Mediobanca/2: per continuare a crescere il Quarto capitalismo deve puntare su Iot, Industria 4.0, robotica, intelligenza artificiale, manifattura additiva. Altrimenti….

di Marco Scotti ♦ Lo studio sui venti anni di medie imprese: medio è bello e fa guardagnare, ma  per andare avanti occorre investire nelle nuove tecnologie. Gli esempi di chi fa bene: Valsoia e Brugola OEB

Le medie imprese italiane sono sicuramente la parte più performante del tessuto industriale nostrano, ma hanno ancora grandi margini di crescita. Il che è una buona notizia, purché però i ritardi accumulati finora vengano sanati in fretta. Due, in particolare, i principali problemi.

E’ sempre forte lo squilibrio Nord-Sud

In primo luogo, la collocazione geografica. Quello che un tempo veniva chiamato il triangolo industriale continua a rappresentare il terreno di coltura perfetto per queste imprese: Lombardia, Piemonte e Liguria (insieme alla Valle D’Aosta) vantano il 41,1% del complessivo. Se a queste quattro regioni aggiungiamo Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli ed Emilia Romagna otteniamo il 78,8%. Le nove regioni del sud Italia, invece, hanno il 9,5% delle medie imprese. Un numero decisamente troppo basso e che certifica, una volta di più, come la divisione nord-sud, quando si parla di economia, si mantenga – purtroppo – più forte che mai.







«Il Sud – spiega Domenico Mauriello di Unioncamere – è quello che sta agganciando più lentamente la ripresa: nel 2016 erano un terzo le medie imprese che denunciavano una flessione, mentre quest’anno il 66% vede una ripresa». Un’inversione di tendenza, quindi, che però arriva con almeno due anni di ritardo rispetto a quanto successo al nord, che ha iniziato ad “archiviare” la crisi già nel 2014 e che dal 2015 ha ripreso a correre.

 

Deposito di Amazon
Deposito di Amazon. I grandi market place offrono alle aziende una presenza sempre più costante, ma pochi ne approfittano al meglio

Internet sottoutilizzato

Il secondo tasto dolente è rappresentato dall’e-commerce e dall’utilizzo delle nuove tecnologie per aumentare la conoscenza del proprio brand. Per il 91,2% delle imprese censite, infatti, il commercio online rappresenta meno del 10% del fatturato complessivo. Un dato che deve fare riflettere soprattutto in uno scenario in cui i grandi marketplace – Amazon, eBay e AliBaba – stanno iniziando a offrire alle aziende una presenza sempre più costante. L’export, oltretutto, rimane il vero valore aggiunto per queste medie imprese: il 90% del campione ha prodotto fatturato all’estero e, per la prima volta da che esiste lo studio di Mediobanca, il complessivo di quanto realizzato oltre il confine italiano vale più di quello fatto in Italia.

L’errore di fondo che viene fatto da un management che – fedele alla tradizione familiare – è spesso ben oltre i 55 anni di età, è quello di pensare a internet esclusivamente come uno strumento attraverso cui vendere, e non come una “vetrina” in cui mostrare le proprie peculiarità e le proprie eccellenze. Sorprende, oltretutto, il dato che certifica come il 75% delle medie imprese italiane censite non abbia affiancato altre attività al semplice sito internet, che viene utilizzato poco e male. Solo il 16,2% del campione, invece, sviluppa attività di e-commerce.

Un altro dato, poi, deve far riflettere. Nel periodo compreso tra il 2007 e il 2015, quindi tra l’inizio della crisi economica e la fine, il manifatturiero italiano ha perso il 7,6% del suo valore aggiunto e il 16,7% dell’occupazione. Ma le medie imprese hanno registrato un trend opposto: +13,5% il fatturato, +30,7% l’export, +19% il valore aggiunto, +11% la produttività e +7,3% gli occupati. Significa che le medie imprese, le autentiche eccellenze del nostro paese, hanno spalle larghe già ora. Se iniziassero a utilizzare le tecnologie online potrebbero ulteriormente incrementare la loro presenza all’estero.

Dove va l’export

Per quanto riguarda le aree con maggiore crescita, svettano gli Stati Uniti, seguiti dall’Ue a 28, e dalla Cina. Continua il calo dell’export verso la Russia, ancora ingessato da quelle sanzioni che hanno fatto perdere alle aziende italiane, soprattutto le medie, una fetta importante del proprio fatturato. Un aspetto positivo, invece, è rappresentato dall’aumento delle collaborazioni formali con università e centri di ricerca (un’azienda su tre ha già avviato partnership di questo tipo).

