Minibond? Utili anche per finanziare la manifattura e l’industria 4.0. Purchè….

Bond

di Laura Magna ♦ Un mercato in crescita, ma una strada ancora in salita per questo strumento per finanziare la crescita che fa al caso delle Pmi manifatturiere. I risultati di una indagine dell’ Osservatorio del Polimi con il punto di vista di Giancarlo Giudici, Federico Valle di Bird&Bird e Mauro Sbroggiò di  Finint Investments SGR, primo investitore per operazioni in Italia

L’ultimo in ordine di tempo, lanciato il 16 novembre scorso, è quello di Industrie Polieco-MPB, azienda specializzata nella produzione e distribuzione di prodotti in materiali plastici funzionali alla realizzazione di infrastrutture. Un minibond da 10 milioni interamente sottoscritto dal fondo Tenax Capital e che servirà per finanziare il piano di investimenti in Italia e all’estero per lo sviluppo di nuove linee di prodotto. Ha obiettivi diversi invece Datacol che a ottobre ha quotato su ExtraMot il terzo titolo short term nel giro di un anno. La società veneta attiva nella commercializzazione di sistemi di fissaggio e montaggio, materiali di consumo ed utensileria per utilizzo professionale, userà i proventi dell’emissione per supportare l’attivo circolante diversificando le fonti di provvista rispetto al tradizionale credito bancario.

 







Un prodotto Polieco

 

E’ un mercato, quello dei minibond, che vale oltre 13 miliardi e a cui l’industria italiana guarda con sempre maggiore interesse. Questo anche perché attraverso l’emissione di debito si può attingere alle risorse per crescere in volume e in complessità, e quindi affrontare le trasformazioni necessarie per competere nel mondo di industria 4.0. E sono sempre di più le Pmi, quelle manifatturiere in particolare, che scelgono questo canale alternativo di finanziamento per reperire risorse e per affrancarsi dalle banche. Nonostante i costi, che non sono certo competitivi, tra interessi e commissioni per i vari consulenti e intermediari indispensabili. Il minibond, però, può servire anche come canale iniziale di ingresso ai mercati finanziari, una carta di presentazione utile ad acquisire credibilità per operazioni successive. E proprio questo tipo di valutazione, in molti casi, rende più accettabili i suoi costi.

La forte presenza del manifatturiero tra le aziende emittenti

«Per quanto riguarda il settore di attività, si registra la netta supremazia del manifatturiero, anche se nel 2016 è aumentato il peso relativo degli altri settori», dice a Industria Italiana Giancarlo Giudici, Direttore dell’Osservatorio Minibond della School of Management del Politecnico di Milano. Secondo l’Osservatorio le emissioni di minibond a tutto il 2016, dall’avvio del mercato avvenuto a fine 2012 con il Decreto Sviluppo del governo Monti, sono state 292. Delle 222 aziende che le hanno effettuate (di cui 245 sotto i 50 milioni di euro), ben 91, ovvero il 41% del campione, è di emanazione industriale, con 36 emittenti nel 2016, rispetto ai 32 di un anno prima. E con una concentrazione molto alta dell’industria tra le grandi imprese – mentre la dispersione tra settori è molto elevata tra le Pmi.

«Le imprese operanti nel mercato manifatturiero italiano sembrano essere ben consapevoli delle opportunità offerte dall’emissione di minibond», commenta Federico Valle, Senior Associate dello studio legale Bird & Bird. «La maggior consapevolezza in merito all’appetibilità dello strumento in questione quale veicolo di reperimento delle risorse finanziarie per la crescita dell’impresa è dettata anche dalla più ampia platea di potenziali finanziatori rispetto alle normali dinamiche di accesso al credito bancario.»

