Contro i data center energivori Lenovo schiera il dio dei mari: Neptune

di Renzo Zonin ♦︎ Con la soluzione della multinazionale cinese i centri di calcolo vengono raffreddati con acqua a 50 gradi. Un modo di arginare l’enorme problema del consumo di energia: l’1% del totale mondiale nel 2018. Così diminuiscono le spese e aumenta la capacità di storage del 30-40%. La parola al country manager Dcg italiano Alessandro De Bartolo

Secondo una ricerca della Northwestern University, nel 2018 i data center di tutto il mondo hanno consumato 205 Terawatt/ora di energia elettrica, pari grosso modo l’1% del consumo globale. Negli ultimi 10 anni, il traffico Internet è decuplicato, la quantità di storage si è moltiplicata per 25, ma i consumi dei Ced non sono cresciuti allo stesso ritmo, grazie soprattutto a una forte riduzione del consumo dei dischi (in termini di Watt per Terabyte) e alla maggiore efficienza dei processori (in termini di MegaFlop per Watt).

Negli ultimi anni, però, si è plafonato il livello di ottimizzazione energetica ottenibile da dischi e Cpu, e le previsioni indicano che la curva di crescita di consumi ed emissioni potrebbe impennarsi. In particolare, il Journal of Cleaner Production ha pubblicato uno studio del 2017 di Belkhir ed Elmelghi, secondo il quale ai ritmi attuali il settore It sarà responsabile entro il 2040 del 14% delle emissioni globali di carbonio. Per questo i produttori di informatica stanno percorrendo nuove strade alla ricerca di una riduzione dei consumi e delle emissioni.







 

Nuova vita per una tecnologia storica

In particolare, sta dando buoni risultati (e consente ancora ottimi margini di crescita) una tecnologia che nel mondo dei mainframe viene usata da una sessantina d’anni: il raffreddamento a liquido. Lenovo ha iniziato a installare nei data center server raffreddati a liquido già nel 2012, quando ancora era la divisione server a standard industriale di Ibm. Per la cronaca, il primo sistema fu un cluster di server x86 consegnato al Leibniz-Rechenzentrum di Monaco, in Germania. Ma è solo due anni fa, nel giugno 2018, che Lenovo ha presentato ufficialmente la sua soluzione olistica per il raffreddamento ad acqua, chiamata Neptune.

Nel giugno 2018 Lenovo ha presentato ufficialmente la sua soluzione olistica per il raffreddamento ad acqua, chiamata Neptune

Il riferimento “mitologico” è duplice: primo perché Nettuno era il dio dei mari e delle acque; e secondo, perché la sua arma era un tridente, un’arma a tre punte. E il sistema Neptune si basa, appunto, su tre tecnologie di base per garantire il raggiungimento degli obiettivi. La prima è la Dtn, Direct To Node, nella quale i processori e altre parti del server vengono raffreddate tramite un sistema di tubi nei quali scorre acqua fino a 50 gradi, che passano all’interno della macchina a contatto dei componenti. La seconda è l’Rdhx, o Rear Door Heat eXchange. Pensatelo come un grosso radiatore, simile a quelli montati sulle automobili o sul retro dei frigoriferi, installato sulla parete posteriore del rack che contiene i server. L’Rdhx è in grado di ridurre la temperatura dell’aria in uscita da server con raffreddamento convenzionale, abbassando la richiesta di aria condizionata della sala macchine. La terza tecnologia è il cosiddetto raffreddamento ibrido, ovvero la combinazione di water e air cooling all’interno dello stesso sistema. Un esempio sono i Ttm, Thermal Transfer Module, montati sui ThinkSystem SD530, nei quali gli organi da raffreddare sono collegati a un dissipatore tradizionale ad aria tramite una “heat pipe”, un condotto termico pieno di liquido. Il tutto viene controllato dal software Ear (Energy Aware Runtime), perfezionato in collaborazione con il Barcelona Supercomputing Center, che è in grado di ottimizzare il funzionamento del sistema per l’efficienza energetica e per le performance.

