Ma quale eredità lascia Calenda? Quali sono i nodi industriali più urgenti da sciogliere in Italia? E come?

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 di Marco Scotti ♦ L’assenza di un progetto competitività per il Paese. E’ questa – secondo l’economista industriale Riccardo Gallo – la principale carenza della politica di Calenda, che pure ha avuto lati positivi. Una intervista a tutto campo sui nodi passati, presenti e futuri dell’economia nazionale: dall’ Iri all’ Alitalia, dall’ Ilva a Embraco a Industry 4.0

«Una politica a supporto della quarta rivoluzione industriale non si può fondare soltanto sugli sgravi fiscali per l’acquisto di macchinari di moderna concezione, altrimenti rischia di tramutarsi in una “Sabatini Ter”. La misura che promuove la costituzione dei centri di competenza ad alta specializzazione su tematiche di Industria 4.0 è stata varata dal ministro Calenda solo all’ultimo momento e non è decollata». È questo il giudizio che abbiamo raccolto dal professor Riccardo Gallo, docente di Economia Applicata alla facoltà di ingegneria dell’Università La Sapienza di Roma, vicepresidente dell’IRI nel biennio 1991-1992 e con un ricco curriculum di incarichi ministeriali e dirigenziali alle spalle. Lo spunto è una “pagella politica” per i quasi due anni – si è insediato il 10 maggio del 2016 – di Carlo Calenda allo Sviluppo Economico. Con un occhio di riguardo alle partite ancora aperte e alla situazione politica che stenta a delinearsi.







 

Riccardo Gallo

 

D. Professor Gallo, che giudizio possiamo dare a questi 716 giorni di Calenda al MISE?

R. Ci sono sicuramente aspetti positivi e negativi. I primi sono una visione internazionale, pragmatica e tuttavia con spunti programmatici. Ma, soprattutto e più di ogni altra cosa, un piglio energico. Mentre i secondi si sviluppano soprattutto lungo tre direttrici: la gestione delle crisi aziendali, in cui a mio parere il ministro ha tardato e ha preteso l’inverosimile; Industria 4.0, in cui Calenda si è infilato nella scia tracciata dalle agevolazioni fiscali – come il superammortamento già approvato da chi ha ricoperto il suo ruolo prima di lui – aggiungendo buone idee senza però concluderle; la mancanza di un progetto competitività organico, direi pure trasversale. E questa è la lacuna più significativa.

D. Si spieghi meglio

R. Dalla fine degli anni ’90 in Italia abbiamo avuto una progressiva perdita di competitività e di produttività dovuta a una deindustrializzazione del paese, a sua volta conseguenza di un processo di disaffezione imprenditoriale, di “remi tirati in barca” da parte delle imprese, di grave caduta degli investimenti. Tutti questi processi sono stati diretta conseguenza del fatto che l’Italia era stata “viziata” dall’intervento pubblico in economia, introdotto negli anni ’30 del secolo scorso e non smantellato nel Dopoguerra. Questa presenza statale – che consisteva in partecipazioni pubbliche, nel credito agevolato, in un residuo di protezionismo, insomma nella cosiddetta politica industriale basata su immensi trasferimenti di finanza pubblica – è stata poi chiusa negli anni ’90 sotto la pressione dell’Ue. Le imprese private, fino ad allora, hanno vissuto come indotto dell’industria di Stato. Dopo il fallimento della concertazione tentata dal governo D’Alema, dopo la creazione del mercato unico europeo e il definitivo smantellamento dell’intervento statale, gli investimenti delle imprese private sono caduti in modo ininterrotto per quindici anni, dal 1999 al 2014.

 

Gallo:aspetti positivi e negativi nei due anni di Calenda al Mise. Nella foto l’intervento del Ministro all’ assemblea di Confindustria

 

D. E poi che cosa è successo?

R. Vorrei premettere che non sono un renziano, ma bisogna essere onesti intellettualmente: con il governo Renzi c’è stata una svolta nei consumi interni, nella domanda pubblica, un miglior utilizzo della capacità produttiva esistente e poi, dal 2016, grazie al superammortamento, un ritorno agli investimenti. Ciononostante, anche se questa è stata una svolta virtuosa, un recupero strutturale e duraturo si può avere soltanto se migliora la competitività del paese. L’Italia è precipitata al 43esimo posto nel ranking mondiale della competitività e non è risalita nemmeno con la svolta produttiva dal 2014.

