Marcegaglia: la digital transformation dell’acciaio

di Marco de’ Francesco ♦ Viaggio all’interno delle connected factory del più noto gruppo siderurgico nazionale. Le soluzioni di Cisco per abilitare l’IoT e mettere il digitale al servizio dell’industria manifatturiera, in vista della manutenzione predittiva e della gestione della supply chain. Parlano Perissinotto e Campi

Due i progetti per Marcegaglia, storico e più importante gruppo siderurgico italiano, in tema di automazione e trasformazione digitale. Il primo riguarda la movimentazione automatizzata di materie prime e prodotti. Si tratta di spostare all’interno degli stabilimenti dei coil, gigantesche bobine d’acciaio, pesanti tonnellate, e di far ciò con grande precisione e senza rischi per il personale. Si è ricorso, in stabilimenti diversi, a navette automatiche e a carriponte che trasmettono dati raccolti real time ad un sistema centrale che impartisce loro ordini. Il secondo concerne il monitoraggio degli impianti. La supervisione non è più svolta entrando direttamente nei singoli controller delle macchine, a guasto avvenuto; ma da un’unica regia di gestione.

I due piani hanno un minimo comune denominatore: la sensorizzazione degli stabilimenti, che consente alle navette di orientarsi e all’azienda di tenere sotto controllo gli impianti; e una architettura di rete cablata e wireless, che permette la trasmissione dei dati raccolti da veicoli e dalle linee produttive, e che instaura la comunicazione tra le macchine. In azienda si inizia ad utilizzare Cisco Kinetic per l’acquisizione dei dati dai controller, la loro normalizzazione e il loro invio ai sistemi di controllo. D’altra parte, tutta l’architettura, con copertura forte, ad alta densità, è stata realizzata da Cisco, multinazionale specializzata nella fornitura di apparati di networking. Il modello è quello della connected factory, la fabbrica smart dove l’internet delle cose è realtà pervasiva.







Ora il colosso guidato dal presidente Antonio Marcegaglia punta al retrofit di machine e controller, per acquisire ancora più dati in vista della manutenzione predittiva; e a un nuovo modello di pianificazione e integrazione della supply chain, a piccoli passi e con casi pilota. Ciò è peraltro in linea con la strategia di Cisco, che non parla di Industria 4.0 ma di Impresa 4.0: il focus non è sulla linea di produzione o sulla macchina interconnessa, ma sul valore del digitale posto al servizio dell’impresa manifatturiera. Si costruisce una dimensione digitale che riguarda tutta l’impresa nel sul complesso. E si individuano modelli e best practise del Made in Italy riuniti in uno speciale club di aziende, il Cisco Customer club, di cui Marcegaglia, insieme ad altre grandi aziende come Fca e Fluid-o-Tech, fa parte. Ne abbiamo parlato con Marco Campi, corporate chief information technology officer di Marcegaglia, e con Cristian Perissinotto, Technical Solutions Architect di Cisco.

 

Cristian Perissinotto, Technical Solutions Architect di Cisco

La corsa verso la sensorizzazione degli impianti in un settore maturo

Come cambia il colosso dell’acciaio? Come si realizza, nella pratica, la trasformazione digitale in un’azienda storica operativa in un settore “maturo” e in un’ottica esclusivamente business to business? Le dimensioni del gruppo e il genere di attività rendono più interessante la risposta a queste domande. Va subito ricordato che Marcegaglia, ormai a quota 5 miliardi, è il primo gruppo siderurgico italiano. Con numeri importanti: 6.500 dipendenti, 60 unità commerciali e 21 stabilimenti, 5,6 milioni di tonnellate lavorate ogni anno, e oltre 15mila clienti. Il gruppo opera in tutto i mondo. Il 2017 e il 2018 sono stati anni di crescita sensibile, con un aumento di fatturato di un miliardo dal 2016. Per il 2019 il presidente Antonio Marcegaglia, in un’intervista a Siderweb, ha espresso ottimismo: la tensione fra Cina e Usa sui dazi sta calando, ha affermato, e non è impossibile una ripresa interna cinese. Insomma, ci si attende un anno positivo, anche se non esaltante come i precedenti.

