Gli utili aziendali caleranno. Però i fatturati…

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di Filippo Astone ♦ Una ricerca McKinsey evidenzia un calo permanente e strutturale degli utili di ogni settore. Sarà un fenomeno irreversibile. Ma in compenso aumenteranno i fatturati.  

C’è una verità scomoda rispetto alla quale tutte le imprese – di ogni settore, dimensione e tipologia – devono fare i conti. La verità è che nei prossimi anni ci sarà un calo generalizzato degli utili aziendali in tutto il mondo occidentale. Alcuni macrotrend, che ora esporremo, portano in quella direzione. Accanto a questa pessima notizia, ce ne sono però due buone. La prima è che aumenteranno in modo altrettanto generalizzato i fatturati. La seconda è che – grazie ad alcuni macrotrend – le piccole imprese avranno maggiori chances di inserirsi nella catena del valore globale, cioè di vendere i loro prodotti in tutto il mondo.







Questo quadro emerge da una ricerca che tre consulenti della McKinsey (Richard Dobbs, Tim Koller, Sreee Ramasway) hanno pubblicato su McKinsey Quarterly, il magazine della famosa società di consulenza. L’articolo ha suscitato un tale clamore da venire poi ripubblicato dalla Harvard Business Review, prima nella versione inglese e poi in quella italiana. E giustamente: si tratta di una esaustiva ed efficace roadmap dell’economia mondiale.money-dollari

Attenzione al trend

Non è un articolo recentissimo. L’ultima pubblicazione, quella sulla Harvard Business Review italiana, risale allo scorso ottobre. Ma è un articolo talmente importante che noi di Industria Italiana pensiamo che meriti di essere segnalato ai nostri lettori, che sono in larga maggioranza imprese manifatturiere italiane, e che forse ignorano questo trend. A proposito di questo trend, pubblichiamo anche un commento a tutto ciò (lo trovate qui nella sezione Analisi) scritto in esclusiva per noi da Stefano Di Tommaso, economista e banchiere d’affari.

Ma entriamo in res. Per prima cosa l’articolo mette a confronto gli utili aziendali di tutte le aziende del mondo del 1980 (2 trilioni di dollari) con quelli del 2013 (7,2 trilioni). Ricordiamo che un trilione è pari a mille miliardi di dollari. La cifra si è quasi quadruplicata nel giro di 23 anni, anche se il pil mondiale non è cresciuto proporzionalmente. Il fatto è che nel 1980 gli utili aziendali erano pari al 7,6% del pil mondiale. Mentre nel 2013 sono diventati pari al 9,8%. I risultati operativi, in pratica, sono cresciuti il 30% in più rispetto al pil mondiale. Questo, secondo i consulenti della McKisney, si spiega con molti trend concomitanti: automazione, digitalizzazione, deregulation, privatizzazioni, riduzione del costo medio del lavoro in seguito alle delocalizzazioni, nuovi consumatori che dai Paesi in via di sviluppo si sono affacciati sui mercati globali, dimezzamento della tassazione d’impresa, aumento della ricchezza complessiva. Nel 1980 c’erano sulla terra 1 miliardo di persone che guadagnavano più di 10 dollari al giorno. Nel 2013 sono diventate tre miliardi. Nel 1980 il mondo degli emerging produceva il 21% del pil globale, che nel 2013 è diventato il 42%. Nel 1980 una multinazionale come General Electric fatturava 4,8 miliardi fuori dagli Stati Uniti, che nel 2013 sono diventati 80 miliardi.

Addio spinta

Secondo Richard Dobbs, Tim Koller e Sreee Ramasway tutte quelle spinte di crescita si sono esaurite. Per questo, la crescita media annua dell’economia globale scenderà dal 3,5% al 2,1%. La media del 2,1% sarà tenuta al ribasso dai Paesi occidentali, che cresceranno dell’1,9%.

Ma soprattutto, scenderanno significativamente gli utili aziendali. Per due ragioni concomitanti: i nuovi approcci dei Paesi emergenti all’economia globale, i mutamenti del mercato indotti dalla digitalizazione.

http://www.industriaitaliana.it/le-aziende-devono-prepararsi-unepoca-bassi-profitti/
Soldi & digitale

Strategie delle aziende dei Paesi emergenti: conta la quota di mercato più che l’utile.

