L’Itc italiano cresce e punta a quota 75 miliardi nel 2020, ma che succede con la revisione del 4.0 del governo Conte?

di Marco de’ Francesco ♦ IoT, cloud, cyber-security tirano il mercato, ora a quota 69 miliardi. Ma sulle previsioni  future grava l’incognita della rimodulazione delle misure del Piano Calenda. Quanto ha influito la crescita digitale per comparto e cosa succederà in futuro? Parlano Marco Gay, Luca Grivet Foiaia di EY, Paolo Baile di Accenture  e Marco Spimpolo di Omron

Come incideranno sul mercato Ict i nuovi incentivi a Industria 4.0? Che peso avranno la rimodulazione dell’iperammortamento, che è destinato a premiare gli investimenti minori, o il colpo di spugna sul superammortamento? Quale ruolo svolgerà l’innovation manager, l’evangelizzatore digitale studiato per piccole aziende e reti di impresa? Lo si inizierà a capire quando la legge di Bilancio sarà approvata, tra qualche giorno. Intanto, l’analisi del settore racconta l’avanzata del digitale in Italia, ora a quota 69 miliardi. Un rialzo deciso, sia per l’anno passato che per quello in corso, del 2,3%, determinato dal progresso dall’area degli abilitatori digitali – IoT, cloud, la cyber-security, il mobile business – la cui domanda è prevista in crescita da qui al 2020 del 16,5% ogni anno. Con punte dell’80% per le blockchain. Peraltro, anche i servizi sono destinati ad avanzare; per quelli cloud è previsto un aumento medio da qui a due anni del 20,3%.

Vanno segnalate almeno altre due circostanze: a causa dell’attinenza del fenomeno con Industria 4.0, l’avanzamento è dovuto più al business che al consumer; e poi, giacché per gestire l’innovazione occorre massa critica, capacità di investimento e di inserire nuovo personale, permane un gap digitale tra le piccole aziende e quelle medie e grandi. Secondo il rapporto “Il Mercato Digitale in Italia” 2018 di Anitec-Assinform, l’associazione nazionale imprese dell’Ict e dell’elettronica di consumo, il mercato promette di raggiungere quota 75 miliardi nel 2020. Ma a una condizione: la permanenza di un quadro incentivante. Secondo la ricerca, infatti, è questa l’incognita: se gli effetti dei nuovi incentivi saranno paragonabili a quello del Piano Calenda, per il digitale la crescita continuerà, altrimenti no. Come finirà? Ne abbiamo parlato con il presidente dell’associazione, Marco Gay, con Luca Grivet Foiaia di EY, con Paolo Baile di Accenture e con Marco Spimpolo di Omron.







 

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Marco Gay, presidente Anitec-Assinform

 

L’Ict a quota 69 miliardi miliardi: le ragioni della crescita nel Piano Calenda

«Un mercato che cresce due volte il Pil» – mette in evidenza Gay, presidente di una associazione di aziende che rappresenta 21 miliardi di fatturato complessivo e circa 70mila addetti, un terzo di quelli di comparto. L’Ict, in effetti, ha fatto segnare un rialzo del 2,3% nel 2017, e le proiezioni dicono che per l’anno in corso la percentuale sarà la stessa. Ma cos’è, esattamente, l’Ict? È un termine vasto, che ricomprende più attività. Sta per “information and communications technologies” e si riferisce alle strutture internet e mobile, alle reti aziendali, a componenti fisiche come computer e data center, e a tutti gli sviluppi della comunicazione digitale come le piattaforme cloud, i siti web, i motori di ricerca, le app mobile, la realtà virtuale, e tantissimo altro. «Oggi – continua Gay – questo mercato vale in Italia quasi 69 miliardi di euro, e promette di valerne 75 nel 2020». Secondo le proiezioni indicate nel rapporto, infatti, il digitale crescerà del 2,8% nel 2019 e del 3,1% nel 2020. Uno sviluppo irresistibile?