Federico Valle, Senior Associate dello studio legale Bird & Bird
Le motivazioni del ricorso al minibond

«Ciò è dovuto principalmente alla possibilità di quotare il minibond e, quindi, di consentire ad investitori professionali che spesso per regolamento non possono investire fondi propri in strumenti finanziari non quotati, di finanziare di fatto la piccola e media imprenditoria privata che spesso offre garanzie di solidità maggiori rispetto a players più grandi. Quanto alle motivazioni che spingono le società a ricorrere allo strumento del minibond, queste possono individuarsi in finanziamenti volti a sostenere la ricerca e lo sviluppo; finanziamenti destinati ad acquisizioni o divisioni; rimodulazione del passivo della società; e finanziamento del ciclo di cassa operativo dell’impresa», dice ancora Valle.

«Le emissioni con scadenza 5-7 anni vengono fatte per finanziare investimenti di una certa portata, sia per la crescita ‘interna’, ovvero per sostenere gli investimenti in ricerca e sviluppo, in nuovi prodotti o nuovi mercati; sia per la crescita esterna, ovvero il sostegno a eventuali acquisizioni di altre imprese o divisioni», spiega a sua volta Giudici: «Le scadenze inferiori all’anno invece vengono emesse per rinvigorire il capitale circolante, a ristrutturare il passivo dell’impresa, ovvero la rimodulazione del mix di finanziamento da terzi; in tal caso la liquidità raccolta servirà per rimborsare debiti in scadenza, ad esempio di natura bancaria».

 

 Giudici
Giancarlo Giudici, Direttore dell’Osservatorio Minibond della School of Management del Politecnico di Milano
Un valore ancora troppo piccolo: le ragioni di un ritardo

Secondo l’Osservatorio del Polimi le motivazioni legate alla crescita, soprattutto interna, contraddistinguono più frequentemente le Pmi (che lo ritengono prioritario per il 70% dei casi contro il 53% delle grandi imprese che invece si concentrano sul circolante). E veniamo al valore: sempre secondo i numeri dell’Osservatorio, ammontavano a 11,5 miliardi a fine 2016 a cui vanno aggiunti «i 58 minibond dei primi nove mesi del 2017 per un controvalore di 3 miliardi», precisa Giudici. Parliamo dunque di un mercato complessivo di oltre 13 miliardi, che cresce single digit anno su anno, ma che è ancora troppo piccolo.

«Le ragioni di questo ritardo sono diverse: ce n’è una contingente e cioè che in questo momento il costo del prestito bancario è competitivo rispetto ai minibond e ce n’è una strutturale, che è una barriera culturale degli imprenditori verso le novità. Per fortuna ci sono però imprese che usano questo strumento del minibond come una palestra per capire che vuol dire confrontarsi con investitori professionali nell’ottica di affrontare poi operazioni più complesse come può essere una quotazione o il passaggio a un private equity».

La massa delle imprese si limita alla banca

Imprese innovatrici che rappresentano ancora una risicata minoranza, la massa preferisce ancora limitarsi alla banca. Ma fa specie che in questa minoranza ci sia quasi una metà di soggetti che emettono titoli sotto i dieci milioni di euro per un valore complessivo, a settembre 2017, di 4 miliardi. Ben 58 emissioni (pari al 20% del campione) non superano 2 milioni, il 15% è sotto i 5 milioni e un altro 15% sotto i 10 milioni. Con che obiettivo questo risicato campione di innovatori si approccia al minibond? C’è una tendenza per le imprese nane a uscire da questa condizione di nanismo?

«La correlazione non è dimostrata, certo è che le imprese che emettono minibond crescono molto in termini di Cagr (compounded annual growth rate), ovvero di tasso di crescita medio del fatturato consolidato, che va dal 16,0% registrato nel 2014 al 45,6% registrato nel 2015 a ridosso della raccolta del capitale. Si tratta di imprese che sono in genere propense a evolvere, di imprenditori che hanno idee abbastanza chiare», dice Giudici avvertendo che il campione è ancora troppo esiguo per poterne trarre una statistica da cui evincere conclusioni con validità universale.

