La robotic process automation, un’opportunità enorme nella manifattura: ecco come usarla

di Marco de' Francesco ♦︎ Automazione non significa solo robot e cobot, ma anche software, e non solo nelle chatbox o nei sistemi di customer care e marketing, ma anche in fabbrica, con significative chanches di creare valore. La Rpa è un insieme di tecnologie intelligenti coinvolte nell’automazione del workflow, in particolar modo di tutte le attività iterative degli operatori, imitandone il comportamento e interagendo con gli applicativi informatici così come farebbe un umano. Se n'è parlato in un webinar del competence center Made, col membro del cda Paolo Rocco, Massimilano Galli (Siemens) e Paolo Vaniglia (Kuka)

C’è un esercito invisibile e immateriale che può supportare le imprese manifatturiere: è composto dai software della Robotic Process Automation. Così come i robot industriali hanno automatizzato le operazioni iterative e alienanti della produzione, gli automi virtuali della Rpa si prendono carico delle azioni ripetitive tipiche di tutti gli altri processi aziendali.

Armati di algoritmi di intelligenza artificiale, machine learning e deep learning, questi software inseriscono dati nel Crm o nell’Erp, li caricano su speciali piattaforme per la spend analytics, puliscono e preparano le informazioni prima delle analisi predittive in Cloud, redigono i contratti nell’e-procurement,  si occupano di flussi di cassa e di verifiche delle fatture, consentono agli operatori di interrogare le macchine o rispondono, nelle Chat bot, alle domande degli utenti. Sono tanto utili quanto sempre più plug & play. Ciò nonostante, sono sistemi poco diffusi nella manifattura italiana. È il motivo per cui ne parliamo.  







Per questo articolo, abbiamo preso spunto dal Webinar  “Industrial Artificial Intelligence & Robotic Process Automation”, tenuto giorni fa e organizzato da Made, centro di competenze tecniche e manageriali guidato da Marco Taisch (Politecnico di Milano) che supporta le imprese nel loro percorso di trasformazione digitale verso l’Industria 4.0. Mette a disposizione un ampio panorama di conoscenze, metodi e strumenti sulle tecnologie digitali che spaziano sull’intero ciclo di vita del prodotto. Sono intervenuti il field application engineer di Kuka Roboter Italia Paolo Vaniglia, e il business unit segment head automation system di Siemens Italia Massimiliano Galli. L’evento è stato moderato da Paolo Rocco, docente al Dipartimento di elettronica, informazione e bioingegneria del Politecnico di Milano e membro del Cda del Competence Center Made.           

 

Dalla robotica alla Robotic Workforce: l’automazione della ripetitività in azienda

Paolo Rocco, docente al Dipartimento di elettronica, informazione e bioingegneria del Politecnico di Milano e membro del Cda del Competence Center Made

La robotica industriale fa capolino nello shopfloor negli anni Settanta. I primi modelli erano poco più che bracci meccanici dotati di un sistema di controllo esterno, che a sua volta veniva caricato da un floppy disc. Si pensi al “Puma” di General Motors, il primo antropomorfo. Ma l’evoluzione fu rapidissima: Abb (al tempo, Asea) subito realizzò Irb, un robot capace di muoversi su cinque piani, mentre la tedesca Kuka (acquisita nel 2016 dalla cinese Midea) costruì Famulus, il primo modello al mondo con sei assi comandati in modo elettromeccanico.  Attualmente sono operative diverse tipologie: ad esempio gli Scara, che movimentano un braccio sul piano orizzontale e una presa che può salire e scendere in quello verticale; o i Delta, robot paralleli che consistono in tre bracci collegati da giunti universali alla base: un parallelogramma mantiene l’orientamento del dispositivo di estremità; o ancora i cartesiani, in grado di muoversi sui tre assi x,y e z in maniera lineare. 

Infine, sono arrivati i Cobot, strumenti destinati a interagire fisicamente con gli esseri umani in spazi di lavoro condiviso. Grazie ai sensori di movimento, a quelli per rilevare la forza impressa, a telecamere e a sistemi anticollisione, sono in grado di coordinare la propria azione con quella degli operatori umani. In genere, si tratta apparecchi piccoli e agili, studiati per manipolare le cose. Tutti questi strumenti hanno in comune una funzione fondamentale: quella di sgravare gli operatori umani da attività faticose, alienanti, cicliche, per destinarli a compiti con più alto valore aggiunto. «Con la robotica industriale – ha affermato Vaniglia – abbiamo automatizzato la ripetitività. Si pensi all’asservimento delle macchine utensili, alla realizzazione dei pallet, o alle fresature. Tutte azioni iterative, che prima però assorbivano parte del personale».