Per Gay, l’impressione è che la manovr riservi poco rilevo alla tecnologia. «Con un grosso caveat – afferma Gay -: la continuità dei piani nazionali di stimolo all’innovazione. Da questo punto di vista, c’è preoccupazione. Per mesi non si è capito molto di ciò che il governo intende fare a proposito del Piano Calenda. L’impressione è che in una manovra da 37 miliardi poco sia riservato alla tecnologia, e molto ad iniziative, come il reddito di cittadinanza, che non hanno impatto sullo sviluppo del Paese». Un’incertezza che ha pesato molto sugli ordini relativi ad un altro settore, quello delle macchine utensili: quelli indoor sono precipitati del 15% al terzo trimestre rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Accadrà lo stesso con l’Ict? Questo è un argomento che affronteremo dopo. C’è invece da chiedersi, subito, quali siano le ragioni dell’impennata del digitale.

«Il Piano Calenda ha senz’altro rimesso al centro l’argomento del digital – afferma Grivet Foiaia, Technology Enterprise Transformation Leader di EY -: se ne è parlato in tante occasioni, si sono tenuti convegni, e vecchi dossier aziendali, tenuti nei cassetti per mesi, sono tornati in auge. Si è tornati ad investire perché si è capito che grazie all’Itc si raggiungono risultati di business. Poi, indubbiamente la leva fiscale ha contribuito ad alimentare il fenomeno, e diversi imprenditori hanno preso la palla al balzo per trasformare l’azienda in vista dell’efficienza».

Secondo il Managing Director e Strategy, Communications Media & Technology Lead di Accenture Paolo Baile «il fatto è che la tecnologia digitale rappresenta infatti una componente fondamentale del business di diverse aziende italiane. A confermarlo anche la nostra survey Technology Vision che rileva una spesa in abilitazione digitale delle aziende italiane di 14 miliardi di euro. È aumentata anche la richiesta di brevetti specifici sulle tecnologie digitali, precisamente si è registrato un incremento del 4,3%, rispetto ad una media europea del 2,6%. Il mercato italiano è ricettivo e il 48% dei dirigenti afferma che il budget relativo alle nuove tecnologie crescerà fino al 10% con un ritorno stimato del capitale investito superiore all’80%».

Per Marco Spimpolo, Regional Marketing Manager Omron, non è però solo merito di Calenda: «Nel manifatturiero il Piano Calenda non è stato l’elemento primario della scelta: l’investimento degli imprenditori è avvenuto per necessità di innovare, per rimanere su un mercato orientato all’innovazione; tuttavia bisogna ammettere che gli incentivi hanno incrementato la fiducia nelle azioni di trasformazione digitale».

 

IoT
Lo IoT tra i digital enabler che spingono la crescita dell’ Ict

Gli abilitatori digitali come moltiplicatori della crescita dell’Ict

All’interno dell’Itc c’è un’area, assai incline all’innovazione, molto vivace sul mercato. È quella dei cosiddetti digital enabler, cioè quella delle tecnologie di punta adottando le quali le aziende potrebbero conseguire gli obiettivi di maggiore flessibilità, velocità, produttività, qualità e competitività. Sono espressamente indicate nel Piano Calenda. Tra queste, ad esempio, l’IoT, il Cloud, la cyber-security, il mobile business. Il fatto è che, mentre per l’Ict “tradizionale” è previsto un tasso medio annuo di crescita della domanda dello 0,9% tra il 2017 e il 2020, e nello stesso periodo l’area degli abilitatori dovrebbe far registrare, secondo le previsioni un tasso del 16,5%. È prevista peraltro un’avanzata spettacolare delle blockchain, a quota 80%, e dell’intelligenza artificiale, attorno al 50%; ma in termini di valore di mercato i numeri saranno ancora bassi. La differenza di passo con l’Itc consolidato è comunque molto consistente.

L’idea è che gli abilitatori contino molto più di quanto non appaia contabilmente, circa un sesto del mercato; perché sarebbero in grado di stimolare la domanda. Secondo Grivet Foiaia «la crescita dei digital enabler può in effetti trascinare quella dell’area “tipica”, perché quest’ultima e quella innovativa sono contesti che si toccano, e c’è integrazione tra attori di comparto. Per esempio, se un’azienda intende applicare l’IoT, deve disporre di un sistema “core” aggiornato e in grado di sostenere validamente l’internet delle cose. Ora si va verso il Cloud, che è un digital enabler: ciò sta comportando la rivoluzione della componente infrastrutturale delle aziende, ed è un bel segnale di rinnovo».

