Microstrategy: come guadagnare soldi se si è una impresa intelligente

di Marco Scotti ♦ Advanced Analytics, Big Data, Data Discovery, Enterprise Mobility. La raccolta e la gestione dei dati sono una sfida obbligata per le imprese grandi e piccole impegnate nella trasformazione digitale. Le soluzioni flessibili della multinazionale americana raccontate da Carlo San Martino

Uno studio di Gartner rivela che entro il 2020 la generazione del linguaggio naturale (NLG) e l’artificial intelligence saranno funzionalità standard per il 90% delle nuove piattaforme di business intelligence. Questo significa che le aziende mirano a facilità d’uso e insight rapidi per i propri utenti business, così come governance, scalabilità ed elevate performance. MicroStrategy è uno dei soggetti che ha saputo interpretare al meglio queste nuove istanze che provengono dal mercato, tanto da essere l’unica azienda a essere stata collocata nel quadrante “Challenger” nel Gartner Magic Quadrant 2018 per le piattaforme di Analytics e Business Intelligence.

La storia di MicroStrategy inizia negli Stati Uniti nel 1989, quando due studenti usciti dal master del MIT hanno deciso di applicare i modelli matematici che avevano studiato in ambio aerospaziale ai modelli di business. Negli anni ’90 l’azienda viene quotata sul NASDAQ, ma uno dei due fondatori, Michael J. Saylor, si è tenuto una fetta rilevante dei diritti di voto in assemblea. In questo modo l’azienda non può essere acquisita. «È un tema importante per i nostri clienti – spiega a Industria Italiana Carlo San Martino, general Manager di MicroStrategy Italia – perché in questo modo sanno che stanno avviando una collaborazione potenzialmente di lungo periodo. Non verremo acquisiti, non toglieremo il nostro focus dalla business intelligence perché è dove siamo nati e dove collochiamo il 100% della nostra energia.







Forniamo soluzioni di analytics e siamo molto forti sulla parte di mobility; l’effetto distintivo rispetto a molti altri competitor sta nel fatto che mettiamo insieme una piattaforma enterprise molto efficace con un’accresciuta possibilità di data governance e di gestione centralizzata ideale per le grandi imprese, unendo anche la parte di più recente introduzione di data discovery. Avendo però sviluppata noi la soluzione, senza acquisizioni e integrazioni tecnologiche “strane”, le due anime convivono sulla stessa piattaforma, quindi si dà l’agilità necessaria alle business unit per fare le loro analisi mantenendo una governance centralizzata. Oggi siamo presenti in 27 paesi nel mondo».

 

MicroStrategy_Carlo San Martino
Carlo San Martino, general Manager di MicroStrategy Italia

 

Le nuove sfide tecnologiche

È diventato quasi un mantra affermare che ci troviamo in un evo disruptive, in cui tutto quello che è stato fin qui realizzato dal punto di vista tecnologico è destinato a essere spazzato via da una rivoluzione che assomiglia a quella dell’energia elettrica o di internet. In realtà, per San Martino, non è esattamente così: «Nel corso degli ultimi anni – ci spiega – abbiamo vissuto molti momenti definiti “disruptive”. A mio avviso, quello più dirompente è stata l’introduzione dei device mobili. Nel nostro caso, un mese dopo la presentazione del primo iPad, ci siamo mossi molto velocemente realizzando la prima versione di MicroStrategy per tablet. Si trattava di una piattaforma per lo sviluppo di app mobile senza codice, che consentiva di mettere insieme “pezzi” di analytics – che rimane il nostro core business – ma anche componenti multimediali, oltre alla possibilità di scrittura sul database direttamente dal dispositivo, con funzioni operative oltre che informative».

