Le sorprese della seconda fase di Industria 4.0 by Carlo Calenda

Industry 4.0

di Laura Magna ♦ Come sarà il nuovo pacchetto di “politica industriale” del Governo? Per ora si sa che ci sarà qualcosa sulla formazione e che verranno rinnovati gli sconti fiscali, pur mancando notizie sulla loro entità. In attesa di news, abbiamo raccolto i commenti di due importanti imprenditori meccanici (Sonia Bonfiglioli dell’omonimo gruppo e Diego Andreis di Fluidotech) e di tre studiosi molto sul pezzo (Patrizio Bianchi, Luca Beltrametti e Marco Taisch). Non mancano le perplessità. Anche perché…..

Nel 2018 sarà la formazione il fattore chiave per proseguire sulla strada della quarta rivoluzione industriale all’italiana. Lo ha dichiarato il ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda in varie occasioni pubbliche, durante le quali ha anche confermato il rinnovo degli incentivi fiscali, senza però ancora quantificare le cifre. Industria Italiana ha raccolto i commenti sul tema di chi vive queste cose tutti i giorni sulla sua pelle, ovvero due importanti imprenditori meccanici, e di chi le studia.

 







Carlo Calenda, Ministro dello Sviluppo Economico

Per la fase due di Industria 4.0 ci si aspetta un “iperammortamento delle persone”, che probabilmente si concretizzerà nel credito di imposta sulla formazione. Calenda ha parlato di un credito fino al 50% del valore extra che le imprese investiranno nel prossimo triennio rispetto al precendete, in attività di formazione nelle aree marketing, informatica e tecnologia legate a Industria 4.0. Ma questa misura dovrà essere affiancato da un’onda lunga che travolga scuola e università e che doti il Paese delle competenze funzionali al cambiamento. Un cambiamento che dovrà essere pervasivo e radicale. E per cui mere misure di incentivo sono un boost importante, ma non sono la panacea. Si dovrà andare verso un ecosistema 4.0 con al centro il lavoro. Un tema intorno a cui il dibattito è serrato: non basta acquistare una macchina per diventare industrie 4.0, ma il paradigma cambia anche gli skill necessari in azienda e cambia dunque il mondo del lavoro.

Gli incentivi previsti finora hanno funzionato bene per le macchine

Di certo gli incentivi, quelli sul fronte delle macchine, sono stati il punto di forza del primo pacchetto e il fatto che verranno rinnovati è una buona notizia per l’industria. Che abbiano funzionato lo confermano i numeri: da gennaio a giugno l’andamento degli ordinativi dell’industria è cresciuto di circa il 9% e il settore “macchinari e altri apparecchi” ha segnato addirittura un incremento dell’11,6%. Iper e super ammortamento resteranno dunque al centro del programma, anche se perimetro, entità e platea dei prossimi incentivi sono ancora ignoti e sono variabili strettamente dipendenti dalle risorse a disposizione, che sono scarse, come il titolare del Tesoro, Pier Carlo Padoan, non ha mancato di sottolineare.

 

Piano Calenda: i competence center ancora per la maggior parte sono inattivi
…un po meno per il resto

Il nuovo piano accelererà anche su startup e venture capital, ambiti nei quali invece il primo pacchetto non ha invece ottenuto i risultati sperati, con una crescita degli investimenti in nuove imprese solo del 2%. E dovrà dare uno scossone sul fronte dei Competence Center, ancora inattivi a 11 mesi dalla loro istituzione. Su questi temi Industria Italiana ha dibattuto con chi le dinamiche di trasformazione dell’industria le studia o le sperimenta sul campo.

 

Assolombarda lancia il progetto #ItaliaMeccatronica
Diego Andreis, amministratore delegato di Fluid-o-Tech

Diego Andreis (Fluidotech e Federmeccanica): manca la visibilità e forse anche le risorse

Quali pregi e quali difetti contiene il nuovo pacchetto, per quello che ne sappiamo a oggi? «Non conosciamo i numeri della nuova manovra, ma la direzione ritengo sia quella giusta dal punto di vista della politica industriale», dice a Industria Italiana Diego Andreis, managing director di Fluid-o-Tech, media azienda del milanese che fattura 70 milioni nel settore delle pompe volumetriche e sistemi per la pressurizzazione, la dosatura ed il trasferimento dei fluidi trovano applicazioni diverse nei settori foodservice, automotive, medicale, industriale. «Mi piace che ci possa essere continuità su iper e super ammortamento, e che si vada a colmare la grande mancanza del piano 2017 che è stata sul tema formazione e competenze». Andreis però non nasconde la sua preoccupazione in merito alle risorse: «Sembra che avremo a che fare con risorse scarse, quindi le misure non avranno la potenza di fuoco di cui l’industria continuerebbe ad avere bisogno».