I servizi legati al cloud raggiungeranno anche in futuro un elevato tasso di crescita

L’avanzata dei servizi

Più che i prodotti, avanzano i servizi. Il maggior tasso medio annuo di crescita per il periodo già indicato è quello previsto per i servizi legati al Cloud, che raggiungeranno quota + 20,3%. Ma tutta l’area software e soluzioni Ict, legata a applicazioni IoT, big data, social, IT management & governance è previsto in crescita del 7,3%. Anche meglio andrà la pubblicità digitale, a quota 7,7%. In generale, i servizi relativi all’Ict segneranno un rialzo del 5,3%; d’altra parte, il comparto ha già raggiunto gli 11 miliardi di euro. Ciò non sorprende Grivet Foiaia. «L’avanzata dei servizi – afferma – è legata al processo di servitizzazione in corso. Il prodotto non viene più proposto da solo, ma viene erogato in associazione con un servizio a pagamento, che è sempre più rilevante. Inizialmente, la fornitura di servizi era parte di strategie dell’azienda per offrire un valore aggiunto e differenziarsi dai concorrenti. Ora, già nel contesto della trasformazione digitale, l’azienda immagina, in quanto business, una combinazione di prodotti nuovi e servizi collegati. Oggi è un elemento molto importante per mantenere al fiducia dei clienti».

 

 

Grivet Foiaia, Technology Enterprise Transformation Leader di EY

Meno tablet e più wearable. La frenata dei servizi di rete

Secondo la ricerca, i dispositivi e i sistemi di rete faranno registrare un andamento medio annuo in crescita del 2,2%, nel periodo considerato. Da una parte si assisterà ad un rallentamento di Pc, stampanti e tablet, dall’altra ad un’avanzata di componenti legate ai nuovi paradigmi digitali, come i server di fascia alta, i grandi apparati di storage, i dispositivi mobili (+8,3%) e quelli indossabili (wearable, +29%). I servizi di rete, invece, sono previsti in calo per 2,2%. E la frenata riguarda non solo la rete fissa, ma anche quella mobile. Cresceranno, invece, quei servizi di connettività e trasmissione che sono legati al Cloud. Secondo Grivet Foiaia, d’altra parte, «l’investimento in reti “fisiche”, in cavi locali, si sta riducendo; ad esempio, la gente tende a non collegarsi alla rete Lan locale (rete informatica di collegamento tra più computer) nei luoghi di lavoro, dal momento che si può disporre del wi-fi. E anche la rete domestica sta gradualmente scomparendo. L’investimento in connessione è sempre più evidente e fa sì che l’utilizzo dei cavi si stia riducendo. Ciò ha delle conseguenze pratiche: una diminuzione del lavoro materiale di installazione e un risparmio di materiali».

 

Rallentamento del mercato per Tablet, Pc e stampanti

Più una faccenda di business che di consumer

Utility e filiere trainano la crescita. Dal momento che l’avanzata dell’Ict è legata al Piano Calenda, il tasso medio annuo di crescita per il periodo considerato della domanda business sarà del 4,3%, contro lo 0,6% di quella consumer. Ma in quali business? Un ruolo considerevole, nel rialzo, lo svolgeranno le utility (+ 6,5%) seguite dalle filiere industria e servizi grazie a progetti legati all’IoT, agli indossabili, all’intelligenza artificiale, e alla cyber sicurezza, che faranno segnare un avanzamento del 6%. Come si spiega il ruolo delle utility? Secondo Grivet Foiaia «Le utility sono in genere paragonabili a industrie, quanto a tassi di crescita. Ora stanno cogliendo l’opportunità offerta dall’IoT, per la distribuzione e la gestione dei servizi. A mio avviso, è molto interessante il controllo dei consumi di energia e di acqua attuato grazie all’IoT, e cioè grazie a contatori connessi e periferici, perché consente precisione real time nelle bollette. Tutto ciò era impensabile, sino a poco tempo fa, quando c’era un tecnico addetto a ispezioni periodiche; oggi, peraltro, si possono monitorare le perdite, con sensori piazzati sugli end-point delle forniture. In definitiva, si erogano servizi incrementali al cliente, e questo spiega l’avanzata delle utility nel comparto Ict».