A ben vedere però, in azienda i compiti ripetitivi e non-core non riguardano solo la produzione. Si pensi all’attività di rispondere agli utenti: oggi può essere realizzata da Chat bot, software progettati per simulare una conversazione con un essere umano. E ne sono state inventate, di Chat bot, anche per consentire anche ad un operatore di interrogare una o più macchine, nel contesto manifatturiero. Per sapere, ad esempio, quanti pezzi sono stati realizzati, o quali problemi sono stati eventualmente riscontrati. Sul punto, si può consultare questo articolo di Industria Italiana. In tutti questi casi, il linguaggio utilizzato è quello comune, quello naturale delle persone: è il sistema ad interpretare l’intento di chi pone la domanda, e ciò fa si che i processi si velocizzino. Ci sono molti vantaggi: l’utente o l’operatore che interrogano il bot non devono possedere competenze specifiche sul prodotto o sulla macchina, e il sistema è raggiungibile ogni ora di ogni giorno, da qualsiasi luogo. Il servizio è più veloce e completo, e la quota di errori cala drasticamente. «L’obiettivo – ha continuato Vaniglia – è quello di trasferire la gestione di processi ripetitivi diversi dalla produzione dal personale dell’azienda alla Robotic Workforce». Che è un insieme di bot, di software che svolgono, in un mondo “immateriale”, la stessa attività di semplificazione dei robot veri e propri nella produzione, e sempre in vista di una maggiore efficienza. «Invece di un automa fisico, visibile, opera uno virtuale e invisibile».

I robot industriali hanno automatizzato le operazioni iterative e alienanti della produzione, gli automi virtuali della Rpa si prendono carico delle azioni ripetitive tipiche di tutti gli altri processi aziendali

A cosa servono in azienda i software Rpa?

Il business unit segment head automation system di Siemens Italia Massimiliano Galli

Si parla, in tutti questi casi in cui l’automa e immateriale e invisibile, di Robotic Process Automation (Rpa). Ribadiamo alcuni concetti già espressi per fornire una definizione: la Rpa è un insieme di tecnologie intelligenti coinvolte nell’automazione del workflow, in particolar modo di tutte le attività iterative degli operatori, imitandone il comportamento e interagendo con gli applicativi informatici così come farebbe un umano. Si usa distinguere peraltro la Rpa presidiata dalla non presidiata. Nel primo caso l’automazione non è totale, ma riguarda solo alcuni aspetti del processo; l’operatore umano svolge il lavoro più importante. Ma al di là delle Chat bot per rispondere agli utenti o per interrogare le macchine, l’azienda manifatturiera in pratica che cosa se ne fa? A cosa servono i software Rpa? Possono svolgere diversi compiti: possono automatizzare l’inserimento di informazioni nel Crm, il software di gestione delle relazioni con la clientela, ad esempio per definire l’ambito dei clienti rispetto ai quali fare una promozione o una campagna pubblicitaria; o nell’Erp, che pianifica le risorse di impresa: vendite, acquisti, gestione magazzini, contabilità e altro. O altrimenti, nella corretta configurazione di una architettura di analisi di Big Data, possono servire alla preparazione dei dati: occorre raccoglierli, integrarli con informazioni di fonti diverse e “pulirli”, eliminando i doppioni e le inconsistenze e riempiendo i vuoti.

Per esempio, se una persona risulta titolare di tre cellulari, si può cercare di capire se questi numeri siano ancora tutti operativi. Insomma, per i passaggi successivi (data storage, data modelling, fase decisionale), i dati devono risultare completi, precisi e affidabili, e questo è un lavoro che un software Rpa svolge meglio e più velocemente di un tecnico. Inoltre, i software Rpa possono servire nella spend analytics: fra le tante attività di una azienda, c’è quella di capire quanto si spende. In genere si consulta manualmente una ricca documentazione di dati, alla ricerca di numeri, trend, difformità. È un lavoro laborioso, perché le informazioni possono essere contenute in testi diversi, e non è semplice incrociarle. Tutti questi dati possono essere caricati automaticamente su speciali piattaforme, dove sono esaminati per trovare delle relazioni tra di loro. E ciò consente all’azienda di prendere decisioni. Ad esempio, si può scoprire di avere troppi fornitori, o che alcuni costano più della media del mercato e che altri non solo in linea con requisiti regolamentari. Ancora, i software Rpa possono trovare applicazione nell’e-procurement, nella scrittura dei contratti e degli ordini di acquisto. Ma anche nell’analisi dei flussi di cassa e nella verifica delle fatture. In realtà, questa “lista” di possibili destinazioni della robotic workforce nella manifattura non è per niente esaustiva, perché l’immaterialità e la virtualità di questi sistemi fanno sì che nuove applicazioni possano essere “inventate” di continuo. Al di là della manifattura, poi, la Rpa è utilizzata nei servizi finanziari, per esempio per le approvazioni dei mutui bancari; nel turismo, per la conferma degli ordini ed invio e-mail; e nella sanità, per la refertazione del paziente. Gradualmente, questi sistemi sono diventati sempre più semplici da utilizzare, e sono sempre più plug & play.  

