Legge di Bilancio 2023: l’industria rimane in secondo piano

di Barbara Weisz ♦︎ Credito d'imposta dimezzato, potenziata la Sabatini, approvato il Milleproroghe, che permette di utilizzare il credito d'imposta per i beni strumentali acquistati nel 2023. Il vp di Confindustria Bonomi non è soddisfatto, ma il Governo ha puntato sul contenimento del caro energia, promettendo novità per l'inizio del 2023. Abbiamo approfondito il tema con l'economista Marco Fortis

La premier Giorgia Meloni

E’ stato potenziato il finanziamento alla Sabatini, ma continuano a mancare invece le nuove risorse destinate al Piano Industria 4.0. L’impostazione della Legge di Bilancio 2023 non sottovaluta l’importanza della digitalizzazione delle imprese, anzi sul lungo periodo si insiste sulla formazione delle giovani generazioni, con misure sulle discipline Stem fin dalla scuola primaria. Ma la scelta di fondo, praticamente obbligata, di concentrarsi sul sostegno a famiglie e imprese contro il caro energia, lascia in secondo piano le strategie per l’industria. Anche se, va detto, il Governo annuncia novità per l’inizio del 2023.

Un primo passo è già stato fatto con il Milleproroghe, approvato il 21 dicembre, che consente di utilizzare il credito d’imposta per i beni strumentali ordinati nel 2022, con le stesse aliquote, anche a fronte di una consegna che avvenga entro la fine di dicembre 2023 (è una slittamento di sei mesi, come vedremo). Per l’anno prossimo, il delle Ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, ha definito «assolutamente necessario» il rifinanziamento dei crediti d’imposta per la transizione 4.0. Per il resto, le misure in manovra per le imprese si risolvono nel taglio al cuneo fiscale (inizialmente solo a favore dei lavoratori, poi corretto durante l’iter parlamentare con un punto di sconto anche per i datori di lavoro), la proroga dei crediti d’imposta per la quotazione delle Pmi, esoneri contributivi per le nuove assunzioni.







«Nessuna proroga del credito d’imposta per la formazione 4.0, nessuna modifica al dimezzamento nel 2023 del credito d’imposta sugli investimenti in beni strumentali 4.0 e del credito d’imposta R&S, nessun fondo per il Made in Italy, nessun rafforzamento per gli Ipcei, i grandi progetti di ricerca europei per l’autonomia tecnologica di grandi filiere industriali», ha sintetizzato il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, in audizione sulla finanziaria alla Camera. Analizziamo la manovra economica cercando di capire per quale motivo non ci sono forti investimenti sull’industria, vediamo quali incentivi ci sono per il 2023 in base alle normative attuali, e come potrebbero cambiare secondo gli impegni presi dall’esecutivo.

 

Perché la manovra non finanzia la digitalizzazione delle imprese

Marco Fortis, economista dell’Università Cattolica e direttore della Fondazione Edison

«E’ complessivamente una manovra forzata dalle circostanze eccezionali, assorbe gran parte delle risorse disponibili per contrastare il caro energia. E’ un dato di fatto». E’ anche una Legge di Bilancio «prudente, non si discosta dalla linea draghiana di attenzione ai conti pubblici. Rispetto alle promesse elettorali, fra caro energia e sale in zucca (nel senso che le cose che non si possono fare non si fanno), i fatti hanno portato a una manovra limitata negli interventi extra energia. Anche perché c’è un’attenzione ai conti pubblici che non può venire meno». L’economista sottolinea che in effetti, oltre al caro energia (21 miliardi sui 35 della Legge di Bilancio), «le altre risorse sono un pò messe qua e là. Su alcune misure si poteva fare meglio». Per esempio, «l’innalzamento del taglio del cuneo fiscale ai redditi fino 25mila euro, con un punto a favore delle imprese, è un intervento incisivo in modo limitato, risente delle ristrettezze». La richiesta di Confindustria era più alta: un taglio del cuneo fiscale di almeno quattro punti, per avere un impatto significativo. «Troppe volte nei decenni alle nostre spalle piccoli tagli di 1 o 2 punti non hanno avuto alcun effetto. Nel 2021, il cuneo in Italia è stato pari al 46,5% del costo del lavoro, uno dei più elevati tra i paesi avanzati (la media dell’Eurozona è al 42%)» ha spiegato Bonomi alla Camera. E in questo periodo, con l’inflazione a doppia cifra e la bolletta energetica altissima, una sforbiciata al costo del lavoro «sarebbe la via migliore per mettere subito nelle tasche dei lavoratori molto più reddito disponibile di quanto non avvenga con la logica dei micro-tagli e dei micro-sussidi su bollette, carburante e affitti».

