Inverter Vfd e motori Ipm: così Mitsubishi Electric vuole ridurre il costo dell’energia

di Renzo Zonin ♦︎ L’uso di motori a frequenza variabile aiuta le aziende a ridurre i loro consumi e ad accelerare il loro percorso di decarbonizzazione. Mentre quelli a magneti permanenti permettono un miglioramento di prestazioni, efficienza e una riduzione degli ingombri a parità di potenza. Ne parliamo con Gianmichele Piciocco

Blue pump di Mitsubishi Electric

Rendere più efficienti possibile i propri processi energivori: è l’obiettivo fondamentale di ogni industria manifatturiera, soprattutto oggi che il costo dell’energia è divenuto una variabile rilevante. Anzi, più che rilevante, quasi drammatico alla luce della crisi da incremento del costo dell’energia che si sta vivendo e di cui Industria Italiana ha dato conto in numerosi articoli e inchieste. 

Fra i componenti che maggiormente pesano sui consumi energetici delle aziende ci sono i motori elettrici. Le loro prestazioni ed i consumi possono essere ottimizzati passando, ad esempio,  dal collegamento diretto con la linea elettrica o dal vecchio cablaggio “stella -triangolo” a una connessione “mediata” da un inverter (o ”drive”), apparecchio capace di pilotare il motore a frequenza variabile, con una serie di positive conseguenze sui consumi, sull’affidabilità e sulla versatilità del motore stesso. 







Gianmichele Piciocco, marketing manager di Mitsubishi Electric

Ne abbiamo parlato con Gianmichele Piciocco, marketing manager di Mitsubishi Electric divisione Factory Automation. Mitsubishi Electric è fra i leader nel panorama dell’automazione industriale, storicamente fra i primissimi a adottare soluzioni di controllo motori come i drive Vfd (a frequenza variabile) e i motori Ipm (a magnete permanente interno), soluzioni che negli ultimi anni stanno prendendo piede anche nell’automazione di fabbrica. Secondo Piciocco, i vantaggi dei drive multi-capability di nuova generazione sono moltissimi: sia in termini di risparmio energetico; sia in termini di aumento dell’affidabilità e miglioramento delle prestazioni. Tanto da poter essere valutati compiutamente solo in un’analisi di Tco e Oee che tenga conto davvero di tutte le variabili in gioco. 

Per questo, Mitsubishi Electric aiuta le aziende clienti nell’analisi dei progetti di applicazioni con un approccio alla problematica di tipo consulenziale dove, paradossalmente, la scelta del componente da installare è la fase più semplice mentre assume grande importanza lo studio delle interazioni fra le varie componenti dell’impianto completo. 

La via per la decarbonizzazione passa dalla massima efficienza 

La ricerca della massima efficienza è da sempre importante in tutti i settori dell’industria, ma negli ultimi anni, complici le politiche di decarbonizzazione e l’aumento dei costi dell’energia, è un argomento che sta prendendo il centro della scena. Parliamo in particolare della ricerca della massima efficienza nell’uso dell’energia elettrica, risorsa la cui disponibilità nei prossimi anni potrebbe diventare critica, alla luce degli alquanto ottimistici piani europei di produzione. Ma per prevenire un problema pervasivo a livello europeo non basta migliorare del 5 o 6% la resa di qualche macchinario: bisogna intervenire in modo diffuso su apparecchiature di uso comune, presenti nell’industria in migliaia di esemplari. 

Lavorare sulla riduzione dei consumi dei motori elettrici a induzione

Un ottimo candidato a questo lavoro di “efficientamento” è il motore elettrico a induzione, una delle “macchine” più semplici e di maggiore successo fin dalla sua invenzione, avvenuta alla fine dell’800. Oltre un secolo di sviluppo hanno reso il motore un eccellente prodotto, eppure c’è ancora molto margine per migliorarlo, proprio dal punto di vista dell’efficienza – intesa non solo come rendimento del motore in sé, ma come capacità di far eseguire un’applicazione in modo efficiente. 

Evidentemente, il motore è una macchina energivora: si calcola che negli Usa la metà dell’energia elettrica consumata dall’industria sia utilizzata proprio per far girare i motori a induzione. 

