economici. Ma l’idrogeno le carte in regola le ha. Tanto per cominciare i suoi costi di produzione potranno scendere di oltre il 70% nei prossimi dieci anni, secondo uno studio di Bloomberg New Energy Finance. L’Italia, grazie all’abbondanza di rinnovabili e ai collegamenti con il Nord Africa, potrebbe quindi raggiungere il punto di pareggio con l’idrogeno grigio (quello meno rinnovabile per intendersi ma molto più economico del verde che invece si ottiene tramite elettrolisi dell’acqua a partire da fonte energetica solare o eolica e quindi trasportato, immagazzinato e utilizzato come un gas) ben 5-10 anni prima rispetto ad altri Paesi, tra cui la Germania, ottenendo un costo competitivo dell’idrogeno già entro il 2030. Non è tutto. Sempre secondo il calcoli di Bloomberg, il costo di stoccaggio è inoltre dieci volte inferiore rispetto alle batterie (circa 20 dollari a megawatt/ora contro 200 dollari/MWh). Per farsi un’idea, un kg di questo gas alimenta un’automobile a cella combustibile per 130 chilometri, riscalda un’abitazione per due giorni e serve per produrre 9 kg di acciaio a partire dal ferro grezzo. Per la seconda manifattura d’Europa, non è poco.
Un’Italia a idrogeno
Non è dunque forse un caso se secondo l’Hydrogen Council il valore dell’economia dell’idrogeno è destinato ad aumentare dagli attuali 100 miliardi di dollari l’anno a 2.500 miliardi nel 2050 a livello globale. In questo scenario l’Italia può essere un mercato attrattivo grazie alla presenza diffusa di energia rinnovabile e di una rete capillare per il trasporto di gas, di cui Snam è alfiere. Di qui una conclusione importante, incastonata in un recente studio Snam-McKinsey: In Italia l’idrogeno potrebbe arrivare a coprire quasi un quarto (23%) della domanda nazionale di energia entro il 2050 in uno scenario di decarbonizzazione al 95% (necessario per rientrare nel target di contenimento del riscaldamento globale entro 1,5°), più dell’attuale quota di mercato combinata dell’elettricità generata da fonti rinnovabili e fossili (20% nel 2018). Questa crescita potrebbe verificarsi grazie alla progressiva e ormai consolidata diminuzione del costo di produzione dell’energia elettrica rinnovabile solare ed eolica e a una contestuale riduzione del costo degli elettrolizzatori, determinata dalla produzione di idrogeno verde su larga scala.
Il ruolo di Eni
Il propulsore di un’industria che va verso l’idrogeno è Eni. Il gruppo italiano guidato da Claudio Descalzi ha in questi mesi posto in essere numerosi accordi in chiave idrogeno. Uno di questi è con Toyota Motor Italia, la scorsa estate, con cui accelerare la diffusione della mobilità ad idrogeno in Italia. La prima fase del progetto prevede l’apertura di un punto di rifornimento di idrogeno presso la nuova stazione di servizio Eni a San Donato Milanese. La nuova stazione sarà una struttura polifunzionale e di design perfettamente integrata architettonicamente con il nuovo Centro Direzionale Eni che è in costruzione. La stazione prevedrà la vendita di prodotti petroliferi premium combinata con la vendita di carburanti avanzati come bio-metano, idrogeno ed elettricità: le autovetture che vi si riforniranno potranno così dare un contributo sostanziale alla riduzione delle emissioni di CO2. Inoltre, l’idrogeno disponibile nella stazione sarà a “emissioni zero”, in quanto autoprodotto nella stessa stazione per elettrolisi dell’acqua utilizzando energia rinnovabile.
Altra operazione, sempre targata Eni, la trasformazione dei rifiuti in nuova energia, idrogeno e metanolo. È l’obiettivo congiunto di Eni e Maire Tecnimont (attraverso la propria controllata per la chimica verde NextChem), che hanno sottoscritto poche settimane fa un accordo di partnership per lo studio e realizzazione di una tecnologia di conversione, tramite gassificazione ad alta temperatura e a bassissimo impatto ambientale, di rifiuti solidi urbani e plastiche non riciclabili per la produzione idrogeno e metanolo. Eni e NextChem valuteranno sinergicamente dal punto di vista tecnico ed economico l’applicazione della tecnologia, che potrebbe essere realizzata in siti industriali di Eni in Italia. In particolare, Eni ha già manifestato l’interesse a valutare il progetto Waste to Hydrogen nella bioraffineria di Venezia, a Porto Marghera, e ha già realizzato lo studio di fattibilità in collaborazione con NextChem. Non è tutto.
Eni e Corepla, il Consorzio Nazionale per la Raccolta, il Riciclo e il Recupero degli Imballaggi in Plastica, si sono unite in una importante partnership industriale, con la quale avviare progetti di ricerca per produrre idrogeno dai rifiuti di imballaggi in plastica non riciclabili. Con la raccolta differenziata, gli imballaggi in plastica vengono infatti selezionati e avviati al riciclo per essere reimpiegati, prevalentemente attraverso la trasformazione in scaglie e granuli, per poi divenire materia prima utile a creare nuovi prodotti. Non tutto, però, può essere riciclato: il cosiddetto plasmix, un insieme di imballaggi post-consumo costituito da plastiche eterogenee che oggi non trovano sbocco nel mercato del riciclo, viene quasi esclusivamente destinato a recupero energetico e in piccola percentuale in discarica. Grazie all’intesa sottoscritta oggi potrebbe essere invece riciclato e trasformato in una nuova materia prima.
La più grande bioraffineria d’Europa
Nei piani all’idrogeno di Eni c’è anche la più grande e innovativa bio-raffineria d’Europa. Avviata nel mese di agosto 2019, con una capacità di lavorazione fino a 750.000 tonnellate annue, sarà in grado di trattare progressivamente quantità elevate di oli vegetali usati e di frittura, grassi animali, alghe e sottoprodotti di scarto per produrre biocarburanti di alta qualità. A Gela tutti gli impianti del petrolchimico realizzato a partire dal 1962 sono stati fermati: per la riconversione della raffineria sono stati a oggi spesi 294 milioni di euro, a cui si aggiungono ulteriori 73 milioni di investimento previsti per ulteriori attività propedeutiche e per la realizzazione del futuro impianto per il pre-trattamento delle biomasse, che verrà completato entro il terzo trimestre 2020 e consentirà di alimentare la bioraffineria interamente con materie prime di seconda generazione, composte da scarti, oli vegetali grezzi e materie advanced.
Snam
La seconda testa di ponte per l’idrogeno è Snam. La società di distribuzione guidata da Marco Alverà (nella foto), sta portando avanti un progetto pilota innovativo, destinato rivoluzionare l’approvvigionamento energetico delle industrie. Nel mese di aprile di quest’anno, a Contursi Terme (Salerno), Snam ha avviato per prima in Europa la sperimentazione di una miscela di idrogeno al 5% e gas naturale nella rete di trasmissione servendo due aziende della zona. L’impegno di Snam nell’idrogeno rientra nel progetto Snamtec, varato nell’ambito del piano strategico al 2022 e caratterizzato da 850 milioni di euro di investimenti in transizione energetica e innovazione.