D. In questo però Calenda c’entra poco…

R. Non è esatto: occorre come il pane un progetto competitività, un progetto da “cantierare”, da ingegnerizzare, di cui si determinino i tempi e si controlli l’esecuzione puntuale come se fosse una grande opera. Si invocano sempre grandi opere, investimenti pubblici, ma ce n’è uno solo davvero importante, ed è il progetto competitività del paese. E questo Calenda non solo non l’ha proposto, ma non l’ha nemmeno pensato, mentre il Ministro dello Sviluppo Economico dovrebbe farlo. Il piglio energico si sfarina e si sbriciola di fronte a questa carenza. Non c’è Legge Fornero o reddito di cittadinanza che tenga se non si recupera la competitività perduta.

Piano nazionale Industria 4.0
Gallo: con Industria 4.0 Calenda si è infilato nella scia tracciata dalle agevolazioni fiscali aggiungendo buone idee senza però concluderle

D. Passiamo a Industria 4.0: è uno dei cavalli di battaglia del ministro Calenda. Che cosa non la convince?

R. Questo decreto si articola lungo due filoni. Uno che potremmo chiamare hardware e l’altro che potremmo ribattezzare software. La prima parte, che è sicuramente positiva, risiede nel fatto che il ministro ha chiesto di indirizzare superammortamento e iperammortamento in investimenti coerenti con la quarta rivoluzione industriale. E, da questo punto di vista, non posso far altro che elogiare con fanfare e squilli di trombe gli uffici del Ministero. Siamo invece piuttosto carenti quando guardiamo alla parte software. Perché la quarta rivoluzione industriale non è fatta di macchinari innovativi, non è una Sabatini Ter, ma si sostanzia in cultura, velocità di trasferimento digitale delle tecnologie, ripensamento di modelli produttivi e organizzazione del lavoro. L’ha predicato bene Marco Bentivogli, segretario generale Fim Cisl. Il ministro Calenda ha cercato di mettere una toppa in “articulo mortis”, provando a varare i competence center, che sarebbero coerenti con lo spirito di Industria 4.0 ma, essendo stati approvati solo nel 2018, non hanno avuto riscontri. L’eredità che il ministro ci lascia, quindi, è una sorta di Sabatini Ter più “muscolosa”, carente nell’upgrade sulle competenze.

 

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Marco Bentivogli, Segretario-Generale Fim Cisl: competenze e formazione per Industria 4.0

 

D. E sulle crisi aziendali che cosa ha sbagliato Calenda?

R. In questo il ministro ha tardato due volte (almeno): con Alitalia e con Ilva. Per quanto riguarda la prima, bisogna fare una precisazione di carattere normativo. La Legge Marzano cui si è fatto ricorso per commissariare l’ex compagnia di bandiera era stata studiata per aziende in crisi aventi problemi magari anche gravi ma solo finanziari, non economico-industriali. In particolare quella legge era stata inventata per la Parmalat, che aveva un’industria sana e redditiva e un buco patrimoniale perché Tanzi aveva rubato. Quella legge consente al ministro dello Sviluppo Economico di mantenere la vigilanza sui commissari, al contrario della Legge Prodi che nella versione aggiornata dà potere di iniziativa al tribunale, non all’esecutivo.