Mitsubishi Electric ad Agrate Brianza

La semplicità di base dei motori a induzione fa sì che essi vengano impiegati ancora oggi nella maggior parte dei casi come un secolo fa, mantenendone tutte le caratteristiche non sempre positive: per esempio, il forte picco di consumo all’accensione (in media, 7 volte la corrente nominale di funzionamento) e lo “strappo” alla partenza (che costringe, per evitare danni al carico, a montare sull’asse frizioni, riduttori di giri e altre componenti di disaccoppiamento). Un altro esempio è l’utilizzo con alimentazione diretta di rete, questa “connessione” determina la velocità di rotazione fissa (dipende dalla frequenza di rete e dal numero di poli del rotore) e quindi riduce molto la versatilità del motore e contemporaneamente ne riduce l’efficienza. Il motivo è semplice, ed è legato all’utilizzo del motore stesso: esso, infatti, deve essere dimensionato per il picco massimo di lavoro che deve svolgere, non è possibile né ridurre la potenza, né i consumi del motore. Quindi bisogna intervenire con artifici meccanici legati al particolare utilizzo per “parzializzare” il lavoro svolto dalla macchina. «Un esempio tipico è quello dei motori usati nei sistemi Hvac – spiega Piciocco – Un motore che fa girare una ventola per spingere aria condizionata in un supermercato deve essere dimensionato per sostenere il massimo flusso necessario. Ma nel momento in cui è necessario ridurre l’apporto di aria condizionata, se il motore ha una velocità di rotazione costante, bisognerà intervenire con artifici meccanici, quali strozzature o saracinesche, che riducano fisicamente, quando richiesto, il diametro delle tubature dell’aria. Questo permetterà di regolare flusso d’aria del locale, ma il consumo di energia del motore rimarrà sempre quello del flusso massimo per cui è dimensionato». 

Lo stesso tipo di problema lo ritroviamo in tante applicazioni industriali. Per esempio, nei motori delle pompe o dei nastri trasportatori, tipici casi in cui sarebbe comodo far rallentare la girante o il nastro quando il liquido da pompare o il materiale da spostare è poco rispetto alla capacità massima dell’impianto. 

Negli ultimi tempi abbiamo assistito, grazie all’evoluzione tecnologica, l’affiancamento ai motori ad induzione “standard” di quelli Ipm “a magneti permanenti” che, grazie al loro principio di costruzione, hanno permesso un miglioramento in termini prestazioni, efficienza e una riduzione degli ingombri a parità di potenza. 

I drive Vfd per abbattere i consumi energetici

Inverter di Mitsubishi Electric

Una soluzione valida a questo problema – e contemporaneamente a molti altri dei motori tradizionali ed Ipm – si realizza interponendo fra la linea di alimentazione e il motore un apparecchio chiamato “drive Vfd” (drive a frequenza variabile), un inverter che, grazie ad una regolazione in frequenza, è capace di agire sul numero di giri del motore. Riducendo la frequenza, si riducono i giri del motore collegato aumentandone la coppia, e viceversa aumentando la frequenza la velocità di rotazione aumenta. In questo modo è possibile variare la velocità a cui il motore fa muovere il carico collegato, qualsiasi esso sia. Ma soprattutto, il consumo del motore sarà proporzionale alla quantità di lavoro che deve effettivamente svolgere. E visto che tipicamente i motori vengono dimensionati per il picco massimo, il consumo del motore regolato dal drive sarà generalmente più basso. «Negli impieghi Hvac, tipicamente, si stima che l’inverter porti a un risparmio di energia compreso fra un terzo e due terzi. Diciamo che mediamente si consuma metà rispetto a un motore tradizionale» conferma Piciocco. Ma non è l’unico vantaggio ottenibile usando questi apparecchi, che sono in uso da anni soprattutto nel settore Hvac ma che sono sempre più presenti anche nell’automazione industriale – in particolare, negli ultimi anni, con i sistemi a frequenza variabile di nuova generazione indicati come “multiple-capability drive”, o drive a funzionalità multiple. 