 

Antonio Marcegaglia (foto di Gcarducci di Wikipedia in italiano)

 

Così, anche sulla scorta un finanziamento da 550 milioni concesso a ottobre dello scorso anno da un pool di 10 banche (Intesa Sanpaolo, UniCredit, Banco Bpm, Mps, Bnp Paribas, Bper Banca, Crédit Agricole Cariparma, Banca Carige, Banca Popolare di Sondrio e la Cdp) a Marcegaglia Steel, la holding industriale del gruppo, Marcegaglia si è detta interessata all’acquisizione di Ast, Acciai Speciali Terni, azienda storica ex Iri e poi ThyssenKrupp, che dopo otto anni di bilanci difficili è tornata in utile. E che è in vendita. A giugno, invece, il colosso di Gazoldo degli Ippoliti aveva acquisito l’80% del capitale sociale di Novero, azienda torinese specializzata nella produzione di tubi trafilati. E poi il gruppo ha deciso di aumentare gli investimenti annui, a 80-100 milioni di euro rispetto ai 50-60 milioni degli ultimi anni, si legge su Siderweb. Obiettivi, il miglioramento produttivo e l’efficientamento dei processi aziendali. Con un nuovo laminatoio a Ravenna, che comporta un investimento di 30 milioni. Un impianto altamente digitalizzato.

Sul fronte del 4.0, il gruppo ha dato vita, l’anno scorso, ad un piano triennale per dotare di sensori e automatizzare il monitoraggio degli impianti esistenti. Un progetto da 15 milioni di euro. Ma come sta andando? Che si è fatto? Anzitutto, una precisazione. Marcegaglia produce lamiere, ponteggi, barriere stradali, tubi saldati, nastri, acciaio inox, manici, condensatori ed evaporatori per elettrodomestici, serpentine per refrigerazione e pannelli coibentati. L’azienda esiste dal 1959, quando fu fondata da Steno Marcegaglia. I dirigenti attuali, dopo la morte di Steno nel settembre 2013, sono i figli Antonio ed Emma Marcegaglia, presidente della finanziaria di famiglia, la Marfin.

 

Emma_Marcegaglia
Emma Marcegaglia

 

Il gruppo è presente anche in altri settori, come l’energetico, l’ecologico, il turistico; in questo articolo ci occupiamo solo dell’attività “tipica”. Non bisogna pensare, però, che l’avanzamento tecnologico sia impossibile in un settore maturo, che solo apparentemente realizza prodotti poco tecnologici. «In realtà – afferma Campi – i primi sistemi informativi online-realtime sono stati implementati in Italia nell’ex Italsider (società derivante dalla fusione dell’Ilva con la Cornigliano Spa; inizialmente si chiamava Italsider Alti Forni e Acciaierie riunite Ilva e Cornigliano, poi, dal 1964, solo Italsider) di Cornigliano, che dal 1989, relativamente all’area a caldo di Cornigliano, era stata conferita al gruppo Riva, mentre l’intera Ilva fu ceduta allo stesso gruppo nel 1995. Già alla fine degli anni Novanta Ottanta si parlava di manutenzione predittiva, di AI e di logiche di Big Data. Il settore, cioè, in molti casi si è dimostrato all’avanguardia».