Calenda, avendo adottato la Marzano con Alitalia, ha potuto mantenere il controllo sulla procedura, ma non ha potuto evitare che durante lo svolgimento emergesse l’origine economico-gestionale della crisi di Alitalia, solo dopo finanziaria. È emerso evidente che l’Alitalia non è né un gigante intercontinentale, né una low-cost, non è né carne né pesce, ha una dimensione insufficiente a sopravvivere e al tempo stesso troppo grande per competere con le low cost. E questo dimostra che la legge giusta non era la Marzano, era la Prodi, e che la questione doveva essere lasciata alla competenza del tribunale. Così invece si sono persi molti mesi per dimostrare l’indimostrabile, ché l’azienda potesse mantenere una sua unitarietà. Si è perso un sacco di tempo e le condizioni della compagnia si sono deteriorate. Il prossimo governo sarà costretto a vendere Alitalia peggio di un anno fa, con una minore solidità dei livelli occupazionali. I creditori non vedranno un centesimo.

 

Alitalia
Gallo: per la crisi Alitalia più adatta la Legge Prodi

D. Per quanto concerne l’Ilva, invece?

R. Anche in questo caso si è perso un sacco di tempo. A settembre-ottobre dello scorso anno si stava aprendo il tavolo ministeriale. Poi Calenda decise di annullare la trattativa perché voleva che i proprietari acquirenti di Ilva si rimangiassero quello che avevano annunciato. E da quel momento il tavolo non si è riaperto più se non a livello locale o sotto la guida politica di un sottosegretario. Siamo a maggio, non sono stati fatti passi avanti e abbiamo solo perso un sacco di tempo.

D. Anche Embraco è una situazione di difficile lettura

R. Non è di difficile lettura: un paio di giorni fa si è letto che il management ha confermato l’intenzione di lasciare l’Italia. Calenda aveva promesso mari e monti, ma è stata un’altra terapia sterile, una cura palliativa che non ha risolto niente.

 

La sede di Mediobanca a Milano, il “salotto buono” del capitalismo italiano

 

D. Se la politica ha sicuramente delle responsabilità, che dire dell’imprenditoria, delle grandi famiglie che un tempo si riunivano nel “salotto buono” di Mediobanca e che oggi invece sembrano interessarsi esclusivamente del loro “orticello”?

R. Il mondo è cambiato: fino alla metà degli anni ’90 c’era l’industria pubblica, a partecipazione statale, che di fatto gestiva l’intera economia. C’erano l’Iri e l’Eni, e al loro interno si trovava di tutto: banche, autostrade, telecomunicazioni, siderurgia, minerario, gas. E poi c’era l’industria privata che però privata non era, aveva un capitale privato ma un comportamento pubblico perché viveva con gli incentivi pubblici alla rottamazione e quelli al Mezzogiorno. Quando questo periodo storico si è definitivamente chiuso, l’industria privata è stata “privatizzata”. Pensiamo a Fca: oggi ha un comportamento privatistico, mentre prima no: non chiudeva gli impianti in perdita per fare un favore allo Stato, mentre oggi viene gestita con soddisfazione dei lavoratori come una qualsiasi azienda che guarda al profitto. Mediobanca aveva un compito difficile, cioè fare da cerniera tra un pubblico arrogante e un privato pubblicista.

Quell’epoca è finita! Oggi ci sono imprese che, pur essendo medie o piccole, possono competere se si connettono al mercato globale, perché l’organizzazione industriale si è disarticolata in una miriade di catene di valore nel mondo. Ogni impresa, piccola o media che sia, se eccelle nel suo segmento, vince ogni giorno una gara a livello planetario, si aggiudica una fase delle lavorazioni delle catene del valore del mondo: queste sono come un grande serpente che gira per il globo e prende il meglio che c’è in ogni angolo della Terra. Se uno non eccelle, non c’è niente da fare. Ed ecco che torniamo al discorso di un progetto competitività per il Paese.

 

Gallo: Fca oggi ha un comportamento privatistico, mentre prima no. Nella foto Sergio Marchionne, ad Fca

 

D. A proposito di intervento pubblico, Cassa Depositi e Prestiti sembra essere molto attiva, quasi come fosse una nuova IRI. Un suo giudizio?