Tra gli altri settori destinati a crescere, quello delle banche ed assicurazioni (+ 6%), mentre il rialzo sarà meno accentuato nell’ambito delle telecomunicazioni e dei media (+ 2,3%); mentre non c’è da aspettarsi molto dalla Pubblica amministrazione: in generale, la domanda è prevista a crescita zero in quella centrale e in calo in quella locale. Ci si attende un po’ di dinamismo solo nella Sanità, che farà registrare un rialzo del 3,1%. Secondo lo studio, la Pubblica amministrazione è rallentata da vincoli normativi e burocratici.

Quanto conta il fattore dimensionale

Le piccole crescono ma a ritmi inferiori rispetto alle medie e alle grandi. La notizia, in fondo, è che l’avanzata dell’Ict non riguarda solo le medie e grandi imprese, ma anche, finalmente, le piccole. Secondo la ricerca, da qui al 2020 il tasso medio annuo di incremento della domanda delle aziende con oltre 250 addetti è stimato al 4,8%, superiore a quello delle aziende con 50-250 addetti (+4,4%) e, ancora di più, a quello delle piccole sotto i 50 addetti (+3%). Per Grivet Foiaia «c’ è di mezzo un fattore strutturale: per gestire l’innovazione occorre massa critica, capacità di investimento e di inserire nuovo personale. In una Pmi il turnover è necessariamente limitato, e pertanto l’azienda ha prospettive più locali, ridotte, con meno chance di contaminazione. Le grandi aziende possono sperimentare di più, a costi non eccessivi, “scalando” il costo delle operazioni su tutta l’azienda. E poi ogni sperimentazione può comportare dei rischi: una pmi ha minore capacità di sostenerli».

Secondo Grivet Foiaia «va comunque salutata favorevolmente la crescita nelle piccole aziende. Va peraltro sottolineato che l’avanzata è legata alla cosiddetta consumerizzazione del digitale: in pratica, dal momento che la forza-lavoro ha una sempre maggiore dimestichezza con le tecnologie, ciò condiziona le scelte dell’azienda, perche spinge quest’ultima ad avvalersene. In parole povere: non è strano vedere un imprenditore che cerca di capire come utilizzare il digitali a seguito di una influenza consumer». E poi il Cloud aiuta. «Senz’altro, per via di causa di soluzioni modulari che ci consentono di iniziare con poco». A settembre Confindustria aveva chiesto al governo l’introduzione di un “temporary digital manager”, e cioè un esperto a disposizione di più piccole aziende per aiutarle ad intraprendere la strada della trasformazione digitale, identificando le tecnologie più adatte in vista di nuovi modelli di business. «Questa operazione di evangelizzazione digitale andrebbe benissimo, tanto più che le piccole aziende hanno sempre condiviso i fattori produttivi nei distretti industriali, spartendo i costi. La dinamica ricalcherebbe operazioni condotte in passato».

 

Marco Spimpolo, Regional Marketing Manager Omron

 

Riflessi della crescita del digitale sulle piattaforme di automazione e sui robot

«Le piattaforme di automazione hanno avvertito il trend di mercato – afferma Spimpolo -, che, d’altra parte, cerca modelli che possano connettersi con i layer IT». Omron, colosso nipponico da 6,5 miliardi di euro di fatturato la cui attività principale è la produzione e la vendita di componenti, apparecchiature e sistemi di automazione, dispone di una piattaforma, Sysmatic, che consiste in un unico software grazie al quale l’azienda cliente può programmare tutte le tecnologie della fabbrica, dal machine controller ai sistemi di visione e di controllo di qualità. Anni fa, per avviare una linea erano necessari otto computer, che andavano singolarmente programmati in rapporto alla tecnologia di riferimento. Oggi, grazie a piattaforme di automazione, l’azienda ha la governance dello shopfloor: si realizza un’integrazione completa.