 

Industry_4.0_NoText
Raffigurazione grafica schematica della quarta rivoluzione industriale
Industria 4.0:  trasformazione considerata ma non abbastanza praticata

Neutro, poi, il dato sull’industria 4.0: se il 65,8% del campione conosce questa trasformazione epocale (ma solo il 55,9% sa delle misure messe in atto dal piano del governo) e il 27% ha avviato o addirittura completato la trasformazione digitale, permane un 34,2% che non conosce l’argomento e che, di conseguenza, non ha avviato nessuna modifica del proprio tessuto. Per quanto riguarda il personale, nel 27,5% dei casi gli imprenditori ritengono di avere lavoratori pronti alla trasformazione, mentre più di un terzo è convinto del contrario.

Due case histories: Valsoia e OEB

Con la ricerca di  Mediobanca sono stati presentati due casi di eccellenza: il primo è Valsoia, il secondo OEB (Officine Egidio Brugola). L’azienda che offre cibi a base di soia e di prodotti non di origine animale è stata raccontata dal suo presidente e fondatore, Lorenzo Sassoli De Bianchi. Due i dati che hanno particolarmente colpito: il primo riguarda i prodotti di Valsoia. Quando si parla di GDO, infatti, soltanto il 24% degli item sopravvive dopo il primo anno sul mercato. Ebbene, il 70% dei prodotti dell’azienda di Sassoli sta ancora performando in maniera soddisfacente dopo sette anni. Il secondo riguarda i numeri, che spesso raccontano in maniera asettica successi e insuccessi di un’azienda. Quando Valsoia è nata, nel 1990, il suo fatturato era di circa 100.000 euro, nel 2016 era arrivato a 114 milioni, con un EBITDA di 14,1 e un utile di 8,79 milioni. Quotata in borsa nel 2006, le azioni dell’azienda valevano 4,25 euro, mentre oggi hanno quasi quadruplicato il loro prezzo, arrivando a 16 euro.

 

Brugola
Interno di uno degli stabilimento OEB a Lissone (MB)

 

Molto interessante anche il caso di OEB, che oggi produce 1,7 miliardi di viti. L’azienda è oggi leader del segmento delle viti critiche per motori nell’automotive, ovvero di quegli strumenti che “non possono mai rompersi”, pena il collasso dell’intera automobile. L’azienda di per sé non ha un fatturato incredibile: siamo intorno ai 130 milioni di euro, con proiezioni estremamente positive sia per il 2017 che, soprattutto, per il 2018. Piuttosto, è da segnare con particolare attenzione il fatto che si realizzi quasi il 100% di export, anche grazie alla creazione di uno stabilimento in Michigan, vicino a Detroit, che ha consentito a OEB di collocarsi geograficamente più vicina ai propri partner. Quando c’è stata la crisi dell’automotive il fatturato dell’azienda fondata da Egidio Brugola è tornato indietro di sei anni, ma ha impiegato solo 48 mesi per raddoppiare e tornare su livelli competitivi.

 

Egidio Brugola junior “Jody”, Presidente OEB

Medio è bello ?

Rimane, al termine di questa disamina, un ultimo interrogativo: le medie aziende italiane si trovano in una situazione transitoria per entrare nel novero dei “grandi” o sono delle realtà che stanno mantenendo una dimensione ottimale, che consente di realizzare investimenti e innovazione senza le “ingessature” che caratterizzano i colossi? Forse la verità sta nel mezzo. Da un lato, infatti, le medie imprese italiane crescono meglio delle altre, dall’altro però, se confrontate con il resto del mondo, rimangono realtà estremamente piccole, che potrebbero faticare a ritagliarsi un ruolo preminente. Prendiamo Valsoia, per esempio: pur con numeri commendevoli, è riuscita solo quest’anno a entrare negli Stati Uniti, ottenendo una commessa per gelati non prodotti con latte vaccino che vale, da sola, quasi quanto l’intero giro d’affari in Italia. Innovazione, e-commerce, nuove tecnologie: sono parole che devono diventare fondanti per queste realtà. E se un tempo si diceva che “piccolo è bello”, oggi si può tranquillamente sostenere che sia il “medio” il nuovo canone di bellezza. A patto però che si resti al passo con i tempi e con quelle innovazioni che continuano a correre.














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