«Un altro vantaggio di questi drive è il fatto di poter controllare la partenza del motore, facendolo accelerare gradualmente e non con la “botta” che riceverebbe se fosse collegato direttamente alla linea elettrica. Non dimentichiamo che un motore tradizionale a ogni partenza ha un picco di corrente molto alto, che genera calore e a lungo andare “cuoce” il rame, riducendo l’affidabilità dell’apparecchio. Con il drive invece posso partire con un’accelerazione progressiva, con un picco di corrente molto più basso e minori “strappi” per la meccanica». Tanto che, in molti casi, è possibile accoppiare direttamente l’asse motore al carico, eliminando frizioni, riduttori di giri e altri artifici meccanici soggetti a forte usura, con il risultato di migliorare anche l’affidabilità complessiva, elettrica e meccanica, della macchina. E rendendo più semplice (e meno costosa) anche la parte di azionamento elettrico. 

Un altro interessante vantaggio “collaterale” dell’uso dell’inverter per controllare un motore è il fatto che esso può regolare anche la coppia. Tipicamente, alla partenza a bassi giri, l’inverter fa sì che il motore sviluppi la massima coppia, mentre la riduce progressivamente avvicinandosi al regime standard di rotazione; anche questo aiuta a migliorare le prestazioni e riduce il consumo di corrente a regime, in quanto un ventilatore o una pompa a regime avrà bisogno di meno corrente per mantenere la velocità di rotazione stabile. 

Ma la versatilità dei drive consente anche altri tipi di utilizzo. «In fabbrica, un motore controllato da un driver permette di svolgere una bobina di lamiera da 10 tonnellate mantenendone costante la velocità, indipendentemente dal fatto che la bobina, a mano a mano che si svolge, si alleggerisce. Quindi, se prima abbiamo parlato della capacità del drive di far variare il numero di giri del motore, ora vediamo che possiamo usarlo per mantenere una velocità costante» spiega Piciocco. Si arriva così a impieghi molto complessi, per esempio in tipografia, dove le rotative usano bobine di carta del peso di diversi quintali. La carta entra nella rotativa provenendo dalla bobina “creditrice”, che va mantenuta in movimento a velocità lineare  e tensione costante per evitare disastrosi strappi. Il drive deve tenere sotto controllo vari parametri per fornire al motore la corrente necessaria per mantenere il flusso corretto della carta, grazie all’uso dei drive di nuova generazione, spesso dotati di intelligenza interna – per esempio di un Plc. La stessa tecnologia degli inverter è sfruttata anche per impieghi molto più prosaici: per esempio, la maggior parte delle lavatrici presenti oggi sul mercato pilotano il motore tramite un inverter capace di questo tipo di controllo. 

Un solo cavo per controllare i motori

«Il drive è solo un componente di un impianto, che sempre più spesso viene messo in rete. C’è quindi una componente sempre più importante di network, perché non possiamo certo installare un drive e poi pensare di controllarlo portando un filo per lo stop, uno per la safety, tre per l’alimentazione, 5 per i codici di velocità e via discorrendo. La soluzione è il network, un solo cavo: ad esempio CC-Link-IE field o altri industrial BUS ,  che garantiscano l’interscambio digitale e soprattutto un inverter che debba essere sufficientemente intelligente per decodificare i comandi in arrivo». 

Un altro step successivo è far fare al drive anche le funzioni di posizionatore: lettura dei sensori di posizione del motore e controllo della posizione come si trattasse di un motore passo-passo. In questo modo si possono eliminare vari meccanismi  ottenendo, anche in questo caso, benefici in termini di Tco. 