Ancora più nel dettaglio, questa la proposta di Confindustria: «un taglio dei contributi di 16 miliardi sui lavoratori dipendenti con redditi fino a 35 mila euro, due terzi a beneficio dei lavoratori e un terzo dei datori di lavoro. In questo modo, il lavoratore che guadagna 35 mila euro avrebbe un beneficio di 1.223 euro e il cuneo scenderebbe al 42,5%, avvicinandosi a quello medio dell’eurozona (42,0%)». La misura inserita in Legge di Bilancio, invece prevede una riduzione del 3% per i lavoratori dipendenti con reddito fino a 25mila euro, con il 2% che va direttamente in busta paga (quindi è a favore dei lavoratori, e l’1% che invece resta all’impresa. E un taglio del 2% per i redditi fra 25mila e 35mila euro, interamente a favore del dipendente. C’è stato un parziale recepimento delle richieste del mondo imprenditoriale, in realtà, visto che il ddl originariamente approvato dal Governo prevedeva che la prima fascia si fermasse a 20mila euro, e che l’intera risparmio sulla contribuzione andasse a favore del lavoratore (prevedibilmente, questa modifiche non va invece incontro alle richieste dei sindacati). Anche il ministro Urso sottolinea che il problema sono state le risorse e la necessità di affrontare prioritariamente il caro energia. A vantaggio anche del settore manifatturiero, che altrimenti «vedrebbe più che raddoppiare l’incidenza dei costi, toccando i valori massimi in corrispondenza dei settori più energivori», Particolari ripercussioni per la metallurgia, dove «l’incidenza dei costi energetici potrebbe sfiorare il 26% alla fine del 2022, cioè 15 punti in più in percentuale rispetto a livelli prepandemia».

 

Le misure per la manifattura

Carlo Bonomi, presidente di Confindustria.
Carlo Bonomi, presidente di Confindustria

In realtà, come detto, qualcosa c’è per l’industria. Sono stati potenziati i fondi per la Sabatini, la legge sui finanziamenti agevolati sull’acquisto di macchinari e software per le Pmi, con un contributo statale che copre gli interessi. Sono stati assegnati 150 milioni al 2026, così suddivisi: 30 milioni per il 2023, e 40 milioni dal 2024 al 2026. Altri 100 milioni vanno a un nuovo Fondo per il potenziamento delle politiche industriali di sostegno alle filiere produttive del made in Italy: 5 milioni per il 2023 e 95 per il 2024. Oltre 200 milioni vanno alla digitalizzazione dell’agricoltura (75 per ciascuno degli anni 2023, 2024 e 2025), in un Fondo per l’innovazione con l’obiettivo di diffondere le tecnologie per la gestione digitale dell’impresa, per l’utilizzo di macchine, di soluzioni robotiche, di sensoristica e di piattaforme e infrastrutture 4.0. Nel Milleproroghe, c’è invece lo slittamento al 31 dicembre del termine per la consegna dei macchinari incentivati dal credito d’imposta 4.0: resta la regola per cui l’ordine deve invece avvenire entro il 31 dicembre di quest’anno, con pagamento pari almeno al 20% della somma. I sei mesi in più per la consegna consentono di utilizzare la più vantaggiosa aliquota 2022 (i crediti d’imposta 4.0 scendono nel 2023 dal 40 al 20%).

