L’Italia insegna ai robot come stare in fabbrica

di Gaia Fiertler ♦ Antesignano della realizzazione di macchine per l′automazione avanzata, ora il nostro Paese si confronta con il primato dei big mondiali come la Cina puntando anche sul ruolo di system integrator. Passato, presente e futuro (anche quello di Comau) dell’ industria nazionale, spiegati da Domenico Appendino, presidente Siri. E una indagine del gradimento sul posto di lavoro

Il mercato dei robot è in forte crescita in tutto il mondo, compresa l’Italia che vanta una tradizione di eccellenza sia come costruttori, sia come system integrator. Nostre piccole e medie imprese sono infatti primari integratori dei sistemi di automazione robotica, come Tiesse Robot, Sir e Roboteco, tanto che i principali produttori internazionali hanno in Italia i loro centri di applicazione per l’integrazione dei loro robot negli impianti, come Abb, Kuka, Hitachi.

«Integrare un sistema complesso richiede abilità diverse, ma non minori di quelle richieste per costruire un robot. Infatti non vuol dire solo trattarlo come componente di un impianto, ma significa progettare e realizzare tutti i componenti e le parti speciali dell’impianto stesso e possedere la tecnologia dell’applicazione da realizzare, ad esempio della saldatura, del taglio o del montaggio. Noi italiani siamo bravissimi in questo, i migliori direi, grazie alla nostra tradizione scientifica e industriale nel settore», commenta Domenico Appendino, presidente della Società Italiana di Robotica (Siri) ed executive vice president di Prima Industrie.







 

Domenico Appendino, presidente della Società Italiana di Robotica (Siri) ed executive vice president di Prima Industrie

 

I primi robot degli anni Sessanta e Settanta sono a firma italiana: nel ’65 quello di misura della Dea di Franco Sartorio, nel ’75 il primo cartesiano di montaggio di Olivetti e nel ’79 Zac, il robot per il taglio laser 3D di Prima, sempre su progetto di Sartorio. L’associazione di categoria Siri nasce nel 1975, solo due anni dopo quella giapponese e ben 12 anni prima della International Federation of Robotics (Ifr). C’è un gran fermento in Italia, ma poi dalla seconda metà degli anni Novanta il consumo cresce di più nei paesi asiatici, in Cina e Corea soprattutto. In Italia rimangono due grossi produttori, Comau, che esporta robot e linee di assemblaggio carrozzeria in tutto il mondo e Prima Industrie, leader mondiale della robotica laser, mentre il resto del know-how si sposta sull’integrazione di sistema, che oggi rappresenta la maggior parte del mercato. È il Piemonte a vantare la maggiore quota di fatturato e di addetti (stimati rispettivamente 64% e 68%), in quanto vi risiedono i due principali costruttori di robot.

La robotica nel mondo

È un mercato che vale sui 48 miliardi di dollari, con una crescita a due cifre: la produzione mondiale ha avuto una impennata nel 2017 con il +30% (381mila unità prodotte), 421mila nel 2018 (+10%) e una previsione di crescita annua del 14% fino al 2021, anno in cui vedranno la luce 630mila robot.

 

La continua crescita nella produzione di robot. Fonte: IFR World Robotics 2018

Sono due milioni i robot installati a oggi nel mondo, di cui più della metà in Asia, meno di un quarto in Europa e meno di un quarto in America, ma l’Asia cresce più di noi. Due terzi delle vendite avvengono infatti in Asia, un sesto in Europa e meno di un quarto in America. Le previsioni per il 2021 sono di 3.800.000 robot installati, di cui 2.500.000 solo in Asia, 700.000 in Europa e 500.000 in America. La crescita esponenziale è appunto nel mercato asiatico, con la Cina che galoppa più degli altri, con una vendita-installato che ha avuto un incremento del 59% nel 2017, seguita da Giappone (+18%), Germania (+7%) e Usa (6%).

 

Robot: vendita installazione nel mondo. Fonte: IFR World Robotics 2018

Anche l’Italia cresce bene con un +19% nel 2017 sul 2016 e un primo semestre 2018 con il 31% in più, passando da 3.870 a 5.082 tra venduto e installato (è un dato spurio, non sono disponibili dati separati). I settori che nel mondo più assorbono produzione e assembramento di robot industriali sono l’automotive, l’elettronica, i metalli e la plastica.