Il software Ear (Energy Aware Runtime), perfezionato in collaborazione con il Barcelona Supercomputing Center, è in grado di ottimizzare il funzionamento del sistema per l’efficienza energetica e per le performance

 

Ridurre i consumi, aumentare la potenza

Potrebbe non essere immediatamente evidente in che modo il raffreddamento ad acqua possa contribuire a ridurre i consumi dei data center, aumentando contemporaneamente la potenza di calcolo disponibile. Ma diventa più chiaro quando si osserva come sono ripartiti i consumi elettrici di un Ced. Secondo una ricerca del 2016 (Shehabi), se la parte di storage e di rete utilizzava appena il 14% dell’energia totale, la parte server e quella per i sistemi di aria condizionata pesavano ciascuna per il 43%. Oggi la parte server pesa addirittura meno di quella dell’Hvac (Heat, Ventilation, Air Conditioning) che è arrivata al 50/55% del consumo totale.

Consumo-data-center

Il condizionamento è fondamentale per il data center perché i server di nuova generazione sono estremamente “densi”: negli armadi rack ne vengono impilati a decine, e ciascuno monta due o quattro processori che possono dissipare anche oltre 150 Watt ciascuno. Per mantenere le Cpu alla temperatura di esercizio, serve quindi che l’ambiente sia a temperatura bassa e che il ricambio d’aria sia continuo e capillare. Questo si può garantire solo con sistemi Hvac a compressione, in altre parole giganteschi condizionatori con consumi elettrici importanti. Ma raffreddando i server ad acqua, le cose cambiano. L’acqua è molto più efficiente dell’aria nell’estrarre il calore dalla macchina (circa 7 volte di più) e quindi consente sia di ridurre l’impiego dell’aria condizionata, sia di aumentare ulteriormente la potenza dei server, perché rende possibile installare processori con maggiore Tdp, quindi con capacità di calcolo più elevata. Sui ThinkSystem SD650, per esempio, Lenovo monta processori Xeon Scalable da 240 W, contro i 165 W installabili senza raffreddamento a liquido.

«Si tratta di processori nuovi, il turbo mode attivo aumenta di poco il consumo totale del sistema – ci ha detto Salvatore Morsello, Technical Sales del Data Center Group di Lenovo – Non si tratta quindi di over-clocking, non raccomandato in ambiente di produzione. Secondo il postulato della legge di Moore, cioè per aumentare le prestazioni, tutti i vendor di Cpu, in competizione tra loro, non vedono attualmente altra strada se non aumentare il consumo energetico del processore. È anche per questo motivo che la tecnologia di raffreddamento avrà sempre maggiori applicazioni nello sviluppo di nuovi server».

Lenovo ThinkSystem D650. Tutte le componenti interne del server Lenovo ThinkSystem SD650 sono attualmente raffreddate ad acqua, quindi anche memoria Ram e dischi interni. Sono in arrivo anche le Gpu raffreddate ad acqua

Un altro aspetto interessante e controintuitivo della tecnologia Neptune è l’utilizzo per il raffreddamento di acqua calda, fino alla temperatura di circa 50 gradi. Si potrebbe pensare infatti che usando acqua fredda si riesca raffreddare maggiormente le macchine. In realtà, pompando in entrata acqua fredda, sarebbe poi necessario raffreddare il liquido in uscita dal server con refrigeratori a compressione, voraci divoratori di energia elettrica. In pratica, si azzererebbe il risparmio dato dalla riduzione dei condizionatori. Usando in ingresso acqua calda, invece, è possibile riportare il liquido in uscita alla giusta temperatura d’uso usando semplici scambiatori di calore (radiatori, ventilatori o similari) che non influiscono sui consumi se non in modo minimale. Il tutto funziona anche nelle regioni geografiche più calde.