I Paesi emergenti iniziano a non essere più, e da tempo, solo luoghi in cui delocalizzare a basso costo. Ormai esprimono sempre più multinazionali che si buttano nella competizione globale (quindi anche con i loro clienti ed ex clienti) sui settori ad alto valore aggiunto. Nel 1990 le aziende di Fortune 500 provenienti dai Paesi emergenti erano il 5%, nel 2013 sono diventate il 26% e nel 2025 saranno il 25%. Queste aziende, a differenza dei loro competitor occidentali, non perseguono strategie orientate agli utili di breve e medio periodo, anche perché raramente sono quotate in Borsa. Quelle cinesi in particolare, nella stragrande maggioranza dei casi hanno alle spalle un azionista che può ragionare in modo molto paziente e guardare al lunghissimo termine: lo Stato. L’interesse di queste aziende è soprattutto la crescita dimensionale/aumento delle quote di mercato. Per raggiungere tale obiettivo sono disposte a sacrificare una parte (magari anche una buona parte) dei loro margini, diventando più competitive sul fronte dei prezzi. Non solo: queste aziende (in particolare, ma non solo, quelle cinesi) tendono a investire il più possibile per favorire il loro sviluppo in termini di quote di mercato. Detto in parole più povere: spendono volentieri miliardi di dollari in acquisizioni. Lo dimostra il trend della produzione di alluminio, nella quale i cinesi sono passati dal 4% di quota di mercato del 1990 all’attuale 52%.

Oltre a questo, le multinazionali dei Paesi in via di sviluppo stanno perseguendo politiche intense e aggressive dei migliori talenti. Non solo quelli “locali”, ma anche quelli europei o americani. Non è raro il caso di società cinesi che, dopo qualche anno di presenza in Europa o Australia, Canada, Usa, si comprano interi team di top management o middle management offrendo a tutti il 30% in più di salario netto.

Anche i colossi dell’hi-tech si muovono come le multinazionali cinesi o indiane!

A privilegiare dimensioni e quota di mercato rispetto agli utili non sono solo le grandi aziende dei Paesi emergenti. Tendono a comportarsi così anche colossi dell’hi-tech, che hanno deciso che per i primi anni di vita conta solo affermarsi, e poi si vedrà. I casi citati dall’articolo dei consulenti McKinsey sono Amazon, Alibaba, Uber, Airnb&B e vari altri. Anche loro hanno alle spalle dei capitali pazienti, che in questo specifico caso non sono dello Stato ma dei fondi di private equity o provenienti dalla precedente raccolta di risorse in Borsa. Anche in tale situazione, privilegiare le quote di mercato significa competere sul prezzo, e ridurre gli utili. Queste strategie aziendali si sommano alla disintermediazione che la digitalizzazione porta con sé. E’ infatti sotto gli occhi di tutti come Internet tenda a favorire il contatto diretto fra aziende e clienti, e la comparazione delle tariffe applicate da attori concorrenti. Tutto, insomma, rema verso la depressione degli utili.

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E allora? Non tutto è così nero come potrebbe sembrare, avvertono i tre autori dell’articolo. La buona notizia è che da oggi al 2025 il pil mondiale crescerà del 40%, una percentuale fra quelle da record nella storia mondiale. Il target, per la precisione, è 185 trilioni di dollari. Inoltre, bisogna sottolineare un fatto importante: le nuove tecnologie aprono la strada anche ai più piccoli. Il crowfounding, per esempio, consente – grazie a Internet – di raccogliere finanziamenti in tutto il mondo per far crescere idee imprenditoriali innovativi. Pebble (https://www.pebble.com/) produttore di smartwatch sportivi, è diventata un player importante dopo aver raccolto, grazie al crowfounding, ben 20 milioni di dollari in un solo giorno. Oppure GCloud, la piattaforma che nel Regno Unito ha consentito anche alle piccole imprese di competere con le grandi nella fornitura di servizi alla pubblica amministrazione attraverso il cloud.

Quali strategie?

Che cosa fare per emergere nella competizione globale che si svolgerà su questo scenario? I tre consulenti della McKinsey propongono almeno quattro comportamenti strategici che, ovviamente, non sono certo esaustivi. Eccoli:

1) Investire nel capitale intellettuale, assumendo persone top performer ma anche organizzandolo bene all’interno delle aziende. Spesso, infatti, ci sono molte più conoscenze all’interno dell’impresa rispetto di quanto il top management creda. Occorre favorire la loro sistematizzazione, e anche lo scambio e l’organizzazione, servendosi anche dei formidabili supporti software oggi disponibili.

2) Partecipare alla guerra per i talenti, cercando di accaparrarsi i migliori

3) Cercare un “capitale paziente” che sostenga lo sviluppo dell’azienda guardando prevalentemente al lungo termine

4) Essere paranoici

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