 

Principali settori di utilizzo dei robot nel mondo.Fonte: IFR World Robotics 2018

La Cina fa shopping in Europa

Non solo la Cina cresce, ma continua a fare shopping in Europa, dove ha acquisito Kuka nel 2016. Pare che l’azienda tedesca non abbia potuto rifiutare l’offerta, da quanto fosse allettante. Ora la Cina ha puntato gli occhi su Comau. Un’operazione per il gruppo Fca da 1.5-2 miliardi di dollari se andasse in porto, secondo indiscrezioni. Che cosa aspettarsi allora? «Non so più di quello che si è letto sui giornali – commenta Appendino – e potrebbero anche essere informazioni non corrette. Comunque l’importante è la continuità e lo sviluppo dell’attività di un’azienda, meno la proprietà se questa continua a investire in nuove risorse per far crescere l’azienda stessa, anche se penso che Kuka non ne avesse bisogno. La storia è diversa se si impoverisce una realtà, sfruttandone il know-how e portando la produzione altrove. Ad ogni modo, oggi il costo del lavoro in Cina non è più così basso come un tempo e qualora l’indiscrezione sull’operazione Comau fosse vera e andasse in porto, spero proprio che avvenga in modo che non sia depauperata una realtà industriale primaria per l’Italia e per il territorio in cui è localizzata.»

 

Kuka Smart production 3
Robot Kuka al lavoro. L’azienda è passata da tedesca a cinese nel 2016

I robot collaborativi nascono per le pmi

I cosiddetti cobot rappresentano ancora una fetta ridotta dei robot industriali, meno del 3%, ma sono destinati a crescere rapidamente: le stime parlano di una crescita media annua oltre il 50% fino al 2022. Rispondono a una domanda nuova, la flessibilità delle pmi, sfruttando a tal fine lo sviluppo del machine learning. La grande azienda è interessata prevalentemente alla velocità del robot per aumentare la produttività e, in quest’ottica, assorbe robot più rigidi, molto veloci, chiusi dentro celle dove non ci siano rischi per gli operatori. «I “cobot”, invece – spiega Appendino – sono più lenti, morbidi e flessibili, perché sono a contatto con l’operatore da cui “imparano” i movimenti da compiere, ripetendoli e memorizzandoli e, si pensa per il futuro, auto-correggendosi con l’evoluzione delle machine learning. Sono più facili da programmare e user friendly rispetto alla generazione precedente senza interazione con l’operatore, ma restano comunque degli strumenti. Sia ben chiaro che non sono dei nuovi colleghi. Sgomberiamo il campo da equivoci che innescherebbero questioni etiche e antropologiche. Sono strumenti di supporto all’uomo, non parliamo di coscienza, di decisione o di altro di propriamente umano quando si parla di robot!»

 

YuMi+is+the+world’s+first+truly+collaborative+robot
Il robot collaborativo YuMi di Abb ( Photo courtesy Abb)

Migliorano le condizioni di lavoro degli operatori

Una recente ricerca Doxa mostra la diversa percezione rispetto al rapporto con i robot tra chi lavora già con questi strumenti automatici avanzati e chi non ne ha ancora avuto esperienza. I primi (manager e datori di lavoro) sono in misura maggiore favorevoli all’utilizzo di intelligenza artificiale e robotica (75%), che scende al 47% nei secondi (sempre fra manager e datori di lavoro senza esperienza specifica). Chi sa di cosa si tratta riconosce maggiormente l’effetto di rendere il lavoro meno faticoso e più sicuro (99% contro 87%), di lavorare meno e meglio (82% contro 69%) e di creare ruoli, funzioni e posizioni lavorative che prima non esistevano (86% versus 68%). Comunque, nel complesso, la percezione dei capi è positiva (61%), anche se con maggiori accentuazioni positive da parte di chi lavora già con sistemi automatici sé movibili.

 

Tra i lavoratori la percentuale di apprezzamento dell’ impiego dei robot in fabbrica è inferiore a quella dei manager

 

Nei lavoratori le proporzioni sono abbastanza allineate, anche se in tutti la percezione positiva è un po’ più bassa: al 67% per chi lavora a contatto con linee automatiche robotiche e al 48% per chi non è abituato (complessivamente 54% positivo versus 61% dei capi). Inoltre, il bilancio sull’introduzione di robot è negativo solo per il 3% sia nei capi che nei collaboratori; è neutro per il 28% dei lavoratori e il 15% dei manager ed è abbastanza positivo per il 52% dei primi e per il 61% dei secondi e decisamente positivo per il 17% dei primi e il 22% dei secondi.