 

Fase di progettazione nella sede Antonio Zamperla
Alcuni esempi

Ha quotato a ottobre su ExtraMot Pro il suo secondo minibond short term da 600mila euro (il primo ammontava a un milione ed era stato emesso a fine 2016). Antonio Zamperla, produttore di giostre leader a livello mondiale con sede in Altavilla Vicentina (Vicentina), è l’azienda che ha fornito ben 7 attrazioni su 12 al lancio di Eurodisney a Parigi nel 1988 e ha un fatturato a fine 2016 di 66,7 milioni di euro di ricavi (dai 66,5 milioni del 2015), con un ebitda di 5,8 milioni (da 5,4 milioni). Il nuovo minibond ha scadenza ottobre 2018 e paga una cedola del 3,4%: si inquadra nella programmazione del supporto all’attivo circolante della società, mediante una diversificazione delle fonti di provvista.

Sempre a ottobre è stata la prima volta di EdiliziAcrobatica.  La società genovese, specializzata in edilizia operativa su doppia fune di sicurezza, ha quotato lo scorso 2 ottobre all’ExtraMot Pro il suo primo minibond per un totale di 5 milioni di euro, suddiviso in due tranche entrambe a scadenza 2023. La società ha chiuso il 2016 con un valore della produzione di 13,3 milioni di Euro, un EBITDA di 2,9 milioni di euro, un EBITDA Margin del 22% e una Posizione Finanziaria Netta di 888 mila Euro circa. Grazie alle risorse finanziarie raccolte la società potrà accelerare il proprio piano di sviluppo anche attraverso la crescita per linee esterne.

A settembre è sbarcato in Borsa il secondo titolo di Cristiano Thiene, società di sartoria vicentina con un fatturato di 33 milioni ed  EBITDA di 1 milione circa. La società è fornitrice ufficiale dell’Areonautica Militare e delle Frecce Tricolori. Thiene ha emesso un piccolo prestito da 150.000 euro finalizzato a sostenere la crescita del fatturato di Cristiano Thiene e la diffusione del brand “Aeronautica Militare”.

 

Intervento Edilizia Acrobatica

 

Le emissioni sul mercato

I minibond non sono certo la panacea, ma sono una possibilità, in particolare in un contesto come quello italiano dove secondo le ultime rilevazioni di Crif le Pmi italiane dipendono dalle banche, per almeno l’85% dei capitali di credito. Una concentrazione eccessiva che può essere dannosa e che di certo non aiuta a crescere.

Ancora, in autunno è tornata su Extra Mot Pro, una emittente seriale come MPG Manifattura Plastica, azienda specializzata nella produzione di imballaggi in plastica termoformata e iniettata per uso alimentare, dopo le due emissioni per un totale di 2,4 milioni portate in quotazione a fine settembre. Un totale di 3,4 milioni di euro di emissioni in pochi giorni, dopo che la società nel luglio 2014 aveva già collocato 3 milioni di euro di minibond a scadenza 2019. I titoli saranno utilizzati dall’emittente a finalità di crescita e sviluppo, per l’acquisto, nel triennio 2017-2109, di nuovi macchinari (presse ad iniezione; linee di termoformatura e di estrusione, robotica IML) e stampi con l’obiettivo di incrementare la capacità produttiva e renderla inoltre più efficiente, in un’ottica di conseguente riduzione dei costi della produzione e di miglioramento della marginalità.

 

Mbgplast
Lo stabilimento MPG Manifattura Plastica a Gallarate (Va)

A ricorrere ai prestiti sul mercato anche l’azienda di costruzioni Impresa Percassi: a inizio settembre ha collocato i primi 4,2 milioni di un titolo da 10 che risponde alla scelta di “intraprendere un nuovo percorso culturale e strategico volto all’apertura al mercato e finalizzato a perseguire un’attenta strategia di diversificazione delle fonti di finanziamento”, come dichiarato dal management.