 

I crediti d’imposta 4.0

Ripercorriamo brevemente, alla luce anche della modifica nel Milleproroghe, l’attuale formulazione dei crediti d’imposta previsti da Industria 4.0:

  • acquisto macchinari industriali non 4.0: il credito d’imposta scade a fine 2022, l’agevolazione è pari al 6% con diversi tetto a seconda della tipologia di investimento;
  • acquisto macchinari digitali 4.0: nel 2023, sono agevolati al 20% gli investimenti fino a 2,5 milioni di euro, al 10% da 2,5 milioni a 10 milioni di euro, al 5% fra 10 milioni di euro e 20 milioni di euro. Nel 2022, le aliquote degli stessi crediti d’imposta erano rispettivamente pari al 40, 20 e 10 per cento.
  • Acquisto software connessi a investimenti in beni materiali “Industria 4.0: 20% fino a 1 milione di euro.
  • Credito d’imposta formazine 4.0:  70% fino a un tetto di 300mila euro per le piccole imprese, 50% fino a 250mila euro per le medie imprese, e 30% fino a 250mila euro per le grandi imprese.

Attenzione: per i macchinari ordinati entro la fine del 2022, con pagamento pari almeno al 20%, si utilizzano le aliquote 2022  se la consegna avviene entro il 30 giugno 2023 nel caso dei macchinari ordinari ed entro la fine del 2023 (in base alla sopra citata estensione prevista dal Milleproroghe), per i beni 4.0.

 

Il potenziamento del Piano Industria 4.0 e gli altri obiettivi 2023

Il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso

Anche a fronte della pressante richiesta delle imprese, il ministro Urso come detto ha fornito una serie di rassicurazioni sull’intenzione del Governo di potenziare gli incentivi per la digitalizzazione degli impianti produttivi. Innanzitutto, qualche numero di mercato: Italia, Francia e Germania, esprimono il 55 per cento del Pil europeo e insieme questi tre Paesi da soli sono comunque la terza forza manifatturiera mondiale dopo Usa e Cina. «Abbiamo quindi la dimensione per definire una politica industriale europea ed essere attori protagonisti della politica globale». Urso parla di valorizzazione del Made in Italy, di potenziamento della capacità estrattiva, di stimoli al settore aerospaziale. Ma anche del «rifinanziamento assolutamente necessario del Piano transizione 4.0 che ha ereditato il Piano industria 4.0». Il credito d’imposta «è molto apprezzato dalle imprese e vogliamo intensificarne il sostegno». Qui, Marco Fortis insiste parecchio: le imprese italiane «hanno acquisito negli ultimi anni, un potenziale competitivo che è stato innalzato in maniera molto consistente da piano industria 4.0». L’economista che è uno dei contributori al Piano fin dalle origine ritiene che la misura «dovrebbe diventare strutturale, e riguardare in modo importante anche l’acquisto di beni fisici, macchinari e tecnologie».

Il motivo: è importante, per le imprese «sapere che quando possono investire lo stato le incentiva, e in modo ragionevole. Non si tratta di spendere quantità di soldi enormi». Ne hanno bisogno «soprattutto le piccole e medie imprese, che non hanno le capacità finanziarie delle medio grandi». Uno strumento strutturale le aiuterebbe ad avere un orizzonte ampio, che consenta loro di programmare e cogliere il momento buono». Dopodiché, conclude l’economista, la sfida più delicata del 2023 sul fronte delle politiche economiche è rappresentata dai conti pubblici. Sui quali, come detto, impatta in particolare il caro energia, prevedibilmente destinato a durare. «E’ un momento in cui non fa più paura come mesi fa», ma molto dipende dalla guerra in Ucraina. «Gli economisti, quando il fattore geopolitico sostituisce le variabili macro tradizionali e diventa decisivo, devono affidarsi a previsioni sulla geopolitica». Quindi, sui conti pubblici la prudenza che informa la manovra è la ricetta migliore da continuare a percorrere. Ma c’è anche un altro elemento su cui lavorare: «accantonare questo suadente corteggiamento dell’evasione fiscale, molto negativo anche per l’immagine internazionale del Paese. Non possiamo presentarci con un alto debito e una rinnovata rassegnazione, se non addirittura un’incentivazione dell’evasione. L’ultimo report di Itinerari Previdenziali contiene numeri impressionanti». Il riferimento è all‘Osservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrate 2022 del centro studi presieduto da Alberto Brambilla, in base al quale il 13% dei contribuenti paga il 60%% dell’Irpef italiana.

(Ripubblicazione dell’articolo pubblicato il 21 dicembre 2022)














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