Manifattura, lavoro, management: che cosa succederà con l’ IoT

di Marco Scotti ♦ Kareem Yusuf, guru hi-tech a capo di Watson Internet of Things (Ibm) e la sua visione della digital transformation. Il caso Kone. E sugli operai…

«Ci troviamo all’inizio di un’era rivoluzionaria che sta profondamente modificando le competenze e le modalità di svolgimento del lavoro grazie all’Internet of Things. La manutenzione predittiva, in particolare, è un cambiamento copernicano che va a cancellare l’assioma americano “if it ain’t broken don’t fix it” (se non è rotto non aggiustarlo, ndr)». Inizia così l’intervista esclusiva – realizzata a margine della manifestazione IBM Think Milano – che Industria Italiana ha avuto con il capo dell’IoT di Watson Ibm, Kareem Yusuf, l’uomo su cui il colosso IT sta puntando con decisione per traghettare questa divisione verso un ruolo sempre più centrale nelle strategie dell’azienda americana.

 







Kareem Yusuf, GM di Watson IoT IBM, IBM THINK Milano

 

Il ruolo di Watson

Che tipo di “peso” ha la divisione guidata da Yusuf nell’ecosistema IBM e che tipo di impatto ci si aspetta nel business aziendale? «La nostra missione – ci spiega Yusuf – è quella di consentire alla clientela di massimizzare il valore degli asset connessi, facendo leva sull’intelligenza artificiale e analytics. Per asset connessi intendiamo in particolare strumentazione industriale, veicoli di ogni tipo, edifici, manutenzione e manifattura. Il nostro ruolo, quindi, si sostanzia nel creare valore aggiunto utilizzando data, cloud e AI. In futuro, il settore su cui dovremo concentrarci maggiormente sarà la scalabilità delle nostre soluzioni. Questo modellerà lo sviluppo del nostro portfolio e l’evoluzione delle nuove sfide». Alla base di Watson c’è la convinzione che l’intelligenza artificiale costituisca una leva competitiva importante per l’azienda, che grazie a strumenti come Watson può saperne di più utilizzando meno dati. Watson IoT si concentra su più comparti, dall’automotive all’elettronica, dall’energia alle assicurazioni, dal manufacturing al retail, ad altro.

 

BMW IBM Key Photo(1)
Watson Iot e Bmw per i veicoli connessi

 

L’automotive e l’agricoltura

Per Yusuf pensare di distinguere i diversi veicoli è un mero esercizio di stile: automotive e macchine agricole fanno parte di un unico grande gruppo che Watson IoT tratta come un unicum. «La divisione da me gestita – ci ha detto il GM di Watson IoT IBM – offre valore attraverso tre vie principali. In primo luogo per quanto concerne gli aspetti ingegneristici dei veicoli. Abbiamo un grande focus sul management del ciclo produttivo, soprattutto per quanto riguarda la gestione del ciclo di vita dei macchinari. Questo è stato trasformato dall’IoT: ora possiamo linkare molto di più i dati provenienti dal mondo reale in cui si muovono i veicoli con i dati di cui abbiamo bisogno che provengono dal veicolo stesso, li uniamo in quello che oggi viene chiamato il “digital twin”. Per fare ciò abbiamo bisogno della nostra piattaforma IoT. Questo discorso vale per qualsiasi veicolo, indipendentemente dal suo utilizzo finale».

Un altro aspetto importante riguarda la gestione e alla manutenzione delle flotte. «Abbiamo deciso – ci racconta ancora Yusuf – di puntare molto su questo settore anche dal punto di vista degli investimenti. Inoltre, anche sul versante della manutenzione, abbiamo la possibilità di supportare un’ingegneria di manutenzione maggiormente automatizzata nel comparto dell’automotive, e stiamo vedendo numerose trasformazioni. Un altro aspetto che ci interessa molto riguarda le operazioni nella manifattura, non solo nell’industria dei veicoli: in questo caso ciò che è rilevante è il controllo di qualità. In particolare, stiamo realizzando dispositivi per il riconoscimento visivo e acustico con applicazioni diversificate. L’acustica, soprattutto, si rileva particolarmente utile per un motore in movimento, consentendo di valutare i rumori che emette e capire in anticipo che vi sia qualche problema. L’ultimo sforzo che stiamo producendo, soprattutto per quanto concerne il lato consumer, è l’integrazione con i sistemi di assistenza digitale. Il guidatore potrà interagire con il veicolo in un modo più profondo, aumentando la conoscenza non soltanto della macchina, ma anche di dove essa si trova. Un ultimo aspetto che riguarda l’agricoltura è il controllo meteorologico: i dati climatici sono anch’essi dati IoT, in particolare ci stiamo concentrando sugli sviluppi che una maggiore comprensione degli eventi atmosferici può offrire al comparto agricolo».