 

Analytics rimane il core business di Microstrategy

 

Anche la crescente quantità e pervasività dei dati rappresenta un momento di discontinuità con il passato, ma parlare di momento disruptive sembra, anche in questo caso, eccessivo per San Martino: «È una trasformazione molto veloce ma non proprio immediata – ci spiega – ed è stato un processo fluido. In Italia, poi, siamo arrivati più tardi che negli Stati Uniti, quindi quando i nostri clienti oltreoceano chiedevano già progetti sui big data, nel nostro paese vedevamo solo qualche timida attestazione d’interesse. C’è stato un periodo iniziale in cui venivamo chiamati a parlare di big data, ma era più per capire che cosa facessero gli altri, nessuno era pronto veramente a partire. Adesso le cose sono decisamente cambiate, vediamo tante aziende che si stanno dotando di database e stanno attuando una trasformazione digitale

«All’interno delle imprese, però, a parte rari casi di nativi digitali, la maggior parte ha un background costituito da anni di storia; c’è una serie di asset aziendali non proprio recentissimi, una situazione eterogenea che non può essere risolta semplicemente dicendo “buttiamo tutto quello che c’era e compriamo nuovi macchinari o dispositivi”. È necessario individuare i partecipanti alla vita aziendale (dai clienti ai dipendenti agli stakeholders) a cui è necessario fornire applicazioni di intelligence per attuare questa digital transformation, oltretutto su vari tipi di device, dagli schermi di ultima generazione agli smartwatch fino all’intelligenza artificiale e ai bot. In tutto questo quadro si inserisce la piattaforma tecnologica che deve essere in grado di collegarsi velocemente con tutti i sistemi ma deve anche essere pronta ad accogliere nuove tecnologie, restando sempre al passo con i tempi».

 

Big Data

 

L’esplosione dei dati

Il problema però rimane: di fronte a una mole di dati generata nell’ultimo anno che è superiore a quanto prodotto nei precedenti 2.000 anni di storia, quali sfide vengono lanciate per le aziende che offrono soluzioni di Analytics, di Business Intelligence e che comunque devono aiutare i partner a impiegare in maniera proficua questa quantità mai vista di informazioni? E soprattutto, come far fronte a una necessità di storage sempre più grande? «Qui – ci spiega general Manager di MicroStrategy Italia – ci viene in soccorso l’evoluzione tecnologica. Le macchine sono sempre più potenti e il costo di immagazzinamento è sempre più basso. Piuttosto, il vero problema è come gestire questa mole di dati, come renderla fruttuosa. Dal nostro punto di vista, lasciamo la libertà al cliente tra due diverse soluzioni: una di accesso ordinario, l’altra creata grazie alla realizzazione di strutture di dati in memory che aumentano la velocità di consultazione ma che fanno lievitare i costi. Alcune piattaforme impongono questa seconda soluzione, noi invece preferiamo di no».

Proprio il problema dei costi apre la possibilità a diverse strategie differenti. Se si sceglie di puntare soltanto sulle grandi multinazionali, si possono realizzare progetti più impegnativi ma con un prezzo che automaticamente taglia fuori le Pmi, che in Italia rappresentano quasi il 95% del tessuto imprenditoriale. I grandi marchi tecnologici stanno puntando su una maggiore accessibilità tramite il cloud, che garantisce di essere modulare, facile da raggiungere e, soprattutto, non rappresenta un grande problema per le casse dell’azienda. Anche MicroStrategy ha attuato una strategia simile: «Abbiamo dalla nostra il plus della flessibilità – ci spiega San Martino – e questo ci rende adatti potenzialmente a chiunque. Noi siamo nati rivolgendoci soprattutto alle enterprise, basti pensare che il nostro primo cliente negli Usa è stato McDonald’s. Ma le soluzioni che proponiamo sono adeguate anche per aziende di una persona sola. La nostra è una piattaforma scalabile e garantiamo piena flessibilità tra l’infrastruttura on premise e quella cloud. Se un cliente ha già il suo, noi possiamo lavorare benissimo su quello, altrimenti abbiamo una partnership con AVS che ci permette di offrire sia la semplice modalità hosting, sia un manage cloud dove, oltre all’infrastruttura e alle nostre licenze ci sono anche altri servizi che consentono di rendere la piattaforma più performante».