R. Il mio giudizio è netto: Cdp gioca un ruolo equivoco. Le peggiori vicende del passato si basavano sull’alibi della strategicità del settore, delle sinergie tra pubblico e privato, ambedue parole magiche che, insieme a “polo”, giustificavano l’indimostrabile, cioè che settori in perdita potessero restare in piedi perché perseguivano strategie che sfuggivano ai conti di economicità. In questo modo negli anni sono state giustificate perdite colossali, strutturali e inevitabili di settori come la chimica e la siderurgia. Sono state conclamate sinergie tra pubblico e privato folli, come nel caso di Enimont, con fiumi di tangenti. L’ultimo scandalo è stato quello tra Alitalia ed Airone, per fare il cosiddetto polo del trasporto aereo. L’ex compagnia di bandiera, moribonda, è stata costretta a comprarsi Airone. Nessuno dice più dove sono andate a finire le sinergie.

D. Però Cdp sta tornando ad acquistare quote di società: è anche questo un male?

Sicuramente sì, perché la Cassa Depositi e Prestiti interviene per acquistare partecipazioni di minoranza, che non le permettono di salire sul ponte di comando e che le fanno subire la gestione del socio di maggioranza – che è la cosa peggiore – in nome di una ipotetica strategicità. Alitalia, per esempio, non è affatto strategica: i turisti in Italia ci arrivano lo stesso, specialmente ora che proliferano le compagnie low-cost. La Fiat le lamiere le comprava in Cina, non certo a Taranto dall’Ilva. L’intervento di Cdp rischia di essere inutile, per tornare a un intervento pubblico protezionista che alcuni partiti invocano per tranquillizzare i loro elettori, vittime proprio del mancato progetto competitività. Metà degli italiani soccombe e chiede protezione.

 

Gallo: per Ilva strategia sbagliata

 

D. A proposito di partiti, che politica economica possiamo attenderci dal prossimo esecutivo?

R. I partiti che hanno ricevuto più voti sono quelli che hanno promesso protezione in campagna elettorale. Ma quella non è una vera terapia. Quando poi vogliono aumentare il deficit e mostrare i muscoli all’Europa, lo fanno non per investire nell’ammodernamento del paese, ma per fare intervenire Cdp a coprire perdite di aziende irrisanabili. Io penso che gli elettori soccombenti vadano rispettati davvero, con soluzioni serie che diano risposta alla crisi di competitività.

D. Come valuta l’esperienza di governo che sta per concludersi?

R. Il Governo Renzi e il Governo Gentiloni sono stati un po’ strabici: hanno fatto cose preziose, ma poi hanno disperso risorse. Del buono comunque c’è stato, e il recupero dell’economia è evidente. Non si possono negare meriti a questi due esecutivi.

 

Gallo: Il Governo Renzi e il Governo Gentiloni . Non si possono negare meriti a questi due esecutivi

 

D. Si aspetta un’alleanza Pd-5 Stelle?

R. Mi pare difficile. Mi sarei aspettato che il Quirinale chiedesse a Fico, non in quanto pentastellato ma perché presidente della Camera, di formare un governo non Pd-5 Stelle, bensì istituzionale attento a tutte le forze rappresentate alla Camera. Forse Salvini avrebbe apprezzato, l’opposizione partitica a Berlusconi in un governo istituzionale non si sarebbe giustificata, e si sarebbe formata una vasta sia pur volatile maggioranza parlamentare. Quel governo qualche risultato l’avrebbe conseguito.














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1 commento

  1. Molto interessanti i due interventi del Prof Gallo su Ilva e sul tema della competitività; su quest’ultimo aspetto andrebbe aggiunto il tema della produttività della Pubblica Amministrazione che resta la palla al piede della nostra economia abbassando la competitività dell’intero sistema produttivo e rovesciando i costi di ritardi e inefficienze sui conti delle famiglie. Eppoi:il ruolo del CDP non solo è un modo per dare risorse finanziarie senza comandare ma mette in pericolo il risparmio postale;bisognerebbe tornare a riflettere sul modello delle Partecipazioni Statali che come all’origine nella impostazione del Prof Saraceno ha avuto grandi meriti creando la grande industria e supplendo alla poca imprenditorialità del capitalismo privato.La quasi scomparsa della grande industria coincide con la mala privatizzazione dell’impresa pubblica e di questo si dovrebbe ragionare guardando al’attualità.Grazie.

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