 

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La sede di Watson IoT a Monaco, in Germania

La connettività che non c’è

In Italia abbiamo una rete a due velocità. Da una parte quella delle grandi città, con Milano a farla da padrone, e dall’altra le zone più difficilmente raggiungibili, dove la rapidità di rete è ancora una chimera. In mezzo, la necessità di connettere un numero sempre crescente di dispositivi e la volontà di ricevere informazioni sempre maggiori. «La mancanza di connettività – ci spiega Yusuf – è il vero motivo per cui l’edge computing è tornato a essere un grande argomento di discussione per noi. La vera e prima domanda che dovremmo porci riguarda come siamo connessi e quali dati vogliamo condividere. La maggior parte degli impianti industriali si trova al di fuori dalle aree urbane, dove si potrebbero non avere le stesse infrastrutture cittadine. Se dovessimo passare tutti i dati sul cloud, come potremmo governare il flusso di informazioni in presenza di una rete non particolarmente efficace?»

«C’è poi un’altra domanda che dobbiamo farci: parlando dell’automotive, vogliamo davvero collezionare tutti i dati che possono essere prodotti dal veicolo? Ne abbiamo davvero bisogno nello stesso momento? Quando si pensa all’edge, bisogna immaginarsi una sorta di “edge analytics”, ovvero la capacità computazionale non trasferita esclusivamente sul cloud. Perché non abbiamo sempre bisogno di tutti i dati nello stesso momento. Bisogna costruire analytics che possano essere scalabili. Inoltre, questo concetto sta diventando particolarmente importante nella manifattura non soltanto per questioni di connettività, ma anche di sicurezza: quanti dati devo muovere dal mio server locale per avere un valore aggiunto?».

 

L’intervento di Kareem Yusuf a IBM THINK Milano
Il GDPR

Parlare di sicurezza, soprattutto all’interno dei confini europei, costringe chiunque a confrontarsi con il GDPR, il dispositivo normativo entrato in vigore lo scorso 25 maggio e che impone nuovi adempimenti alle aziende IT. «Come si può immaginare – ci spiega il GM di Watson IoT Ibm – il GDPR è diventato un tema di grande importanza per qualsiasi IT provider che faccia business in Europa, come Ibm. Penso che, in generale, si possa definire questo nuovo dispositivo normativo come la necessità di dimostrare quali dati si stanno acquisendo dagli utenti e controllare ciò che è stato assorbito. Dal punto di vista di una piattaforma IoT, è necessario sapere quali sono i dispositivi connessi, perché devo fornire una prova a chiunque me ne faccia richiesta. In un secondo momento, poi, si potrà pensare che la nostra piattaforma potrà sicuramente trarre beneficio dalla blockchain, perché è una tecnologia che si basa sull’evidenza della prova.»

«Se si pensa al GDPR come alla possibilità di “opt-out” in qualsiasi momento, e alla necessità da parte dell’azienda di mostrare come il dato viene rimosso dai propri database, allora è bene ricordare che in ambito industriale i dati personali non vanno intesi nell’ottica del consumatore, ma dei lavoratori e degli operatori. Il luogo in cui però impatta maggiormente è il B2B2C, e lì bisogna pensare con molta attenzione al ruolo dell’intelligenza artificiale, per esempio nel caso degli assistenti digitali. L’impiego dell’intelligenza artificiale nel segmento enterprise è la vera sfida che dobbiamo affrontare: i dati che raccogliamo in merito all’utenza non sono nostri, e i nostri clienti devono capire come gestire al meglio queste informazioni. In Ibm non stiamo affrontando la partita dei dati degli utenti, non è un affare che ci riguarda, noi abbiamo degli obblighi verso i nostri clienti, che a loro volta si rivolgono alla loro utenza, e noi dobbiamo permettere ai nostri partner di sviluppare le migliori soluzioni per tutelare la clientela e per custodire al meglio le informazioni».

 

Enrico Cereda Ceo IBM Italia
Enrico Cereda Ceo IBM Italia

Il ruolo del management nell’industria 4.0

Un altro dei temi più importanti che l’avvento dell’industria 4.0 ha messo sul tavolo è quello relativo al lavoro e al ruolo dell’uomo. In questo caso non intendiamo occuparci della possibilità che la macchina soppianti il lavoratore in carne ed ossa, ma piuttosto sulle trasformazioni profonde che qualunque manager o operaio dovrà affrontare all’interno della fabbrica. «Ci sono – ha proseguito Yusuf – due enormi pilastri che si stanno profondamente modificando: i processi di lavoro e le abilità. Il primo settore riguarda ciò che l’IoT sta rendendo possibile. Come si evolvono le modalità di svolgere il lavoro? La manutenzione predittiva cambia completamente la prospettiva: aggiustiamo un pezzo prima che sia rotto. Bisognerà cambiare la mentalità, e per fare ciò bisogna abbandonare la logica del “se non è rotto non aggiustarlo”».

