Borsa italiana: verità, talvolta scomode, sui Pir e l’economia reale

Piazza Affari, Milano
Piazza Affari, Milano

di Luigi dell’Olio ♦ I Piani individuali di risparmio non sono la panacea per l’economia reale. Ma potrebbero offire tre vantaggi: evidenziano le mid cap, puntano su società innovative, spingono il risparmio a scommettere sull’industria

L’aria in Italia si è fatta frizzante attorno ai Piani individuali di risparmio. E sebbene sia davvero prematuro tirare la benché minima somma, qualche scenario, attorno a questa leva pensata per l’economia reale del Paese, si inizia a delineare. Industria Italiana, dopo aver affrontato l’argomento con Barbara Lunghi (Borsa Italiana) e Tommaso Corcos (Assogestioni) , questa volta ha interpellato alcuni esperti in gestioni patrimoniali e Nicola Borri, docente della Luiss. Ne è emerso un quadro più critico e complesso.







Per scoprire che se l’angolo di osservazione è quello dell’economia reale, non ci sono dubbi: i Piani individuali di risparmio (Pir) introdotti dall’ultima legge di Bilancio non porteranno benefici rilevanti alle piccole e medie imprese italiane, da tempo alle prese con i morsi del credit crunch. Se invece si guarda dall’ottica dei risparmiatori, gli incentivi pubblici possono raggiungere l’obiettivo di dirottare risorse verso l’industria. Un traguardo comunque non disprezzabile considerando i problemi di liquidità che affliggono soprattutto le società italiane a bassa capitalizzazione.

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Fasi di lavorazione nello stabilimento Sicor, Polo Meccatronica di Rovereto

Il credit crunch non è mai finito

Nonostante le rassicurazioni provenienti dal settore bancario, che vorrebbero terminata ormai da tempo la stagione del credit crunch, l’accesso al credito da parte delle Pmi italiane resta difficoltoso. Secondo uno studio di Unimpresa, basato su dati della Banca d’Italia, il totale dei crediti bancari è passato da 3.346,9 miliardi del dicembre 2013 a 3.300,8 miliardi dell’ottobre 2016. Un calo di ben 46 miliardi di euro che difficilmente verrà recuperato a breve. Perché la mole di 340 miliardi di non performing loans è ancora sul groppone dei bilanci bancari, che faticano a liberarsene, in modo da poter tornare alla normalità nell’attività di erogazione del credito.

E poi c’è un problema strutturale legato alle normative comunitarie introdotte dopo lo scoppio della grande crisi, che impongono indici di patrimonializzazione e regole di assorbimento del capitale sempre più stringenti, che limitano le operazioni a rischio come la concessione del credito. In questo contesto i 2 miliardi di risorse aggiuntive stimate dal Governo per quest’anno proprio grazie ai Pir non possono avere un effetto risolutivo e lo stesso vale se si considerano i 10 miliardi stimati nell’arco di un quinquennio.

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Interno dello stabilimento Euroconnection, Lessolo (To)

Lo strumento in sintesi

Le considerazioni da fare son ben diverse se invece si assume la prospettiva dell’investitore, così come quella delle aziende quotate. Partendo dall’analisi dello strumento, i Pir sono soluzioni che possono essere costruite da ciascun investitori attraverso investimenti nei più svariati strumenti finanziari – dalle azioni ai bond, dalle quote di fondi comuni a quelle gli ETF ( exchange-traded fund), solo per citare i più diffusi – con il vincolo di investire almeno il 70% in strumenti finanziari di aziende italiane quotate.

Il 30% di questa quota – quindi il 21% dell’investimento complessivo – deve essere composto da società non presenti nel Ftse-Mib (FTSE MIB è il principale indice di benchmark dei mercati azionari italiani. In soldoni, l’ indice del mercato azionario italiano che racchiude le “big 40” e cioè le 40 aziende a maggior capitalizzazione di Piazza Affari.), in modo da far affluire il denaro su aziende anche medio-piccole. Chi investe in un Pir e lo tiene in portafoglio per almeno cinque anni sarà esentato dal pagamento dell’aliquota fiscale (quella ordinaria è del 26%) sui guadagni ottenuti. Sempre che vengano generati. Il massimale agevolabile è di 30mila euro all’anno per un totale di 150mila nel quinquennio.