Abbattere il Tco con l’adozione di drive Vfd 

Ora, d’accordo che l’impiego di un drive riduce i costi, ma il drive stesso non è gratis. Quanto costa questo apparecchio? «C’è un’ampia gamma di prezzi, a seconda del dimensionamento del prodotto. Per i più economici, usati per esempio nelle serre per controllare i sistemi di irrigazione, si parte da cifre intorno ai 100 euro, mentre i modelli più potenti, capaci di controllare motori da 1 MW, possono arrivare anche a 15/20mila euro». Salendo di potenza quindi si comincia a parlare di cifre importanti, anche se i vantaggi dati dalla presenza dell’apparecchio ripagano in fretta l’extra costo. I risparmi, infatti, non riguardano solo la bolletta dell’elettricità, ma anche la semplificazione della meccanica a valle del motore, l’aumento dell’affidabilità complessiva sia meccanica sia elettrica, e a cascata altre considerazioni a livello di progetto dell’impianto. Secondo Piciocco, «bisogna considerare l’acquisto dell’inverter in un contesto di “total cost of ownership”. Anche perché, prosegue, «un’analisi di costo uni-puntuale sul prodotto non è un’analisi di costo sull’applicazione». Insomma, più che concentrarci su quanto costa creare un impianto, ci si dovrebbe focalizzare anche sul calcolo di quanto costerà tenerlo in funzione. «Per esempio, pensiamo ai potenti motori installati nelle miniere per muovere il nastro che trasporta fuori la roccia scavata. Parliamo di tonnellate di carico da muovere, e di nastri che alla partenza producono un forte stress al motore. Installando un inverter, possiamo far partire il nastro accelerando progressivamente, riducendo quindi lo sforzo richiesto. Il risultato sarà un allungamento della vita del motore, che si tradurrà in un notevole risparmio nel tempo – perché quando si tratta di sostituire un motore molto potente collocato a centinaia di metri sottoterra, i costi sono alti». 

Drive A800 di Mitsubishi Electric

Secondo Piciocco, insomma, è importante che le aziende tengano conto di tutti i fattori in gioco quando devono calcolare l’effettivo Tco e l’Oee di un impianto, e non ragionino per compartimenti stagni. «Il costo per singolo prodotto deve tener conto dell’energia? Deve tener conto di quanta manutenzione bisognerà fare? Deve tenere conto di quanto costa montare la macchina? Perché se deve tenere conto solo di far girare un motore, beh, bastano tre fili, non serve nient’altro». E in effetti, se si vuole fare una stima di costi e di efficienza operativa attendibili, le variabili di cui tenere conto sono molte. L’energia, tra l’altro, sta diventando molto costosa. Ma all’interno di queste premesse, come viene declinato il concetto di drive in Mitsubishi Electric? «I nostri inverter sono pensati per essere macchine all-in-one – racconta Piciocco – Al loro interno c’è tutto quello che serve, anche se non lo usate». E in effetti nel drive Mitsubishi Electric (per esempio la famiglia FR-A800) non c’è solo l’inverter o la parte di networking con le varie opzioni di bus, ma è compreso anche un Plc che permette di realizzare impianti con capacità di controllo integrata senza aggiungere un ulteriore componente.

Un motore elettrico controllato dall’inverter FR-E800 VFD di Mitsubishi Electric

Il fatto di comprare un dispositivo che contiene varie componenti che magari non tutti i clienti useranno sembrerebbe contraddire i precedenti discorsi in ottica Tco, ma di fatto è vero il contrario. «All’interno di uno stabilimento c’è il ventilatore e c’è il nastro, c’è il sollevatore e la pompa di trasferimento dei reflui. Pensiamo alla comodità di controllarli con un solo tipo di inverter, capace di parlare a macchine di varie marche, con vari tipi di bus, con esigenze operative diverse. In questo modo entriamo nella catena del valore dell’azienda, riducendo i suoi costi di magazzino in termini di inventario e ingombri». Ma per quanto riguarda la scelta del drive più adatto? «Noi andiamo dal cliente e cerchiamo di capire qual è l’impatto energetico del prodotto, qual è il suo Roi tenendo conto di tutte le variabili. Siamo un’azienda che può dare al cliente una visione completa. E poi certamente possiamo dare anche il componente, che fa tutto. Per assurdo, il componente è il problema minore in tutto questo processo». Come spesso succede, il grosso del lavoro sta nell’integrare le diverse componenti provenienti da varie aziende. Ma in ogni caso, il drive contiene tutto il necessario per parlare e integrarsi con ogni altro dispositivo dell’impianto. 

 

(Ripubblicazione dell’articolo pubblicato il 10 novembre 2021)














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