Nasce Autostrade Concessioni e Costruzioni, Benetton verso una buonuscita da due miliardi

Luciano Benetton, uno degli azionisti di riferimento di Edizione Holding, capofila della catena di controllo di Autostrade

Primo passo verso l’uscita dei Benetton da Autostrade per l’Italia. Ieri è stata costituita una newco dove confluirà la quota che Atlantia ha in Aspi. I dettagli dell’operazione non sono ancora chiari, ma secondo la tesi dominante mentre a Ponzano Veneto arriverà una gratifica stellare, lo Stato, tramite Cdp, si sobbarcherà i debiti di Aspi e una lunga e costosa campagna di manutenzioni

Atlantia al passo serrato verso l’uscita da Autostrade per l’Italia. Ieri infatti la società di infrastrutture autostradali guidata dall’ad Carlo Bertazzo e che ha come principale azionista Sintonia (subholding di Edizione, la cassaforte operativa dei Benetton) ha deliberato la costituzione di una nuova società, Autostrade Concessioni e Costruzioni. Nella newco, che sarà quotata in borsa, confluirà fino all’intera tranche del capitale di Atlantia in Aspi, e cioè l’88%.

Verso una soluzione che piace ai Benetton: i costi se li accolla Cdp







Il quadro della manovra non è chiaro, perché ai fini della scissione da Aspi occorre un accordo con Cassa Depositi e Prestiti, che non è ancora stato definito. La trattativa è in corso, ma è probabile che occorreranno diversi giorni per la quadra. Restano da sciogliere diversi nodi. Secondo l’ipotesi più gettonata, Atlantia scorporerebbe inizialmente il 70% del capitale in Aspi, e Cdp entrerebbe nella newco dopo l’ingresso in borsa a seguito di un aumento di capitale di 6 miliardi. Cdp coprirebbe i 4 miliardi debiti di Aspi trasferiti nella newco e successivamente Atlantia venderebbe a Cdp o a investitori istituzionali il restante 18%, incassando due miliardi di euro. Questa soluzione non può che essere gradita ai Benetton. Lo Stato, invece, che con Cdp guiderà la nuova entità, dovrebbe sobbarcarsi dai 10 ai 14 miliardi di lavori, visto che la situazione dell’infrastruttura autostradale impone l’apertura di una lunga campagna di manutenzioni.

Una soluzione più costosa, per lo stato, di quanto non si sospettasse a luglio, quando si decise di non revocare la concessione ai Benetton ma di sostituirli nella proprietà dell’infrastruttura.

Tutta la vicenda relativa ad Aspi, come noto, ha un casus belli e soprattutto una data di partenza: il 14 agosto del 2018, quando il Ponte Morandi di Genova rovinò parzialmente, causando la morte di 43 persone. Già il giorno dopo, per il vicepremier Luigi Di Maio non c’erano dubbi, sulle responsabilità. «Toglieremo la concessione ad Autostrade» – affermò ai microfoni delle tv. Era l’inizio di una campagna politico-mediatica che avrebbe portato all’attuale situazione. A luglio di revoca non si parlava più, e il governo e il gruppo di Ponzano Veneto si accordarono per la cessione della proprietà da parte di quest’ultimo. All’ora i dettagli erano ancora più oscuri di oggi, ma si era già capito che lo Stato si sarebbe accollato i costi dell’operazione. Si parlava di 4 o 5 miliardi; in realtà, se verrà rispettato lo schema sopra esposto, si tratta di cifre molto più consistenti.

Una svolta incomprensibile, quella di puntare sulla proprietà invece sulla gestione, almeno per Stagnaro e Sapelli

A luglio, in questo articolo di Industria Italiana il direttore dell’Istituto Bruno Leoni Carlo Stagnaro la mise così: «La governance non era adeguata?  Era “pericolosa”? Ci sono responsabilità per il crollo del Ponte e altri disservizi? Bene, partendo da questo principio, lo Stato avrebbe dovuto imporre il cambiamento della gestione. Invece, abbiamo scoperto che la priorità era un’altra: ci si è concentrati  sulla proprietà». In effetti, Il governo aveva tutti gli strumenti tecnici e legali per agire sull’amministrazione senza accollarsi i costi dell’acquisto e della gestione. E tutto ciò accade in una fase pre-giuridica, quando cioè, non è ancora stata fatta chiarezza relativamente ad eventuali responsabilità civili, penali e amministrative. Per il noto economista, storico e accademico torinese Giulio Sapelli, il cui contributo è reperibile in questo articolo di Industria Italiana, la soluzione la soluzione di luglio che ora sta prendendo forma è destinata a generare gravi ripercussioni all’estero. «Una cosa tristissima: si immaginino le conseguenze sul piano internazionale. Sembrerà a tutti una sorta di esproprio, l’intervento dello Stato. L’effetto più immediato, sarà quello di terrorizzare gli investitori globali e le multinazionali, che già faticano a mettere piede in Italia. Molti esultano, ma in realtà è una catastrofe. Non sembra il comportamento tipico di uno Stato europeo o occidentale, piuttosto quello del Venezuela di Nicolás Maduro. Io non credo che azioni di questo genere abbiano mai portato bene ad un Paese. Tendono ad isolarlo».














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