Struzzo, capra, gattopardo e tigre: metafore di strategie aziendali molto serie

di Marco de' Francesco ♦︎ Come si sono comportate le imprese nella tempesta della pandemia? Alcune hanno spento le macchine, altre hanno cercato nuove opportunità, talune hanno modificato le prassi commerciali e le ultime hanno visto nella crisi un’opportunità. Il caso e-Novia e le imprese antifragili. Il documento “Produrre un Paese resiliente” e le proposte del CFI in tre categorie di interventi. Se n’è parlato durante un webinar organizzato da Mesap, il Polo Tecnologico di Torino per gli smart product e gli smart manufacturing, durante cui è intervenuto anche il docente all'Istituto di Management della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa e Research Fellow del Berkeley Roundtable on the International Economy Alberto Di Minin

Come può un’azienda manifatturiera, soprattutto di piccole o medie dimensioni, diventare più resiliente? Cosa deve fare per essere in grado di reagire alle avversità, di affrontare e superare eventi improvvisi con successo? Non c’è una sola risposta. Ma il Covid-19, con l’interruzione delle filiere, con il crollo della domanda, con il fermo generalizzato della produzione in molti settori, rappresenta un laboratorio unico e irripetibile: valutando le dinamiche della pandemia, misurando gli effetti, si possono definire strategie per assorbire meglio gli imprevisti. Che non solo quelli drammatici come nel caso della pandemia. Ma che nell’universo 4.0 possono anche essere la normalità di richieste improvvise di un cliente, di preferenze che mutano (siamo nel mondo della personalizzazione di massa…), di opportunità da cogliere in tempo perché poi non si presentano più. Questa attività di analisi è stata realizzata in tre modi diversi da attori differenti. Ciascuno di loro offre alle aziende spunti di grande interesse.

Anzitutto, il documento “Produrre un Paese resiliente” del Cluster Fabbrica Intelligente (di cui abbiamo scritto qui, qui e qui) individua interventi immediati, a medio termine e a carattere sistemico per incrementare la resilienza del sistema manifatturiero. Seleziona le tecnologie cruciali da implementare, e include una proposta di politica industriale, diretta ai decisori politici interessati: quella di dotare l’Italia di un sistema di “pronto intervento” in grado di realizzare qualsiasi prodotto richiesto dal Paese. Il lavoro è stato redatto da una task force di 50 esperti costituita nell’ambito del Cluster Fabbrica Intelligente (CFI) l’associazione che – presieduta dal cdo di Ansaldo Energia e ceo di Ansaldo Nucleare Luca Manuelli, mentre il presidente del Comitato scientifico è il professor Tullio Tolio del Politecnico di Milano – riunisce gli stakeholder della manifattura italiana di tutte le tipologie: aziende, associazioni, Regioni, università ed enti di ricerca.







Un altro modo per definire una strategia di resilienza è valutare quelle portate avanti dai “campioni” durante la crisi. Uno studio interuniversitario, “The response of Ue Innovation Champions”, ha preso in considerazione una ventina di Pmi di successo, selezionate tra le 5.400 che nel Vecchio Continente sono state finanziate nel contesto dell’European Innovation Council Accelerator Pilot Program, per via delle loro grandi prospettive di crescita. Come vedremo, tuttavia, queste imprese hanno risposto in maniera molto diversa al corso degli eventi: alcune si sono dimostrate “tigri”, altre “struzzi”, altre “gattopardo” e altre “capra” – metafore che traducono comportamenti tipici del mondo animale. C’è infine un’azienda che punta sull’anti-fragilità, e cioè a qualcosa di ulteriore rispetto alla resilienza: mira alla capacità di crescere nel disordine. Stiamo parlando di e-Novia, la “fabbrica delle imprese”. Ma come funziona?  Lo scopriremo fra poco. Questo articolo trae spunto da un webinar, “Fabbrica intelligente ed Intelligenze per la Fabbrica – Shaping Future: Nuovi modelli di innovazione per nuovi modelli di Business”, organizzato da Mesap, il Polo Tecnologico di Torino per gli smart product e gli smart manufacturing, che è peraltro socio di CFI. Sono intervenuti Manuelli, il docente all’Istituto di Management della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e Research Fellow del Berkeley Roundtable on the International Economy (Brie) Alberto Di Minin, il co-fondatore e-Novia Ivo Boniolo, e il coordinatore di Mesap Alfredo Tafuri. A proposito di Mesap, ricordiamo che il presidente è Giuseppe Gherzi e il technology manager è Paolo Dondo.