 

Un robot al lavoro all’ interno dell’ Omron Innovation Lab di Milano

 

Secondo Spimpolo, il rinnovamento dei mezzi delle imlrese mprese italiane non può esaurirsiin due anni .«La connettività è un must» – continua Spimpolo. «Abbiamo ottenuto risultati importanti: + 15% per quanto riguarda le vendite di automazione. Quanto ai robot, che Omron ha ottenuto nel 2015 acquistando la californiana Adept, «hanno triplicato i numeri, così come i sistemi di visione artificiale. Stiamo peraltro lanciando robot collaborativi, e ci attendiamo numeri importanti». In generale, l’industria italiana dell’Automazione manifatturiera e di processo ha chiuso il 2017 con un fatturato complessivo di 4,8 miliardi di euro ed un incremento dell’11,6% rispetto all’anno precedente. «Negli ultimi anni si è rafforzato il contributo del canale estero, ma l’instabilità macroeconomica non aiuta: le aziende cinesi e statunitensi hanno investito molto, e ora sono un po’ sul “chi va là”. Nel mercato interno c’è stato un rinnovamento dei mezzi, ma dovrebbe essere solo un inizio: è una vicenda che non si può chiudere in due anni».

 

Ancora indietro con la banda larga, mentre il 5G spunta all’orizzonte

A proposito di reti, si parla di banda larga per indicare quelle con un’ampiezza maggiore rispetto alle precedenti. Consente di trasmettere, inviare e ricevere dati in maniera più rapida, e quindi di avere connessioni internet più veloci. Solo che le cose non sono andate come ci si attendeva: ad aprile 2018, si legge nella ricerca, le unità immobiliari raggiunte dalla banda ultralarga (varietà ancora più potente) erano solo il 52,4% contro l’obiettivo del 71% di fine 2018. Sempre secondo la ricerca, le ultime rilevazioni prospettano uno scenario 2020 con un aumento delle aree bianche (poco appetibili per gli operatori) fino all’8,2% delle unità immobiliari, una copertura complessiva del 24% per la banda ultralarga a un Gb e del 38% per la banda ultralarga a 30 Mbps. Si tratta di stimolare servizi di alto valore aggiunto nelle aree bianche o grigie, quelle per niente o poco servite: lavorano in tale direzione il Piano Impresa 4.0, il progetto Italia WiFi e le sperimentazioni dei servizi in 5G. Il decollo del 5G è previsto attorno al 2022, con una copertura significativa a partire dal 2023.

 

Paolo Baile,Managing Director e Strategy, Communications Media & Technology Lead di Accenture

 

 

Il 5G è un nuovo standard per la comunicazione mobile: assicura una velocità di download e upload molto elevata. Ma il 5G, secondo il Managing Director – Accenture Strategy, Communications Media & Technology Lead di Accenture Paolo Baile non è solo una nuova rete mobile: «Piuttosto, svolgerà il ruolo di collante e acceleratore degli abilitatori digitali, garantendo a questi migliori performance; e poi, sarà una vera e propria piattaforma abilitante di nuovi servizi, in cui tutti i digital enabler potranno essere orchestrati per offrire le applicazioni richieste nei nuovi e diversi ecosistemi industriali che nasceranno». Per Baile «gli abilitatori digitali non crescono in maniera isolata e non sono rappresentati soltanto dall’IoT, dal Cloud e dalla Cybersecurity. Le nuove tecnologie sono convergenti e stanno avendo un fortissimo impatto fino a trasformare il modello di business che sta evolvendo verso l’Impresa Intelligente. »