 

Una tecnologia, molti vantaggi

Se è vero che del raffreddamento ad acqua si parla oggi soprattutto in ottica di sostenibilità ambientale, quindi per la riduzione dei consumi che produce, è anche vero che un aumento della potenza installabile fino al 30/40% a parità di volume occupato non è per niente trascurabile per chi deve mettere in piedi un Ced. Tanto che viene da chiedersi se Neptune sia nato per aumentare la potenza a parità di consumi o per diminuire i consumi a parità di potenza. Ovvero, se la molla sia stata la ricerca della massima prestazione (e come sottoprodotto si è ottenuta la riduzione del consumo) o se si è partiti cercando la sostenibilità (ottenendo “collateralmente” maggiore efficienza anche dai processori).

Alessandro de Bartolo, Country General Manager di Lenovo Dcg Italia

«Entrambe le cose in realtà – ha confermato Alessandro de Bartolo, Country General Manager di Lenovo Dcg Italia – Neptune nasce per migliorare l’efficienza dei data center, riducendo i consumi e aumentandone le prestazioni. Un ulteriore effetto benefico di questo approccio è che le massime prestazioni raggiungibili non sono più limitate dall’accumulo di calore nei sistemi». Ma se non bastassero questi due vantaggi (minori consumi e maggiore potenza), ci sono anche altri fattori positivi da considerare. Secondo de Bartolo, «per quanto riguarda la tecnologia Direct Water Cooling (Dwc), che prevede il raffreddamento ad acqua per tutte le componenti del server, la completa assenza di ventole di raffreddamento ha come effetto una cospicua riduzione della rumorosità. Tanto la tecnologia Dwc quanto la tecnologia ibrida Air Cooling con Rear Door Heat Exchanger, inoltre, comportano una significativa riduzione dell’impronta a terra, dovuta sia alla maggiore densità raggiungibile (un minor numero di rack con il massimo di slot occupati) sia alla possibilità di posizionare i rack a minore distanza tra loro».

Il problema del rumore è fortemente sentito principalmente dagli addetti alla manutenzione, unici costretti a lavorare permanentemente in sala macchine, perché fortunatamente gli attuali server vengono gestiti interamente, per il day by day, da comode e silenziose sale di controllo. Ma il discorso dell’aumento della densità interessa l’azienda che possiede il data center, perché significa minore superficie totale, con tutta una serie di conseguenze positive su spesa di acquisto/affitto, costi di costruzione/adattamento, oneri fiscali e via discorrendo. Ma le opere supplementari (l’impianto idraulico per esempio) determinano un costo iniziale maggiore? Ed è quantificabile? «Non è facile dare un ordine di grandezza preciso; in generale un’implementazione Dwc ripaga molto velocemente i maggiori costi iniziali soprattutto in virtù della notevole riduzione dei consumi energetici (con un risparmio calcolabile tra il 40 e il 50%). Incide anche il minor costo dell’impianto di condizionamento, ma questo dipende molto dalle dimensioni dell’installazione».

 

Non si è mai troppo piccoli per raffreddare ad acqua

Data Center 00Gate. 00Gate è un Ced di piccole dimensioni. Ha una superficie complessiva di 1240 m2 e la sala server è di soli 80 m2. L’edificio è costruito in gran parte in legno, materiale ignifugo che favorisce l’isolamento termico; il tetto è coperto da pannelli solari che producono più energia di quanta ne serva al funzionamento della struttura (87 kW); l’eventuale energia supplementare, se e quando richiesta, arriva da fonti certificate rinnovabili; il sistema di raffrescamento dell’aria free-flow non richiede l’uso di condizionatori se non per brevissimi periodi dell’anno, abbassando radicalmente le necessità energetiche dell’impianto

Il punto sulle dimensioni dell’installazione è particolarmente interessante, perché è convinzione comune che ci sia una sorta di economia di scala sui costi di un sistema di raffreddamento a liquido: più è grande il data center e meno costa raffreddarlo ad acqua. Quindi a rigor di logica, scalando verso il basso, si dovrebbe arrivare a una dimensione sotto la quale conviene rimanere sul raffreddamento ad aria. In realtà, potrebbe non essere così. Un caso recente ha dimostrato che anche un Ced di piccole dimensioni ha convenienza a utilizzare un sistema a liquido. Parliamo del nuovo data center a emissioni zero 00Gate di Exe.it, inaugurato qualche mese fa e del quale abbiamo parlato qui.