 

La fabbrica intelligente e la sfida della sostenibilità 

La missione del Cluster 

Luca Manuelli, cdo di Ansaldo Energia, ceo di Ansaldo Nucleare e presidente del Cluster fabbrica intelligente

Anzitutto, va sottolineato che la partita della resilienza si affronta meglio incrociando le competenze di soggetti diversi. È quello che fa CFI, la cui missione è quella di contribuire a creare una comunità manifatturiera stabile e competitiva. «L’obiettivo di CFI – ha affermato Manuelli – è quello di garantire in maniera inclusiva la crescita di un ecosistema collaborativo nel quale sviluppare e applicare l’innovazione nel settore». Anche per questo, ad oggi il Cluster conta 287 membri, di cui 218 partner industriali, 7 regioni e diversi tra università, centri di ricerca, e altri. E di questo contesto fanno parte i Lighthouse  – e cioè fabbriche rivisitate in chiave Industria 4.0 che consentono ad aziende più piccole e meno avanzate di verificare quali soluzioni si possano adottare per risolvere problemi pratici, tecnologici e produttivi; ma anche i Pathfinder, i soci tecnologici del cluster, quelli in grado di contribuire all’individuazione delle principali traiettorie di sviluppo dell’innovazione a supporto della competitività della manifattura italiana; i poli di innovazione come il Mesap, «attore fondamentale per lo sviluppo della nostra visione»; i centri di competenza e i digital innovation hub. Per conseguire i suoi scopi, CFI propone al decisore politico agende di ricerca e altre iniziative per guidare la trasformazione delle aziende di settore e per connettere le strategie nazionali e regionali a quelle internazionali.

 

Produrre un Paese resiliente

In questo contesto è stato redatto il documento “Produrre un Paese resiliente” (clicca qui per visionare il documento). Le proposte di CFI individuano tre categorie di interventi:

Il documento “Produrre un Paese resiliente” del Cluster Fabbrica Intelligente individua interventi immediati, a medio termine e a carattere sistemico per incrementare la resilienza del sistema manifatturiero. Seleziona le tecnologie cruciali da implementare, e include una proposta di politica industriale, diretta ai decisori politici interessati: quella di dotare l’Italia di un sistema di “pronto intervento” in grado di realizzare qualsiasi prodotto richiesto dal Paese. Il lavoro è stato redatto da una task force di 50 esperti costituita nell’ambito del Cluster Fabbrica Intelligente (CFI) l’associazione che – presieduta dal cdo di Ansaldo Energia e ceo di Ansaldo Nucleare Luca Manuelli, mentre il presidente del Comitato scientifico è il professor Tullio Tolio del Politecnico di Milano – riunisce gli stakeholder della manifattura italiana di tutte le tipologie: aziende, associazioni, Regioni, università ed enti di ricerca

Quelli immediati, e cioè anzitutto quelli per favorire l’accelerazione della digital transformation con l’acquisizione di beni strumentali, metodologie e software e l’adeguamento di soluzioni già installate. Ad esempio, macchine e robot che garantiscano un alto livello di interazione con gli operatori, o a soluzioni per il lavoro distribuito e a distanza. In termini di sicurezza, assumono rilievo i software per la cyber security OT e l’implementazione di reti di comunicazione ad hoc. Quanto alla filiera integrata, si punta, ad esempio, su soluzioni per la tracciabilità dei prodotti nelle filiere anche in presenza di eventi imprevisti. Rientrano nella categoria anche quegli interventi a sostegno dello sviluppo della sostenibilità industriale che, se non opportunamente supportata, rischia di passare in secondo piano dal momento che la riduzione del costo di alcune materie prime potrebbe portare ad un calo di attenzione su questi aspetti. È un argomento su cui il Cluster punta molto. Significa, ad esempio, valorizzare il risparmio energetico, il riciclo e il riuso, il disassemblaggio e il re-manufacturing.