L’impatto sul mercato

Secondo uno studio di Intermonte Sim, entro il 2021 i Pir riusciranno a canalizzare 67,6 miliardi di euro, di cui 9,9 miliardi destinati all’equity delle società di media e piccola capitalizzazione. A questi numeri gli analisti sono arrivati prendendo in considerazione il numero degli italiani (6,5 milioni) che ha in portafoglio un fondo comune e ipotizzando un interesse verso il nuovo strumento da parte di un quarto di questa platea. A questo punto è stata stimata un’esposizione media verso l’equity nell’ordine del 15%.

Franco Gaudenti di Envent

Scarso impatto sull’Aim

Franco Gaudenti, che da Londra guida Envent (boutique di investment banking dedicata alle medie e piccole aziende italiane ed europee), vede nel nuovo strumento un modo per avvicinare l’Italia ai sistemi incentivanti già da tempo in vigore in vari Paesi europei, anche se altrove, avverte, «gli incentivi sono più importanti». Secondo Gaudenti, comunque, «i mezzi e le risorse finanziare che si mobiliteranno andranno su aziende con capitalizzazione medio alta e non su quelle small cap con capitalizzazioni tra 20 e 50 milioni di euro, che invece sono la spina dorsale della nostra economia come noto». Da qui una sollecitazione davvero rilevante: «Bisogna intendersi tra operatori, investitori e gestori di fondi sulla misura e/o parametri per classificare le aziende: non ha senso considerare realtà con market cap di 300/400, fino anche a 900 milioni di euro, come small mid cap».

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Raffaele Jerusalmi, C.E.O. di Borsa Italiana S.p.A.

In sostanza, per l’esperto – la cui valutazione sui Pir coincide con quella di Raffaele Jerusalmi, C.E.O. di Borsa Italiana S.p.A. – la misura farà affluire investimenti sulle aziende di una certa dimensione. Mentre l’attesa è limitata verso l’Aim, il listino di Borsa Italiana nato sull’esempio dell’omonimo inglese proprio con l’intento di avvicinare ai mercati finanziari le piccole imprese (con la previsione di un prospetto semplificato in sede di Ipo e di facilitazioni burocratiche sul versante dell’informativa agli investitori). Per far decollare questo listino, è la convinzione di Gaudenti, occorre piuttosto un intervento di sistema. «È auspicabile una forte iniziativa del Governo tramite Cassa Depositi e Prestiti, da affidare al Fondo Italiano: un fondo di fondi che investa in più veicoli di investimento in small cap capitali di lungo termine».

Andrea Garino, responsabile del servizio Advisory e sviluppo prodotti Arca Fondi

L’industria finanziaria si mobilita

Le case prodotto guardano con grande interesse al potenziale dei Pir. Arca Fondi ha annunciato il lancio di un prodotto di questo tipo, Arca Economia Reale Bilanciato Italia, «Si tratta di un fondo bilanciato che investe principalmente sul mercato italiano azionario e obbligazionario», spiega Andrea Garino, responsabile del servizio Advisory e sviluppo prodotti della Società di gestione di risparmio. «Il fondo si rivolge alla clientela con una moderata propensione al rischio e con un orizzonte temporale almeno di cinque anni».

La componente azionaria, che pesa circa il 30% del portafoglio, investe in aziende italiane di media capitalizzazione conosciute dal pubblico e leader dei mercati di riferimento. Discorso analogo si può fare per gli investimenti obbligazionari che sono orientati da un lato (circa il 50% del portafoglio) alle aziende italiane e dall’altro in titoli di stato europei (circa il 20% del portafoglio), tra cui spiccano BTp e Bund. La soglia d’ingresso è fissata a 100 euro, con commissioni annue di gestione dell’1,35% e commissione d’ingresso al 2%.