Ci vuole più tempo

Poi, i limiti che individua Andreis nella manovra che arriva a conclusione a dicembre sono almeno altri due: «C’è un tema di orizzonte temporale: le aziende hanno bisogno di lavorare su piani industriali con un orizzonte minimo di 3 anni, i piani di politica industriale del governo dovrebbero fare lo stesso. Uno dei grandi problemi italiani è l’incertezza del sistema all’interno del quale le imprese sono costrette a muoversi. Mi rendo conto che la legge di bilancio ha una vita che si limita all’anno fiscale di riferimento, ma ci vorrebbe un impegno su un periodo più lungo con range di manovra sul quale muoversi».

Valvola proprorzionale Dolphin Fluidics, prodotto della ricerca meccatronica della società, spin off di Fluid-o-Tech
E’ necessario un focus su R&S

Il secondo grande punto di domanda riguarda la Ricerca&Sviluppo, secondo Andreis. «Il tema della formazione è molto importante ma la R&S è alla base di tutto, perché dentro c’è il ripensamento dell’intero sistema industriale. Questa manovra dovrebbe essere ancora più focalizzata su questo ambito: le attuali misure con credito di importa pari al 50% per la parte di investimento che supera la media degli scorsi tre anni, presentano forti limiti, sia per l’entità della misura sia perché penalizzano le aziende che hanno sempre investito sul futuro. In Francia il credito di imposta è al 100%. E la R&S fa da padrona e da traino a tutta la ripresa». R&S versus startup: «La maggior parte delle startup si focalizza sul digitale puro con dei tassi di successo molto bassi. Noi siamo un paese manifatturiero e c’è un enorme opportunità alla frontiera tra digitale e manifattura, bisogna dare un indirizzo. Anche per questo, lo ribadisco, il focus dovrebbe essere sulla ricerca&sviluppo: che si faccia all’interno delle imprese, nelle università, in collaborazione con startup o tra imprese. Bisogna andare a promuovere queste forme di collaborazione, in estrema sintesi, di open innovation, che portano a sviluppare le tecnologie che sono la chiave di volta di tutto il sistema».

 

Sonia Bonfiglioli
Sonia Bonfiglioli, amministratore delegato di Bonfiglioli

Sonia Bonfiglioli: che cosa penso dei progetti di formazione

Plaude alla scelta di confermare gli incentivi anche Sonia Bonfiglioli, amministratore delegato di Bonfiglioli, gruppo bolognese fra i leader mondiali della progettazione e produzione di motoriduttori di velocità, sistemi di azionamento e automazione industriale, inverter e soluzioni per il fotovoltaico e motoriduttori epicicloidali, con un fatturato 2016 di 788,9 milioni di euro.

«Si tratta del segnale che quanto è stato fatto dal governo è frutto di una strategia e non di azioni spot, ma è una scelta importante soprattutto perché nelle PMI l’attivazione di questi incentivi è avvenuta abbastanza avanti, senza considerare che c’è una saturazione da parte dei fornitori degli impianti», dice Bonfiglioli. Che non si sbilancia in una previsione sulla portata degli incentivi 2018 ma ritiene «credibile che possano essere più contenuti rispetto a quelli di quest’anno, anche perché c’è stata una proroga per la connessione degli impianti fino a settembre 2018. Ovviamente più le percentuali saranno vicine a quelle del 2017 più saranno di supporto allo sviluppo dell’impresa e a un significativo rinnovamento dei processi industriali e delle imprese».