 

Mauro Sbroggiò, AD Finint Investments SGR

Dei minibond si parla ancora come di uno strumento illiquido, che in quanto emesso da società piccole e su cui non si fa di fatto ricerca, non entra nei radar degli investitori e quindi può rimanere lettera morta. In realtà se al principio i minibond arrivavano da società non quotate e con sottoscrittori singoli sono ora sempre più frequenti casi di emissioni sul mercato.

Ne abbiamo parlato Mauro Sbroggiò, l’AD della società Finint Investments SGR che gestisce ben due fondi dedicati proprio a questi strumenti, il Minibond Pmi Italia, che ha completato il naturale periodo di investimento nel 2016, e il Fondo Strategico Trentino – Alto Adige che ad oggi ha eseguito investimenti per 118,8 milioni di euro, di cui 88,8 per mezzo in minibond e 30 milioni in sottoscrizione di convenzioni bancarie finalizzate all’agevolazione di erogazione di credito alle imprese del territorio. «Minibond Pmi italia, che è stato il primo in assoluto a carattere nazionale, aveva in gestione 64 milioni ed è stato completamente investito a fine 2016 in 18 operazioni. In totale, il nostro team di private debt da quando è stato introdotto il minibond come possibilità ha effettuato 47 investimenti con 39 emittenti posizionandosi come leader di mercato in Italia», dice Sbroggiò aggiungendo che è in corso il fund raising del secondo fondo di carattere nazionale che sarà lanciato con l’inizio del 2018.

 

Piazza Affari, Milano
La sede di Borsa Italiana in Piazza Affari, Milano
Il futuro del mercato dei minibond

Con Finint, che è dunque il primo investitore per operazioni in Italia (autore di 47 delle 151 operazioni effettuate da 19 operatori secondo Aifi dall’inception del mercato), abbiamo cercato di capire come si evolverà nel prossimo futuro questo mercato. «Difficile dire persino dove siamo: non esiste una fotografia statistica attendibile, ma ce ne sono diverse che però non convergono verso numeri esaustivi che sarebbero anche la chiave della comprensione del mercato», premette Sbroggiò, che però poi snocciola una serie di numeri da fonti diverse che se non forniscono una fotografia completa dal punto di vista quantitativo, offrono delle interpretazioni di dettaglio sulla direzione che il comparto sta imboccando.

I numeri dell’AIFI Private Debt

«I numeri dell’AIFI Private Debt che riporta tutti i dettagli relativi alle operazioni quotate e non quotate effettuate dagli investitori istituzionali del private debt in Italia secondo noi è la rappresentazione più corretta del mondo dei minibond e più in generale del private debt   – continua l’ad di Finint Investments SGR – il totale delle emissioni AIFI nel primo il primo semestre è poco sotto quelle alla metà del 2016 – 21 rispetto alle 55 a tutto il 2016. Tuttavia ritengo che il 2017 si chiuderà al rialzo perché la seconda metà dell’anno è più densa di operazioni. Noi cureremo l’investimento in almeno 10 emissioni, metà di quello fatto finora tutto il mercato secondo Aifi».

E quelli di EPIC

C’è una seconda fonte che Sbroggiò invita a monitorare ed è EPIC che dà conto invece tutte le operazioni quotate. «Tali operazioni, come si può vedere, anche per dimensione sono spesso molto più grandi e che quindi in parte sono meno rappresentative rispetto a quelle monitorate da AIFI. Anche in considerazione del fatto che a luglio del 2016 l’entrata in vigore della Market Abuse Regulation europea che ha riguardato anche gli emittenti quotati su piattaforme multilaterali di negoziazione, tra cui Extramot pro, ha fatto perdere interesse soprattutto per gli emittenti di minibond piccoli a quotarsi.»