« Se non si cambia la forma mentis del management e di tutta la forza lavoro, si rischia di non sfruttare le grandi migliorie che l’industria 4.0 può offrire. Per quanto riguarda le abilità, bisognerà iniziare a pensare in modo completamente diverso. Gli ingegneri che si occupano di manutenzione riceveranno informazioni completamente diverse da quelle che ricevono oggi. E anche il modo in cui vengono utilizzati i device cambierà in maniera radicale. Da questo punto di vista è esemplificativo il ruolo dello smartphone negli ultimi dieci anni: inizialmente facevamo solo chiamate, mentre ora fare le telefonate è la cosa che facciamo meno, perché preferiamo impiegarlo per altri scopi. Da una prospettiva umana, i lavoratori dovranno “ritrovare” una certa confidenza con un nuovo modo di gestire device e dati».

A che punto è la rivoluzione

Infine, non si può non pensare a una domanda filosofica: a che punto siamo della rivoluzione dell’industria 4.0? Quanta parte della curva di crescita è stata ultimata? Yusuf non ha dubbi: «Penso che siamo solo all’inizio, e questo perché se pensiamo all’IoT e chiediamo in giro a che cosa possa servire, quasi tutti penseranno esclusivamente all’aspetto della capacità di connettere qualsiasi dispositivo, mentre il vero plus è rappresentato dalla possibilità di raccogliere dati. La trasformazione è ancora molto lontana dall’essere completata. C’è ancora tantissimo che deve essere svelato, e noi stiamo vivendo un momento cruciale. Per questo in Ibm abbiamo una business unit dedicata esclusivamente allo sviluppo di nuove soluzioni e nuove applicazioni per l’IoT».

 

Ginny Rometti, CEO IBM
Ginny Rometti, CEO IBM
Il caso Kone

Una delle integrazioni più interessanti tra aziende tradizionali e Watson IoT Ibm presentate durante l’Ibm Think Milano è quella di Kone. Si tratta di un’impresa attiva nel mercato degli ascensori e delle scale mobili che ha deciso di cambiare completamente la propria vision, passando dalla semplice manutenzione dei macchinari alla mobilità delle persone all’interno degli edifici da loro gestiti. Il caso più eclatante di questa partnership è l’Unicredit Tower: nel nuovo edificio che ospita i dipendenti della banca, quando un lavoratore entra con il badge gli viene indicato sul display quale ascensore prendere. Non solo: lo stesso ascensore ha già memorizzato il piano a cui deve recarsi il dipendente, senza quindi bisogno di schiacciare il classico bottone.

La partnership con Ibm ha consentito di utilizzare l’infrastruttura di Watson per la raccolta dei dati per aumentare la conoscenza dei clienti e dei manufatti. Si tratta di un progetto globale che ha visto coinvolti, fin dalla fase pilota, tutti i 60 paesi che hanno condiviso in cloud i dati ottenuti. Ora siamo nella fase di sviluppo del business che è ormai definitivamente commerciabile. Attraverso la connessione in cloud delle scale mobili e degli ascensori degli stabili è possibile prevenire una serie di eventi o addirittura conoscerli prima che si verifichino. Incrociando i dati tecnici con i dati di vita dell’edificio è possibile stilare una mappa delle ore in cui c’è maggiore o minore afflusso di persone, permettendo in questo modo di programmare la manutenzione senza che causi eccessivi disagi.

 

La boutique di Louis Vuitton a Parigi

 

Ovviamente queste tecnologie si traducono in un’ottimizzazione delle voci di spesa: il numero dei guasti, a regime, si abbassa del 20-25% nel medio termine. E i costi sono ovviamente più bassi, perché la manutenzione ordinaria ha un prezzo decisamente meno elevato del fermo degli impianti. Un esempio concreto è la boutique di Louis Vuitton a Parigi: la maison francese ha calcolato che un fermo dell’ascensore (il negozio è su due piani) può costare fino a 500 euro l’ora di mancato fatturato perché la clientela del brand non è disposta a fare le scale a piedi. Ai clienti che si rivolgono a Kone viene proposto un contratto di service, in cui è la stessa Kone a occuparsi dell’allacciamento al cloud, fornendo il servizio con una fee. Ovviamente il prezzo del servizio può variare moltissimo a seconda della tipologia di edificio, ma si parte, per il semento residenziale, da un costo di 35-50 euro al mese per la gestione ordinaria, cui poi va sommato il costo della manutenzione.














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