Anche per i formatori un aggiornamento 4.0

L’imprenditrice ha molto a cuore il secondo pilastro del piano Calenda, ovvero quello relativo alla formazione, che è collegato, a suo modo di vedere, anche al tema delle startup, «un tema, per quello che deriva dal modello americano, strettamente legato ad avere università che investano in ricerca e innovazione facendo della connessione con le imprese un punto di forza. Che è la storia della Standford University e l’origine della Silicon Valley. Se noi abbiamo anche nei migliori corsi di laurea un know how superato dalla digital transformation, parlare in maniera strutturale e sistemica di startup è davvero difficile. E anche gli incentivi di tipo economico rischiano di avere effetti molto limitati. Non solo le competenze vanno aggiornate alle aspettative 4.0, ma anche i formatori. Auspico che le università si popolino di docenti giovani e aggiornati su AI, IOT, neuroscienza, nanotecnologia, analisi dei big data: le materie portanti della digital transformation».

 

Re training
Il programma Digital Re-Training di Bonfiglioli

 

La riqualificazione è cruciale

E se è urgente dare ai giovani questo tipo di competenze «è altrettanto cruciale far sì che chi oggi fa già parte del mondo del lavoro non viva con angoscia questa trasformazione, ma possa sentirsi parte attiva del processo e possa, con una riqualificazione, vivere questo momento come un momento di trasformazione anche personale. A questo mira il credito di imposta sul delta incrementale sulla formazione fatta negli ultimi tre anni e a questo mirano programmi come il nostro di Digital Re-training», afferma Bonfiglioli (vedi Industria Italiana) In sintesi l’imprenditrice  ritiene che il nuovo piano «allargando anche ai servizi, e perciò battezzato Impresa 4.0, contenga elementi importanti di quello che è un megatrend. La partita da oggi in poi la giochiamo però sul tema della qualificazione e su quello dobbiamo puntare in maniera decisa».

 

Interno di un mobilificio
Interno di un mobilificio

 

Luca Beltrametti: manca una politica industriale che sproni le imprese a uscire dal nanismo

«Credo che si debba riconoscere che gli incentivi nel 2017 abbiano avuto un effetto molto positivo sugli ordini di macchinari e qualche traccia si vede anche nella produzione industriale che nel primo semestre è passata da 96,9 a 99,4, fatto il 2010 pari a 100. C’è stato cioè un aumento del 2,6%, e il clima di fiducia delle imprese è ai massimi da cinque anni. Un’inversione di tendenza. Non abbiamo la controprova, non sappiamo quanto questo trend sia imputabile a queste azioni del governo, ma un ruolo lo hanno avuto senza dubbio», sostiene Luca Beltrametti, direttore del Dipartimento di Economia dell’Università di Genova, che invece ritiene eccessiva l’enfasi sul tema delle startup, sottolineando anche quello che manca in questa politica industriale.

Non pensare solo alle start up

«Il vero problema dell’economia italiana è fare uscire la moltitudine delle imprese micro o nane da questa dimensione. In questo senso forse una fiscalità che guardi con favore alle fusioni tra società e all’ingresso di nuovi soci nel capitale di società piccole potrebbe essere anche più utile rispetto a tutti questi sforzi sulle startup», afferma il professore. «Si sente spesso dire che in Italia si producono pochi laureati, ma se fosse vero mi aspetterei di vedere i salari dei laureati crescere perché le imprese fanno a gara per accaparrarseli, invece i salari si appiattiscono e i migliori laureati se ne vanno all’estero»

«Questo tema è strettamente collegato con quello del nanismo delle imprese perché solo con la crescita dimensionale le imprese potranno investire in ricerca e potranno garantire anche a persone che non sono membri della famiglia di fare carriera. Credo che una politica industriale che incentivasse l’ ingresso di capitale nelle imprese familiare potrebbe garantire spazi di crescita meritocratica per i nostri giovani». Beltrametti, da accademico, apprezza invece il fatto che Calenda abbia scelto di ampliare il raggio di azione dagli incentivi fiscali, spingendo su formazione e Università. «Ma attenzione che poi non si mettano in atto comportamenti opportunistici, che non si etichettino con 4.0 corsi di laurea che non cambiano molto poi nella sostanza».

 

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Marco Taisch, professore di Sistemi di produzione automatizzati e tecnologie industriali al Politecnico di Milano

Marco Taisch: Non bastano gli incentivi, le imprese devono assumersi le loro responsabilità

Secondo Marco Taisch, professore di Sistemi di produzione automatizzati e tecnologie industriali al Politecnico di Milano, nonché direttore del Manufacturing Group che ha partecipato alla cabina di regia del piano, «l’effetto della prima manovra è evidente, in termini di aumento del Pil, ordinativi, investimenti, fatturato: aumento che non può che essere ricondotto a questi incentivi di Industria 4.0. Si può dire che sia la ripresa, ma l’analisi dei dati sulla domanda di macchine, rende il collegamento evidente.