 

All’interno dello stabilimento di Casalmaggiore (copyright Marcegaglia)

La movimentazione automatizzata di materie e prime e prodotti

Circa dieci anni fa il gruppo Marcegaglia aveva avviato un progetto ampliamento degli stabilimenti di Ravenna e Casalmaggiore, per un investimento complessivo di circa 250 milioni di euro. Parte integrante di ciò erano anche importanti interventi nella logistica di stabilimento, ovvero nella automazione della movimentazione di semiprodotti e prodotti finiti, che hanno reso necessaria la costruzione di reti wifi di stabilimento. Di ciò si è occupata la multinazionale Cisco, secondo la quale i tre fattori fondamentali per l’impresa erano l’affidabilità, la garanzia della produttività e la sicurezza, elemento che nella siderurgia assume sempre un valore di rilievo considerevole.

«Abbiamo inserito un’architettura con antenne wi-fi studiate per l’ambiente industriale, con copertura forte, capillare e ad alta densità delle aree interessate. La soluzione consente di sostituire le schede di rete mantenendo le macchine attive» – afferma Cristian Perissinotto, Technical Solutions Architect di Cisco. «A Ravenna – afferma Campi – si trattava di spostare coils, che poi sono imponenti bobine d’acciaio. Si è fatto ricorso ad una flotta di Agv, automated guided vehicle, delle navette automatiche che portano il materiale tra gli impianti, in base agli ordini di lavoro, tra le varie fasi di processo sino alla spedizione finale». Secondo Perissinotto «si tratta di un contesto in cui non si possono commettere errori. D’altra parte, Cisco ha messo a disposizione una soluzione molto affidabile (switch Cisco Ie2000, access point Cisco 1600 e 2700, controller wireless 5500, e altro). Inoltre la rete è stata messa in sicurezza con strumenti adeguati (firewall 5500 e altro). Direi che il risultato esprime il concetto di connected factory, anche per la raccolta e l’analisi dei dati di cui parleremo».

 

All’interno dello stabilimento di Casalmaggiore (copyright Marcegaglia)

 

A Casalmaggiore, invece, si trattava di allestire, rende noto Cisco, un sistema di carriponte (il carroponte è una macchina destinata al sollevamento ed allo spostamento di materiali e merci, con movimenti ristretti e confinati, sia all’aperto che al chiuso) dedicato allo stoccaggio dei pacchi dei tubi raccolti dagli impianti di produzione e movimentati sino all’area di caricamento degli automezzi che li trasportano lungo il processo. Casalmaggiore è lo stabilimento dove i coil sono trasformati in tubi di diverse dimensioni. In buona sostanza, anche qui la movimentazione è stata integralmente automatizzata. Gli Agv e i carriponte, peraltro, trasmettono dati che vengono raccolti da un sistema centrale che impartisce loro ordini; e anche le macchine parlano tra di loro.

Le navette identificano il tracciato grazie a sensori, e il loro percorso è monitorato in rete. Quanto alla comunicazione dei dati da parte del carroponte, questa deve avvenire senza soluzione di continuità, per evidenti questioni di sicurezza, e non solo. Per Cisco, infatti, i carriponte sono impostati in modo da avere un continuo scambio in millisecondi per rilevare i rispettivi posizionamenti. Se la comunicazione non è all’altezza i carriponte rallentano e si fermano, con forti conseguenze per la produzione. Secondo Perissinotto, grazie all’architettura l’azienda ha ottenuto la visibilità di tutti gli impianti, per evitare eventuali errori prima che si verifichino.

 

All’interno dello stabilimento di Casalmaggiore (copyright Marcegaglia)

Il ruolo di Kinetic, che acquisisce e normalizza i dati

La soluzione Cisco Connected Factory è un portafoglio di architetture, funzionalità, tecnologie e servizi. È progettata per aiutare le industrie a integrare automazione e controllo con i sistemi aziendali; a costruire una rete comune, convergente, robusta, da impianto a impresa; a migliorare i costi operativi e altro. Come spiegato in un precedente articolo di Industria Italiana (reperibile qui ) la piattaforma Cisco Kinetic standardizza i dati di un’intera rete di produzione, sia nel caso in cui l’impianto produttivo abbia un solo tipo di macchina, che in quello in cui ne abbia di centinaia di modelli differenti. In genere, Kinetic può acquisire i dati IoT tramite due metodi diversi: leggendo variabili (“tag”) Scada (supervisory control and data acquisition, sono sistemi informatici diffusi in tutti quegli ambiti in cui si voglia monitorare lo stato dei processi; normalmente si tratta di software che permettono il funzionamento di sistemi di supervisione, controllo e telecontrollo senza dover scrivere codice con linguaggi di programmazione), o attraverso l’uso di sensori fisici applicati alle macchine.