Quelli di medio termine specifici: sono basati si attività di ricerca e innovazione in grado di produrre nuove soluzioni per gestire le emergenze e permettere ai sistemi di migliorare le prestazioni in contesti competitivi mutati. Si pensi alle soluzioni di collaboration: non ci si riferisce soltanto allo smartworking in senso stretto; ma, ad esempio, alla progettazione e all’engineering condivisi via remoto. Oggi esistono piattaforme cloud-based grazie alle quali esperti e ingegneri possono continuare a lavorare sullo stesso progetto da luoghi geograficamente diversi e senza interruzioni: a tutti i designer compare l’ultima versione aggiornata dall’ultimo contributo di uno di loro. O ancora, alle le attività di commissioning e di manutenzione a distanza. Oggi i collaudi possono essere tele-guidati, o avvenire virtualmente, grazie ai digital twin, il gemello digitale.

Un’altra tecnologia cruciale di fini del distanziamento è legata al mondo dei cobot, che già si possono reperire sul mercato. Sono piccoli bracci sensorizzati destinati a interagire fisicamente con gli esseri umani in spazi condivisi: con telecamere e sistemi anticollisione, coordinano la propria azione con quella degli operatori. L’idea è che possano effettuare il proprio lavoro in un contesto in cui l’umano svolge solo un ruolo di supervisore.

Si parla anche di internet of action, che consente ad operatori esperti di agire a distanza e di riprodurre sensazioni ed azioni in modo interattivo e adattativo, come accade nella robotica per la medicina. Di grande rilievo, poi, la cyber security, con particolare riferimento alla gestione da remoto della produzione al fine di evitare le interruzioni della produzione o situazioni pericolose per i lavoratori. Infine, si intendono valorizzare gli strumenti innovativi per la gestione delle filiere, come le piattaforme digitali aperte che permettono l’interoperabilità dei sistemi presenti a monte e a valle della supply chain.

Infine, gli interventi di medio termine a carattere sistemico. si tratta di dotare l’Italia di un sistema manifatturiero di pronto intervento in grado di realizzare qualsiasi prodotto richiesto dal Paese in grandi volumi e in tempi ridotti.

Ci sono ambiti, come quello energetico, o quelli sanitario e militare, dove l’emergenza è prevista, e nel caso in cui si verifichi, scattano allarmi, si adottano protocolli per affrontarla e si mette in moto un meccanismo predefinito per attenuarne l’impatto e governare la situazione. Il Covid-19 ha evidenziato che non esiste nulla di simile nell’industria.

L’elaborato segna un viatico: occorre predisporre delle filiere integrate e organizzate ad hoc, selezionando aziende campione collegate a centri di ricerca nonché dotate di tecnologie all’avanguardia, grazie alle quali possano riconfigurare rapidamente la produzione.

Secondo gli estensori, è necessario che sia previsto un incentivo economico, che consenta di rendere l’iniziativa competitiva dal punto di vista economico rispetto ad altre possibilità di innovazione presenti sul mercato della ricerca, in modo da coinvolgere i migliori attori.