«Se si guardano solo le emissioni quotate rilevate da Epic in ogni caso a fine settembre, siamo a 18 emissioni   nel trimestre per un totale di 1,170 miliardi, le emissioni sotto i 50 milioni sono aumentate ma sono in arretramento rispetto allo stesso trimestre del 2016, ma questo potrebbe essere l’effetto della market abuse regulation». Le emissioni rilevate ancora da minibonditaly.it, un portale indipendente di informazione, sono 263 per 12,1 miliardi: di queste 42 sono di dimensione medio-grande, da 50 a 500 milioni e fanno da sole l’80% dell’ammontare complessivo. Lo stesso sito conta però più di 200 emissioni piccole per oltre 1,5 miliardi.

 

Headquarters di Finint a Conegliano
Un momento di pressione negativa, il prossimo anno crescita più rapida

Come si evolverà dunque il mercato? «In questo momento il mercato è sotto una pressione negativa. Con l’LTro 2, le banche italiane hanno avuto accesso a una raccolta superiore ai 60 miliardi di euro, quadriennale a tasso zero in condizioni normali ma che si riduce a -0,4% in caso di nuove erogazioni di credito delle Pmi entro il 31 gennaio 2018. Ovviamente, le banche che sono per definizione liquide stanno spingendo moltissimo sul credito alle PMI, questo comprime il mercato delle emissioni per i minibond», spiega Sbroggiò.

L’AD della società Finint Investments SGR prevede per l’anno prossimo una «crescita molto più rapida. Con i minibond si è aperto un canale di finanziamento nuovo su cui gli arranger stanno facendo una certa azione educativa, ma chi emette oggi con il tempo sarà sempre più conosciuto e quando il credito per PMI continuerà a diminuire avere giù una finestra sul mercato con uno o più bond quotati darà maggior forza rispetto al sistema delle altre imprese che non hanno usato questo canale alternativo». Questa azione educativa insieme alla strada fatto sul fronte normativo e fiscale «per esempio con i PIR è molto importante: la domanda c’è ed è cospicua, si calcola 50 miliardi da qui a 4 anni, ora manca l’offerta. Si tratta di un tema culturale ancora forte su cui bisogna lavorare perché l’imprenditore medio non ama emettere, lo vede come un mercato più caro di quello bancario, cosa che è vera ma che è compensata da altri elementi», spiega Sbroggiò.

«Le banche che hanno un costo di provvista molto basso erogano finanziamenti anche all’1 o 1,5% in meno rispetto ai minibond. Ma l’emittente del minibond non vede il minibond in centrale dei rischi, si dota di uno strumento che gli dà maggior forza finanziaria proprio verso le banche e aumenta il suo potere negoziale oltre a cominciare a farsi conoscere presso gli istituzionali e a dare visibilità all’azienda; tra i primi emittenti di qualche anno fa ci sono prime società che si stanno avvicinando al mercato dell’equity, per dirne una».

L’esempio di Aquafil

Una di queste società è Aquafil, azienda di Arco, nella provincia di Trento, che fattura circa 500 milioni di fatturato e opera nella produzione di tessuti tecnici e che si quoterà per fusione per incorporazione nella Spac Space3 su Aim. «Questa è la prova che l’imprenditore si auto somministra l’educazione finanziaria che gli consente di scalare le fonti di approvvigionamento dal senior unsecured all’equity abituando la sua impresa a confrontarsi con un mercato ancora più ampio. Senza considerare il percorso di autoeducazione nel campo della pianificazione strategica. La banca guarda al passato, l’investitore in un senior unsecured a 5 o 7 anni è invece più interessato al futuro e alla pianificazione», conclude l’ad di Finint Investments SGR.

Sata

Abbiamo già parlato su Industria Italiana   di Sata, la società piemontese attiva nel settore delle  lavorazioni meccaniche di alta qualità per l’ automotive, per macchine movimento terra e macchine agricole, e che ha emesso un titolo da cinque milioni che utilizzerà per finanziare il proprio piano industriale che prevede una crescita e sviluppo delle attività anche nello stabilimento situato a Castelnuovo in Valsugana, nella provincia trentina.














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