In generale è molto complesso prelevare informazioni dai PLC e portarle ai sistemi ERP e MES che gestiscono i processi industriali, limite importante che impedisce di sfruttare il valore dei dati di produzione dei macchinari. Kinetic serve a questo. «Lo stiamo implementando – afferma Campi – anche se il grosso del lavoro, quello riferibile a più impianti, si farà quest’estate: è l’intervallo più logico per far ripartire il sistema». Per Campi, lo stabilimento più avanzato in tema di operatività Kinetic è quello di Forlì.

 

All’interno dello stabilimento di Casalmaggiore (copyright Marcegaglia)

Dopo l’intralogistica, il retrofit per le macchine

Campi spiega che «stiamo facendo retrofit appunto per darci la possibilità di raccogliere dati». In genere, per retrofit si intende l’aggiunta di nuove tecnologie o funzionalità a sistemi datati, prolungandone così la vita utile. Ma perché è così necessario raccogliere i dati e normalizzarli? «Senza la supervisione e la raccolta di informazioni – continua Campi – ogni volta che si verifica un problema dovremmo entrare direttamente nel Plc (il controller della macchina). Con l’intervento che stiamo realizzando i guasti li monitoriamo da una regia di gestione, ed è lì che il problema si risolve. Il sistema si resetta in modo automatico. Peraltro, con la raccolta dati in futuro potremo sviluppare forme di manutenzione predittiva». Un problema, secondo Campi, è l’eterogeneità, secondo diversi punti di vista, dei mezzi dai quali si intende estrarre informazioni: «Noi disponiamo di Plc di epoche diverse, con software differenti e di più fornitori». Ma l’attività di refit procede senza sosta, perché è ritenuta strategica l’azienda.

Cristian Perissinotto evidenzia come «con la raccolta dati molte cose cambiano: si assiste in genere ad un miglioramento operativo, perché tutto avviene più velocemente e con minor consumo energetico: you do more with less. E poi c’è il tema della digitalizzazione documentale: è necessaria all’azienda che fa parte di certe filiere internazionali, dove la digitalizzazione è un imperativo e dove tutti i passaggi vanno attestati in archivio (ora immateriale)». Forse è ancora è ancora un po’ presto per parlare di un utilizzo massiccio dei big data. «Per come la vedo io – ha continuato Campi – in un futuro prossimo potremmo scoprire relazioni nella produzione che oggi non siamo in grado di immaginare. Per esempio, potremmo individuare il rapporto tra la qualità della produzione e il grado di umidità dell’aria in certe giornate. Si tratterebbe di informazioni utilissime. Nel breve, ciò che dobbiamo fare è però un’altra cosa: a livello di singolo stabilimento, i processi sono già monitorati; bisognerebbe creare una relazione tra impianti a monte e a valle, collegare gli uni agli altri, perché ora sono dei “silos”. Ora l’IoT ci concede questa possibilità».

La rivisitazione della supply chain

È in corso la definizione di un nuovo modello generale evoluto di pianificazione della Supply Chain. A questo fine, secondo Campi, sono state destinate numerose e importanti risorse interne, che collaborano con i consulenti di Quin, società di Udine che offre soluzioni relative appunto alla catena dei fornitori e al project management. L’intervento si sta declinando, rendono noto da Quin, in tre direttrici: organizzazione; metodi e tecniche e strumenti. «Al termine del percorso progettuale sarà proposto un modello di gestione della catena di distribuzione con la struttura organizzativa ottimale individuata, i processi operativi, le best practice adottabili le soluzioni informatiche a supporto dei processi e delle decisioni dei professionisti». Il piano, per ora, riguarda la rete logistico produttiva di Carbon Steel, la divisione di Marcegaglia che si occupa di tubi saldati con acciaio al carbonio, e ha prodotto ricadute in termini organizzativi, con la creazione di nuove posizioni specialistiche e nuove competenze in azienda.