 

La reazione delle pmi più innovative d’Europa 

Aziende struzzo, capra, gattopardo e tigre

il docente all’Istituto di Management della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e Research Fellow del Berkeley Roundtable on the International Economy (Brie) Alberto Di Minin

Si accennava al lavoro interuniversitario scritto da docenti e ricercatori (Alfredo De Massis, Cristiana Carullo, Paola Rovelli, Rik Tensen, Antonio Carbone, Antonio Crupi) compreso lo stesso Di Minin. Secondo quest’ultimo la risposta delle imprese selezionate dovrebbe avere un valore “esemplare” per tutte le altre; e ciò, nel laboratorio “irripetibile” creato dalla pandemia. «Le aziende, in una situazione inattesa e difficile, hanno dovuto hanno dovuto effettuare delle scelte strategiche e cambiamenti organizzativi». Si è creato un quadro, considerando due dimensioni: quella orizzontale, corrispondente al grado di proattività nella ricerca di nuove opportunità; e quella verticale, inerente alla volontà di cambiare il modello di business. In questo schema, le aziende sono state distinte in quattro gruppi, con nomi che richiamano il mondo naturale.

Gli struzzi: sono quelle imprese che hanno deciso di spegnere le macchine ed aspettare in attesa della fine della tempesta.

Le capre: sono quelle che non hanno modificato molto il proprio modello di business, ma hanno cercato nuove opportunità, nuovi mercati. «Gli investitori, d’altra parte, notano e valorizzano le imprese che reagiscono».

I gattopardi: sono le aziende che non hanno cercato nuove opportunità, ma che hanno modificato le prassi commerciali e di sviluppo. Ad esempio, quelle che sono passate dal B2c al B2b.

Le tigri: sono le aziende che si sono trovate in una situazione unica, e che hanno visto nella crisi una clamorosa opportunità; pertanto, hanno cambiato i loro piani anche radicalmente per non perderle.

 

I cinque paradossi

Le aziende hanno dovuto affrontare cinque paradossi. Quello della pianificazione: dover implementare delle strategie in un contesto in cui i punti di riferimento si stavano sgretolando. Quello della liquidità: la necessità di recuperare le risorse per mantenersi operativi senza allontanarsi troppo dal proprio modello di business. Quello del tempo e della velocità: saper sfruttare in maniera veloce delle opportunità non destinate a durare nel tempo, perché causate dall’emergenza. Quello della partnership: dover scegliere un partner, per affrontare la situazione; e optare per uno simile a sé per minimizzare il rischio. Infine, quello delle risorse e delle tecnologie a disposizione: per affrontare i disagi della pandemia, le aziende avrebbero dovuto utilizzare tecnologie diverse da quelle che avevano in casa; invece sono riuscite a sfruttare al meglio queste ultime.

 

e-Novia, fabbrica antifragile di imprese

La resilienza non basta, occorre l’anti-fragilità

Yape, il robot postino. Una delle realizzazioni di e-Novia

e-Novia, come già sottolineato, punta all’anti-fragilità. È un concetto che va oltre la resilienza. Quest’ultima, in fondo, è solo l’abilità semi-elastica di resistere alla tensione e di tornare come prima. Non basta. Non è sufficiente reagire al contesto sfavorevole e superare il momento. Infatti oggi viviamo in un periodo in cui l’incertezza è perdurante: quanto bisognerebbe attendere?  Per Boniolo, occorre appunto l’anti-fragilità, ossia «la capacità di crescere nel caos, nella volatilità e nello stress». Significa cogliere le opportunità che esistono pure nei periodi più cupi.

Ma come deve essere strutturata la fabbrica anti-fragile? Deve trasformarsi in un «organismocaratterizzato da un’intelligenza diffusa, che si adatta autonomamente alla trasformazione, e si rinforza nelle condizioni di stress». Nell’azienda anti-fragile,la capacità di adattamento non deve riguardare questo o quel dipartimento, ma tutti; e deve essere caratterizzata da un forte automatismo. L’arma segreta è l’AI, la vera rivoluzione che consente di gestire la complessità.