00Gate è un Ced di piccole dimensioni, niente a che vedere con gli Hyperscale di moda fra gli Oot. Ha una superficie complessiva di 1240 m2 e la sala server è di soli 80 m2. Ma vanta specifiche notevoli: l’edificio è costruito in gran parte in legno, materiale ignifugo che favorisce l’isolamento termico; il tetto è coperto da pannelli solari che producono più energia di quanta ne serva al funzionamento della struttura (87 kW); l’eventuale energia supplementare, se e quando richiesta, arriva da fonti certificate rinnovabili; il sistema di raffrescamento dell’aria free-flow non richiede l’uso di condizionatori se non per brevissimi periodi dell’anno, abbassando radicalmente le necessità energetiche dell’impianto.

Quindi, anche in un centro piccolo come 00Gate, l’impiego di Neptune, che riducendo le esigenze di alimentazione consente di usare altre tecnologie ecosostenibili come il fotovoltaico, produce una convenienza tangibile. «Riusciamo a risparmiare il 55% sulla bolletta dell’elettricità a parità di consumo» ha dichiarato in proposito Gianluigi Capra, Ceo di Exe.It, ricordando però che grazie al fatto che i condizionatori sono in funzione solo per circa il 20% del tempo, all’atto pratico i consumi sono nettamente più bassi di quelli di un centro con le stesse dimensioni ma privo di questi accorgimenti. Parliamo di un abbattimento dei consumi per Hvac di circa quattro quinti. «Un fattore da considerare è il costo dell’installazione di un impianto idraulico nel data center» puntualizza de Bartolo, aggiungendo però che «strettamente parlando, non c’è una dimensione minima sotto la quale è più conveniente il raffreddamento ad aria, ma chiaramente più è piccola l’infrastruttura Hpc, minore è il risparmio energetico e più tempo occorre per ammortizzare l’investimento iniziale».

 

Raffreddare più componenti

Come si evolverà la tecnologia Neptune? Un primo step potrebbe essere l’estensione del raffreddamento ad acqua un maggior numero di componenti della sala macchine. «Tutte le componenti interne del server Lenovo ThinkSystem SD650 sono attualmente raffreddate ad acqua, quindi anche memoria Ram e dischi interni. Sono in arrivo anche le Gpu raffreddate ad acqua» spiega De Bartolo. È di qualche settimana fa infatti l’annuncio che Lenovo ha sviluppato insieme a Nvidia versioni liquid cooled delle schede A100 Tensor Core e delle schede Hgx A100 4-Gpu con Nv-Link, per utilizzarle nei sistemi Hpc dove è necessaria una elevatissima capacità di calcolo orientata principalmente a workload di intelligenza artificiale e machine learning. Così come le altre tecnologie di Neptune, anche questa per il raffreddamento delle Gpu filtrerà poi dal mondo Hpc a quello dei Ced “general purpose”, che già da tempo trattano workload di analytics e Ia. Un altro fronte di miglioramento potrebbe essere il software di gestione Ear, che potrebbe essere reso a mano a mano più granulare e capace di rispondere a un maggior numero di parametri ambientali per ottimizzare l’efficienza complessiva del sistema.

Per dare un’idea dello sviluppo tecnologico di questi anni, basti pensare che nel 2008 per arrivare a capacità dell’ordine dei PetaFlops servivano 300 rack e 3.000 server.

Nvidia A100 

Oggi basta mezzo rack di server Lenovo raffreddati con tecnologia Neptune ed equipaggiati con Gpu Nvidia A100 Tensor Core per ottenere la stessa potenza di calcolo, con costi e consumi energetici incomparabilmente più bassi. La legge di Moore ci autorizza a sperare in miglioramenti simili per i prossimi anni, tutto sta a trovare la volontà di perseguire questi obiettivi. E se la sostenibilità ambientale non vi sembra una motivazione più che sufficiente, il risparmio sui costi di gestione potrebbe essere un argomento vincente per l’adozione di Neptune a tutti i livelli.














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