«A nostro avviso sono cinque i trend che stanno convergendo in questa direzione, descritti nella Technology Vision. Il primo lo abbiamo definito “Citizen AI”: l’intelligenza artificiale è sempre più diffusa, ma va educata a beneficio del business e della società, dal momento che le persone collaboreranno in sistemi sempre più complessi. Il secondo è la “Extended reality”: le tecnologie di realtà virtuale e aumentata stanno eliminando la distanza tra le persone, le informazioni e le esperienze, trasformando il modo in cui esse vivono e lavorano. Il terzo trend è rappresentato dalla “Data veracity”. Tutti conoscono l’importanza che l’analisi e la gestione dei dati hanno assunto. Ora, informazioni inaccurate possono invalidare intere indagini. E dal momento che il 75% dei manager intervistati afferma che i dati guidano le decisioni aziendali, è importante che questi siano precisi. Il quarto è il “Frictionless business”: le nuove tecnologie abilitano la possibilità di collaborazione con altre aziende anche di diversi settori con l’obiettivo di creare valore incrementale. Un passaggio possibile se si modifica il modello di business e di conseguenza le strutture di rete “Legacy”. L’ultimo trend è “l’Internet of Thinking”: bisogna creare sistemi intelligenti e distribuiti, dal “core” verso i terminali. L’80% dei manager italiani ritiene che si debba bilanciare il Cloud con l’edge computing. Con il mobile-edge computing (architettura di rete che consente funzionalità di cloud computing e un ambiente di servizio IT ai margini della rete cellulare) la potenza di calcolo sarà trasferita dal “centro” verso sistemi periferici. Come detto questa trasformazione che è già in corso sarà accelerata dall’implementazione del 5G, la piattaforma che consentirà di affermare appieno il paradigma di Impresa Intelligente».

L’Ict aumenterà solo in costanza di incentivi

Come si è detto, le rosee previsioni sull’incremento della domanda di Ict fino al 2020 sono strettamente legate alla permanenza di un quadro incentivante. Partendo dal principio che il Piano Calenda, Industria 4.0, ha senz’altro funzionato. I numeri descrivono il successo della strategia governativa. Infatti, si legge nella ricerca di Anitec-Assinform che l’anno scorso il mercato italiano Industria 4.0 ha sfiorato i 2,2 miliardi di euro, in crescita del 19,3%; e che la crescita maggiore si è registrata per i sistemi industriali connessi e intelligenti (+20,7%) – additive manufacturing, stampanti 3D e advanced manufacturing (sistemi industriali già connessi e sistemi robotici o automatizzati) – seguiti dai prodotti e servizi Ict (+18,1%) con industrial internet, cloud, cybersecurity, big data e analytics, sistemi e servizi per integrazione orizzontale e verticale, software di simulazione in 3d e la realtà aumentata e virtuale.

 

Il Ministro del lavoro e dello Sviluppo Economico, Luigi Di Maio (foto di Mattia Luigi Nappi)

 

Si legge che per il futuro è attesa una forte crescita da intelligenza artificiale e cobot. Quanto alla legge di Bilancio 2019, la manovra è attesa a Palazzo Madama per martedì 18 dicembre; una volta approvato, il testo tornerà a Montecitorio per il definitivo via libera. L’impressione è che i dettagli si conosceranno veramente a fine anno; nel frattempo, si inizia a capire un po’ di più sugli elementi che comporranno la nuova Industria 4.0. Circa l’iperammortamento, e cioè la supervalutazione degli investimenti in beni dispositivi e tecnologie abilitanti la trasformazione in chiave 4.0 acquistati o in leasing, a quanto se ne sa e allo stato degli atti viene premiata una aliquota per gli investimenti minori: 270% sino a 2,5 milioni; 200% tra 2,5 e 10 milioni e 100% tra i 10 e i 20 milioni. Quanto al superammortamento, e cioè la supervalutazione (prima al 130%) degli investimenti in beni strumentali nuovi acquistati o in leasing, viene cassato in via definitiva. Viene introdotta, però, una mini-Ires per chi investe o assume con aliquota al 15% e resta al 140% l’aliquota per i software su licenza. Viene confermata la Sabatini, misura a favore di Pmi e microimprese che sostiene gli investimenti per acquistare o acquisire in leasing macchinari, attrezzature, impianti, beni strumentali ad uso produttivo e hardware, nonché software e tecnologie digitali. Consiste nella concessione da parte di banche e intermediari finanziari convenzionati con Mise, Abi (associazione bancaria italiana) e Cassa depositi e prestiti di finanziamenti nonché di un contributo da parte del Mise.