 

 

Come funziona e-Novia

Legato a e-Novia è l’occhio digitale di Smart Robots, un dispositivo intelligente che guarda l’operatore, ne interpreta i movimenti e gli indica cosa deve fare tramite una interfaccia uomo-macchina. Insegna al tecnico della macchina la corretta sequenza di operazioni e ne riconosce e previene gli errori

e-Novia è una «enterprise factory». Produce aziende, per gemmazione. Trasforma ricerca in prodotto, ricercatori in imprenditori, startup in imprese. La “Fabbrica di Imprese” promuove, costituisce e sviluppa società innovative, ad alto valore tecnologico, attraverso la valorizzazione delle proprietà intellettuali. Gli ingegneri e designer di e-Novia lavorano a stretto contatto con centri di ricerca universitari specializzati in meccatronica, sistemi di controllo e tecnologie industriali. Si tratta degli atenei di Padova, Pescara, Siena, Bergamo, Genova, Trento, L’Aquila, Torino, nonché del Politecnico di Milano. Con questi centri l’azienda stipulato contratti per la realizzazione di attività ad alto grado di innovazione.

Si individuano iniziative da sottoporre ad approfondimento: i risultati delle ricerche vengono poi tradotti in prototipi, modelli di prova caratterizzati dall’integrazione di software e hardware – quest’ultimo costituito da elementi meccanici, biomeccanici, elettronici e altro. In pratica, il prototipo serve a dimostrare che il prodotto è materialmente realizzabile e praticabile da un punto di vista industriale. Del prototipo se ne fa un business case, che viene presentato ad un apposito Comitato Investimento: questo stabilisce se l’idea sia in grado di affrontare il mercato. Se la valutazione del Comitato è positiva, si fa l’impresa. «Attualmente – ha affermato Boniolo – e-Novia ha dato vita a 31 progetti in tre mercati ad alta crescita: la mobilità collaborativa, l’humanized machines e l’augmented human».

Un esempio di mobilità collaborativa è Yape, un postino robot molto leggero – pesa 15 kg – che porta piccoli pacchi per le strade di Milano e Cremona. Guidato sa sensori, è capace di localizzarsi e di riconoscere il volto sia del mittente che del destinatario. O Greenvineyard, sistema autonomo e modulare che supporta la vendemmia e al contempo abilita processi di gestione logistica. Uno di humanized machines è Blimp, che elabora le immagini campionate in tempo reale per estrarre il volume del pubblico e la distribuzione sociodemografica (sesso, età e stato emotivo) fino a un raggio di 60 metri nella versione standard. La tecnologia proprietaria è conforme alla privacy in quanto l’elaborazione delle immagini viene eseguita direttamente sul dispositivo, trasmettendo al cloud solo i dati aggregati e anonimi. Infine, uno di augmented human è Existo, che realizza esoscheletri leggeri per l’empowerment umano. Come il sesto dito robotico, una tecnologia di presa indossabile che può migliorare la capacità della mano e supportare le attività quotidiane dal vivo.

 

Cos’è il Mesap

Paolo Dondo technology manager del Mesap

È il Polo Tecnologico di Torino per gli smart product e gli smart manufacturing. Nato nel 2009, punta sulla meccatronica e promuove progetti e collaborazioni tra aziende, università e centri di ricerca per rafforzare le filiere tecnologiche e industriali – è uno dei luoghi dove il networking è strutturato, dove il “contatto” si crea e dove, in definitiva, si possono reperire le competenze necessarie allo scopo. È co-finanziato dalla Regione Piemonte ed è parte sia del CFI che del Cluster Nazionale Trasporti. «Innovare – ha affermato Tafuri – comporta il sostegno di reti di cui siamo parte, per restare aggiornati sui mega trend tecnologici e sui bisogni delle aziende». L’ecosistema è formato da 260 associati, tra cui due università, sei centri di ricerca, 222 Pmi e 38 grandi imprese. Le aziende hanno una vocazione fortemente industriale: i settori più rappresentati sono l’automotive, gli impianti per la produzione, l’aerospace, l’energia e altri.














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