Perché ha senso mantenere la manovra compatibilmente con il bilancio dello Stato? Anche qui la risposta è facile: i budget di molte aziende quando è stata lanciata la prima erano già stati fatti, nel corso di quest’anno abbiamo compiuto un lavoro di awareness e molti hanno capito cosa è industria 4.0 solo da poco. Dunque, è importante dare un aiuto anche a queste realtà se l’obiettivo è di trainare il Paese. Non si può pensare in un anno di fare una trasformazione digitale dell’Italia. Quanto ai vincoli di bilancio, è vero, ci sono ma gli effetti di questa politica di spesa si riflettono anche sul bilancio dello Stato: se il Pil sale dallo 0,8% all’1,5%, vuol dire anche maggior gettito fiscale. Insomma c’è un effetto di compensazione importante».

 

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Il Politecnico di Milano
Lavorare anche sulle risorse umane

Taisch spiega che «in questa rivoluzione che non è solo tecnologica ma anche culturale, dobbiamo lavorare anche sulle persone, una delle due risorse, insieme alle macchine, che agiscono il cambiamento: il credito di imposta per la formazione è l’iperammortamento delle persone». Insomma, «il 4.0 non si esaurisce nel comprare una macchina e non è un progetto che si compie in un anno. Confido nel fatto che ci sono esempi, vedi la Sabatini, di misure che sono state rinnovate per un certo numero di anni. Ma è vero anche che queste innovazioni vanno fatte comunque da parte delle imprese che vogliono restare competitive, incentivi o no»

«Se non innovi non hai capito cosa sta succedendo nel mondo e non hai capito che questi investimenti sono lo strumento per recuperare la competitività che abbiamo perso nel mondo, il sistema produttivo che si basa solo sul costo delle manodopera ci rende perdenti rispetto ai Paesi che producono a basso costo. Industria 4.0 elimina il gap, gli incentivi ti danno un boost ma gli imprenditori devono assumersi anche la responsabilità in prima persona di agire: d’altronde si parla di 30 miliardi di liquidi nei conti correnti delle PMI, perché tenerli fermi e non usarli per sopravvivere?».

 

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Patrizio Bianchi, ordinario di Economia applicata alla Facoltà di Economiadell’Università degli Studi di Ferrara

Patrizio Bianchi: bisogna costruire un ecosistema 4.0

Senza considerare che, secondo Patrizio Bianchi, ordinario di Economia applicata alla Facoltà di Economia, già rettore dell’Università degli Studi di Ferrara, «gli incentivi sono un acceleratore, ma funzionano solo se non vengono estesi all’infinito: vanno sì rinnovati ma per un tempo determinato per non perdere mordente. Il massimo effetto lo si ha proprio quando gli investimenti si affollano nel periodo, limitato, in cui sono in vigore le agevolazioni. Deve dunque restare uno strumento temporaneo perché non perda l’accelerazione». Dunque, l’effetto boost vale solo se ha una scadenza che metta il sale sulla coda agli investitori e non consenta loro di rimandare a tempi migliori un cambiamento che invece è urgente.

Ci dovrebbero essere anche fondi UE

Secondo Bianchi, gli incentivi da soli non bastano. «Certamente vanno completati con uno strumento che favorisca startup e nuove imprese. E va spinto l’acceleratore sui centri di competenza che coinvolgono le università: altrimenti il rischio è che l’incentivo approfondisca il gap tra chi è in grado di investire e chi no. Il tema 4.0 è interessante: o lo consideriamo un problema di alcune imprese, quelle che fanno macchine per esempio, o è un problema di tutti e allora coinvolge tutti e diventa un ecosistema 4.0. Cioè qualcosa che parte a valle dalla scuola, che abbraccia l’università, i centri di competenza, la ricerca. Questo percorso ha senso solo così», sostiene Bianchi. Che in merito alla scarsità di risorse lancia un leggero strale all’Ue: «La rivoluzione 4.0 è globale, noi facciamo parte di un’Europa che eroga fondi e che dovrebbero essere molto più in convergenza».














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