 

L’indagine Doxa

«Abbiamo numerose evidenze circa il fatto che quando le aziende si dotano di strumenti automatici avanzati, sia per motivi di efficienza che di mercato, tendono a crescere e, con loro, il bisogno di personale qualificato, magari in funzioni diverse, più commerciali o, restando sulla linea, come operatori di processo e di tecnologia. Ci sono ancora molti pregiudizi al riguardo, ma posso garantire un miglioramento della qualità del lavoro degli stessi operatori, che non si chiamano più operai non per niente. Infatti diventano dei programmatori e dei supervisori del funzionamento delle macchine, lasciando le mansioni faticose e talvolta pericolose, nonché quelle ripetitive e con un margine di errore alto, alle macchine che sono più veloci e precise. Si libera così tempo e risorse per mansioni più qualificate e soddisfacenti per le persone, che certo vanno accompagnate nel cambiamento di ruolo, ma ricordiamoci sempre che i robot non pensano, li programmiamo noi anche se in modo versatile, quindi la prerogativa del pensiero e quella del buon senso restano sempre in capo alla componente umana del lavoro», conclude il presidente di Siri Domenico Appendino.

 

Una “famiglia” di robot Comau

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La storia della robotica in Italia

Il primo automa antropomorfo è italiano e risale alla fine del Quattrocento: è il cavaliere meccanico progettato da Leonardo da Vinci nel 1495, che dai suoi calcoli avrebbe dovuto alzarsi da solo e muovere braccia, gambe e testa. Di fatto, la robotica con applicazione industriale nasce a metà degli anni Cinquanta negli Stati Uniti, con George Devol e Joseph Engelberger che progettano, a partire dal 1959 e realizzano nel 1961, il primo robot realmente programmabile, lo Unimate (“Universal Automation”), che viene subito adottato nella catena di montaggio di General Motors. Unimate scarica pezzi pesanti e caldi e ne aumenta la produttività. È di pochi anni dopo il primo robot italiano di misura, progettato da Franco Sartorio e realizzato da Dea (1965). Seguono nei primi anni Settanta un robot della Norda, su progetto di Gianfranco Duina; un robot di saldatura della Siv su progetto di Luigi Carpioglio e un primo prototipo di robot di montaggio della Olivetti. Quindi, nella seconda metà degli anni Settanta, Comau installa in Fiat i primi Polar e la società Sepa, sempre del gruppo Fiat, sviluppa un sistema di controllo per robot.

 

Il primo robot antropomorfo italiano, il cavaliere meccanico progettato da Leonardo da Vinci. Photo by Erik Möller

 

Nel frattempo nasce Osai dell’Olivetti per la produzione dei robot Sigma. Antonio d’Auria dell’Olivetti lancia l’idea di creare un’associazione dedicata, Siri, che viene fondata a Ivrea nel 1975 con d’Auria come primo presidente. Si rafforzano le ricerche universitarie e al Politecnico di Milano vengono installati due robot per decisione di Marco Somalvico, tra i primi accademici a occuparsi dell’argomento. Nel 1976 Franco Sartorio esce da Dea e fonda Prima (1977), che svilupperà diversi modelli tra cui Speedy e la gamma Ernest di Sapri, mentre nel 1979 annuncia Zac, il primo robot per il taglio laser 3D, sempre su progetto di Sartorio. Negli anni Ottanta continuano a nascere nuove aziende produttrici di robot, come Sir, e vengono presentati nuovi modelli di robot: Pragma di Dea, le linee di saldatura Bisiach&Carru, Sharl di Skf, i robot di verniciatura della Basfer e della Sls e il robot Camel di Castoldi.

La Jobs presenta uno dei primi robot elettrici a sei gradi di libertà. Da sempre la robotica italiana in Europa è seconda solo alla Germania. Ecco perché tutti i grandi produttori mondiali aprono filiali in Italia, perché le nostre pmi collegate si distinguono per una spiccata capacità applicativa. Per contro, scompaiono molte piccole e medie aziende che avevano sviluppato i loro modelli, mentre crescono gli integratori. Sopravvivono poche aziende selezionate come Comau e Prima Industrie. Le molte aziende entrate nell’attrezzaggio e nell’integrazione di robot hanno successo anche all’estero, come Tiesse Robot, Sir e Roboteco, ancora oggi qualificati system integrator di robot di terzi.














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