La Rpa è un insieme di tecnologie intelligenti coinvolte nell’automazione del workflow, in particolar modo di tutte le attività iterative degli operatori, imitandone il comportamento e interagendo con gli applicativi informatici così come farebbe un umano

 

Come funzionano i software Rpa?

Il field application engineer di Kuka Roboter Italia Paolo Vaniglia

Come agiscono i software Rpa? Lo si capisce tornando all’esempio della Chat bot. L’automa invisibile apprende di continuo il linguaggio e il significato delle parole nell’interazione con l’utente o con l’operatore. Acquisisce via-via un maggior grado di consapevolezza semantica. C’entra l’AI, che è costituita da algoritmi, e cioè di elenchi finiti di istruzioni, che risolvono ciascuno un determinato problema attraverso un certo numero di passi elementari. I “problemi” che si considerano sono quasi sempre caratterizzati da dati di ingresso variabili, su cui l’algoritmo stesso opererà per giungere fino alla soluzione. Questi algoritmi sono sempre più complessi e vengono elaborati da computer e server sempre più potenti. Talvolta vengono costruiti per imitare alcuni singoli processi della mente umana, e da questo procedimento deriva il nome “intelligenza artificiale“. «Quest’ultima – ha affermato Galli – è un fattore abilitante, che consente ai sistemi di riconfigurarsi autonomamente, di ottimizzarsi real time e di prendere decisioni».

E c’entra soprattutto, una delle tecniche di maggior successo dell’AI, il machine learning. È l’apprendimento automatico: il sistema impara dall’esperienza. Grazie a particolari algoritmi, è in grado di svolgere ragionamenti induttivi, elaborando regole generali definite associando l’input all’output corretto. Questi algoritmi vanno nutriti. Occorre una fase di addestramento, che in genere è supervisionato. È quando un “insegnante” fornisce all’algoritmo un dataset completo per l’allenamento. Immagini che si riferiscono ad una chiave inglese, ad esempio: grazie alla visione di tante illustrazioni relative all’attrezzo, e ai metadata che ne descrivono gli attributi, il sistema apprende che cosa sia quell’utensile particolare, quali siano le sue caratteristiche peculiari, a cosa serva, e in che modo vada utilizzato. Esiste poi un apprendimento non supervisionato. In questo caso, le informazioni inserite all’interno della macchina non sono codificate, sono input che il sistema classificherà ed organizzerà sulla base di caratteristiche comuni per cercare di effettuare ragionamenti e previsioni sugli input successivi. Infine, c’è un apprendimento per rinforzo: è quando al sistema viene dato un obiettivo da raggiungere; ma inizialmente non sa come fare perché non dispone di conoscenze, visto che non ha analizzato alcun dataset di esempi. «Il grande vantaggio di questi sistemi – ha affermato Vaniglia – è che si possono gestire dati non strutturati, e quindi automatizzare processi che cambiano di continuo».

L’intelligenza artificiale è un fattore abilitante, che consente ai sistemi di riconfigurarsi autonomamente, di ottimizzarsi real time e di prendere decisioni

Possono essere coinvolte tecnologie di deep learning. Questo è un metodo di apprendimento che si basa su diversi livelli di rappresentazione, corrispondenti a gerarchie di caratteristiche di concetti, dove quelli di alto livello sono definiti sulla base di quelli di basso rango. In pratica, l’output del livello precedente viene utilizzato come input per quello successivo. L’intelligenza che emerge in procedimenti di questo tipo è il frutto di un movimento “diffuso”, e non centralizzato in una singola unità. Una delle architetture tipiche dell’apprendimento profondo è quella che utilizza le reti neurali. Queste sono funzioni matematiche che imitano il meccanismo del cervello umano. I neuroni artificiali replicano il funzionamento di quelli biologici, piccole componenti del cervello che ci consentono di ragionare. Come nel caso del cervello umano, il modello artificiale è costituito da interconnessioni di informazioni. Ora, in un normale contesto informatico, le informazioni vengono immagazzinate in una memoria centrale ed elaborate in un luogo definito: con la rete neurale, invece, si cerca simulare il comportamento dei neuroni con connessioni analoghe alle sinapsi di un neurone biologico tramite una funzione di attivazione, che stabilisce quando il neurone invia un segnale. In pratica, le informazioni sono distribuite in tutti i nodi della rete. Come accade nel cervello umano.














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