Altra cosa è la connessione e la digitalizzazione della supply chain con scambio di in informazioni in tempo reale tra aziende e aziende. In quest’ultimo caso la supply chain integrata si presenta come un “unicum” in termini di pianificazione di acquisti, livelli di stock, e tempi di consegna: l’alta tecnologia diffusa da un capo all’altro della filiera integrata rende quest’ultima flessibile ed in grado di reagire quasi real-time alle variazioni della domanda e dei livelli della produzione. Le aziende grandi, come Marcegaglia, chiamano le più piccole a sincronizzare i meccanismi di fornitura e a automatizzare gli ordini. Ma ciò non è ancora stato sviluppato. Secondo Campi, il gruppo sta adottando un approccio graduale, con alcuni casi pilota. Siamo agli inizi: si tratta di individuare sia le tecnologie da utilizzare che le attività da cui partire.

 

Lo stabilimento di Casalmaggiore (copyright Marcegaglia)

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Marcegaglia, non solo acciaio

Anzitutto, va ricordato che le attività della famiglia Marcegaglia sono gestite da tre gruppi principali controllati dalla finanziaria Marfin: Marcegaglia Spa, Marcegaglia Ireland Ldt e Marcegaglia Energy Srl. Quanto alle attività “core”, sono realizzate grazie a tre società: Marcegaglia Carbon Steel (tubi saldati con acciaio al carbonio), Marcegaglia Specialities (acciaio inox) e Marcegaglia Plates (lamiere da treno). Si diceva poi che Marcegaglia è impegnata in campi diversi dalla siderurgia. Ad esempio, è presente nel capitale dell’immobiliare Gabetti, con una quota che assomma quelle della Marfin e della società per azioni. Nel settore turistico, la famiglia possiede l’isola di Albarella e villaggi in Puglia e Sardegna. Nel settore rifiuti, la Euro Energy Group Srl opera per lo più in Calabria, dove ha una centrale elettrica a biomasse e in Puglia, dove ha tre inceneritori con recupero di energia.

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Agostino Santoni, ad Cisco Italia

Il Cisco Customer Club

Ne fanno parte realtà come aziende come Fca, Marcegaglia, Marzocco, Dallara, Inpeco, Fluid-O-Tech, Eleven Seventyseven, Veronesi e Del Brenta, ed è parte integrante della strategia di Cisco Italia: si tratta di definire un percorso per la trasformazione digitale della manifattura, con uno scambio di esperienze, con l’individuazione di modelli e la divulgazione di best practice del Made in Italy. Secondo l’ad di Cisco Italia Agostino Santoni «si tratta di casi di digitalizzazione di aziende manifatturiere italiane. Noi le abbiamo contattate e abbiamo detto loro: possiamo fornirvi la nostra visione di cosa voglia dire industria 4.0 in riferimento ad alcune componenti dei vostri processi. Ad esempio Marcegaglia, (leader mondiale nella trasformazione dell’acciaio che opera dall’Italia a livello globale, con una presenza di 43 stabilimenti distribuiti su una superficie complessiva di 6 milioni di metri quadrati; ndr), ha utilizzato la nostra tecnologia per realizzare la fabbrica connessa; si possono osservare, ora, bobine gigantesche di acciaio movimentate da macchine del tutto automatizzate, grazie alle nostre reti super sicure. Quanto a noi, non chiediamo soldi; ma le aziende comunque devono investire: in tempo, personale e progetti».














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