 

McDonald’s è stato il primo cliente USA di Microstrategy

 

L’Italia e il suo ruolo in Europa

Sarebbe troppo facile paragonare l’Italia agli Stati Uniti e puntare il dito contro il grande distacco che ancora ci separa dagli Usa in termini di sviluppo tecnologico. Ma anche a livello europeo il nostro paese non ha ancora quel dinamismo che caratterizza altre realtà: «Nel “Vecchio Continente” spiega ancora San Martino – ci sono paesi più dedicati di noi alle nuove tecnologie come la Francia e la Gran Bretagna. Questo sia per quanto riguarda il cloud, sia per quanto concerne i big data. Va anche detto che questi due paesi hanno una struttura imprenditoriale diversa dalla nostra: noi siamo più parcellizzati in piccole imprese, mentre gli altri due paesi si concentrano su soggetti dimensionalmente più rilevanti. Qui siamo più allineati alla Spagna come maturità tecnologica: abbiamo sicuramente i nostri ambiti di eccellenza, ma se facciamo una media siamo ancora più indietro di Francia e Gran Bretagna».

Sicurezza del dato

Un ultimo tema di particolare rilievo quando si parla di dati è quello relativo alla loro sicurezza. L’Europa ha optato per l’introduzione di un dispositivo di legge, il GDPR, che impone paletti estremamente severi per le aziende che trattano informazioni riservate. «Il regolamento europeo – conclude San Martino – è sicuramente un provvedimento che ha la sua utilità, ma forse bisogna stare attenti a non esagerare perché si rischia di mettere dei vincoli all’evoluzione tecnologica, come nel caso del machine learning, con la possibilità concrete che il gap di competitività tra Europa e Stati Uniti si ampli ulteriormente». Per le aziende l’entrata in vigore del GDPR comporterà una serie di adempimenti molto importanti. In primo luogo, le imprese avranno solo 72 ore di tempo – dal momento in cui ci si accorge di un attacco ai sistemi IT – per “autodenunciarsi”. Se non agissero per tempo scatterebbero multe che, a seconda delle dimensioni, potranno arrivare fino a 20 milioni di euro o fino al 4% del fatturato dell’anno precedente. Cifre molto significative, in grado di mandare al tappeto realtà aziendali anche con un giro d’affari notevole. Inoltre, viene introdotto il principio dell’accountability, che obbliga le imprese a dimostrare di aver preso tutte le misure necessarie per garantire una efficiente protezione dei dati personali.

Diventerà obbligatorio mettere in atto almeno tre soluzioni che, se combinate, garantiscono all’azienda di essersi comportata in maniera congrua alla nuova norma. Prima di tutto, i dati dovranno essere protetti da una password di almeno otto caratteri, di cui uno maiuscolo, un numero e un carattere speciale. In secondo luogo, bisogna separare il dato dall’identificativo in due luoghi diversi del server. Il terzo punto quello relativo è all’anonimizzazione, che consente di eliminare qualsiasi riferimento alla persona, pur mantenendo i suoi dati.

 

GDPR
Il GDPR: in vigore dal 25 maggio

 

Dal punto di vista dell’organigramma aziendale, viene introdotta una nuova figura professionale, quella del Dpo (Data Protection Officer). Si tratta di una mansione con un inquadramento preciso e competenze specifiche ben delineate: il soggetto dovrà ricoprire almeno la qualifica di quadro aziendale, dovrà essere in possesso di un preciso “patentino” e dovrà essere laureato in legge o esperto di privacy. Inoltre, il suo parere diventa vincolante per il datore di lavoro: questo significa che il titolare dell’azienda, o il legale rappresentante, qualora venga informato della necessità di apportare correttivi o misure strutturali per incrementare la tutela dei dati personali, non potrà esimersi dal metterle in atto e, qualora non lo faccia, ne risponde in prima persona.

Infine, se il Dpo è inserito nell’organico aziendale con un contratto di assunzione, non può essere licenziato, esattamente come avviene per il rappresentante sindacale. Si prevede che nei prossimi anni ci sarà una necessità di circa 41mila Dpo. MicroStrategy non ha soluzioni dirette per la protezione dei dati, ma ha messo a punto meccanismi di autenticazione che garantiscono una maggiore sicurezza all’interno dell’azienda. Uno di questi è Usher, un sistema di badge digitale che può essere impiegato sia per accessi fisici, attraverso parametri biometrici o attraverso certificato, sia accessi logici per esempio nei portali, dove sostituisce username e password, o, infine, per sbloccare i pc.














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