Il finanziamento può essere assistito dalla garanzia del “Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese” fino all’80% dell’ammontare e deve avere un importo tra i 20mila e i due milioni di euro. Circa il credito di imposta per la ricerca e lo sviluppo, a quanto se ne sa viene sostanzialmente dimezzato: da 20 a 10 milioni di euro, il credito massimo che potrà essere fruito da ciascuna impresa. Allo stato, si sa che ci sarà una doppia aliquota (come in passato) del 25% e del 50%, a seconda della tipologia della spesa. In ogni caso, sarebbe stato ampliato il novero delle spese ammissibili. Quanto all’introduzione dell’innovation manager (che avrebbe quel ruolo di evangelizzazione digitale presso le piccole aziende di cui si è detto sopra) va detto che le risorse a favore dell’agevolazione sarebbero molto ridotte: attorno ai 25 milioni di euro all’anno. Il contributo, sotto forma di voucher, coprirebbe la metà delle spese ammissibili per le micro imprese, per le piccole aziende o per le reti di impresa; e il 30% per le medie imprese. Il contributo massimo sarebbe pari a 25mila euro, ma si arriverebbe ad 80mila in caso di adesione a contratti di rete.

Il testo che sarà presentata al Senato dovrebbe contenere anche il bonus formazione 4.0, che sarebbe stato rimodulato in funzione delle dimensioni dell’azienda che ne fruisce. Il credito sarebbe pari alla metà delle spese sostenute dalle piccole imprese; al 40% di quelle delle medie e al 30% di quelle delle grandi aziende. Si tratta sostanzialmente di un credito di imposta in attività di formazione 4.0; il bonus sarebbe stato rifinanziato per complessivi 250 milioni di euro. Sarebbero stati infine creati ex novo due fondi: uno per progetti blockchain e intelligenza artificiale, del valore di 45 milioni di euro per il triennio 2019-2021, e l’altro per un progetto europeo di microelettronica, per 460 milioni totali sino al 2024. Secondo diversi osservatori, mancherebbe una visione coerente e organica della materia.

Confindustria ha lamentato la scomparsa della cabina di regia, che fino a qualche mese fa ha coordinato ministeri e università, centri di ricerca e associazioni. Va ricordato che la crescita del mercato digitale nell’anno in corso era prevista al 2,6%, ma forse a causa dell’indecisione del governo in materia di rinnovo degli incentivi, si è ridotta la stima al 2,3%. «Una grande operazione di rinnovamento dell’industria italiana non si può chiudere in due anni – afferma Spimpolo –, periodo in cui tutte le tecnologie hanno virato nella direzione del 4.0; ma ora il governo ha deciso di mettere il Piano Calenda in cantina, rimodulandolo al ribasso». Com’è noto il ministro Calenda aveva previsto anche una fase due, già rinominata “Piano Impresa 4.0” e completata da patent box, centri di competenza ad alta specializzazione, centri di trasferimento tecnologico, credito di imposta sulla formazione ed altro.

Secondo la ricerca, se continuato, Impresa 4.0 potrebbe stimolare oltre 10 miliardi di euro di maggiori investimenti privati, un aumento di 11 miliardi nella spesa in ricerca e innovazione; e avere un impatto significativo sulle competenze, con 200 mila studenti e 3 mila manager formati sulle tecnologie 4.0 in capo a due anni. Sempre secondo lo studio, gli investimenti in tecnologie 4.0 sfiorerebbero i 3,7 miliardi di euro nel 2020 per un aumento medio della domanda nel periodo 2017-2020 del 19,2%. Questa crescita sarebbe ancora più intensa (19,6%) per i sistemi industriali e leggermente più bassa (18,9%) per i sistemi Ict, con un picco di crescita nel 2018 del 22,3% per i primi e del 21% per i secondi. Ma bisogna ancora attendere la fine dell’anno per capire che fine farà la nazionale strategia di crescita in fatto di 4.0.














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