Lo stesso ha fatto Anima con Anima Crescita Italia, mentre almeno un’altra decina di operatori del settore si preparano a debuttare con prodotti di questo tipo entro la primavera. Non solo: è di pochi giorni fa l’annuncio che Fia Asset Management, società di gestione lussemburghese del gruppo Farad, debutterà con la linea di gestione patrimoniale in titoli (gpm) denominata Pir Expert. «Nel nostro caso l’offerta è rivolta alla clientela istituzionale, come banche ed assicurazioni, che intendono allargare la propria gamma di prodotti e servizi», spiega il presidente di Farad Group Marco Caldana. «In linea generale l’offerta dei Pir dovrebbe essere rivolta principalmente alla clientela facoltosa, con un patrimonio superiore ai 500 mila o al milione di euro, di età superiore ai 40 anni e con propensione al rischio medio-alta. Questa tipologia di investitori presenta generalmente un’ottica di investimento di medio lungo termine sia per sé stessa che per i propri figli».

Caldana è ottimista sul successo di questo strumento, anche se qualche osservatore ha lamentato i limiti del beneficio fiscale, che scatta solo in caso di guadagno rispetto al momento della sottoscrizione. In sostanza, se nei cinque anni il Pir perde valore, non si ha alcun vantaggio. Così qualcuno ha suggerito un’altra soluzione, come la deduzione dal reddito per chi investe in queste soluzioni, in modo da garantire un beneficio immediato. Caldana non la pensa allo stesso medio. «Il meccanismo dell’esenzione avrebbe rappresentato una soluzione bolsa. A nostro avviso l’esenzione totale applicata su capital gain, dividendi e tasse di successione (ovvero la legge approvata), può rappresentare una leva maggiore per invogliare il risparmiatore ad investire in un settore poco sviluppato ma dalle potenzialità enormi sia in termini di ritorni degli investimenti, che di sviluppo dell’intero settore/sistema paese».

Nicola Borri, economista della Luiss-Guido Carli

Borri (Luiss): «Occhio ai costi, possono mangiare tutti i guadagni»

Nicola Borri, economista della Luiss-Guido Carli di Roma, solleva più di un dubbio sulla volatilità dello strumento, almeno nell’ottica del piccolo investitore. Circa gli aspetti positivi nei Pir Borri dice: «Sì, l’incentivo fiscale consentirà di portare capitale a tante imprese, di dimensioni relativamente piccole, che proprio per questa ragione non possono accedere direttamente al mercato dei capitali, per esempio tramite l’emissione di obbligazioni o azioni. Visto il grande numero di imprese con queste caratteristiche in Italia, e la loro attuale difficoltà di reperimento di risorse, accentuata con la crisi delle banche, la spinta data dai Pir potrebbe avere effetti positivi per la crescita del nostro Paese».

Al docente della Luiss non sfuggono i limiti dello strumento: «I Pir finiranno per investire in titoli a bassa liquidità, per cui l’asimmetria informativa tra impresa e investitori sarà importante. Per questa ragione, due sono gli scenari più probabili. Il primo, in cui i Pir saranno veicoli molto rischiosi, ma investiranno in imprese che altrimenti non hanno, o quasi, accesso al mercato dei capitali. Il secondo, in cui i Pir investiranno in imprese, di dimensioni medio-piccole, che hanno già relazioni stabili con banche e altri istituti di credito. In questo secondo scenario, saranno veicoli molto meno rischiosi, ma investiranno in imprese che hanno molto meno bisogno di capitale, lasciando invece molte altre senza un soldo in tasca. Perché i Pir abbiano un effetto volano per la nostra economia dobbiamo auspicare che il primo scenario sia quello più praticato».

Alla domanda a quali risparmiatore siano adatti i Pir adatti e quali, invece, farebbero bene a starne alla larga Nicola Borri risponde: «Per qualsiasi tipo di investitore vale la regola della diversificazione. Così un eventuale investimento in Pir deve essere collocato nel contesto di un più ampio portafoglio. Detto questo, visti i rischi (di credito, di liquidità e di informazione) che comporta, è meglio che i piccoli risparmiatori stiano alla larga. Tra l’altro, i costi di gestione con grande probabilità riducono in maniera molto significativa il beneficio fiscale. Al contrario, investitori istituzionali, venture capitalist, investitori più sofisticati possono avere un interesse a investire in un settore che a fronte di maggiori rischi può garantire rendimenti che, di questi tempi, è molto difficile trovare sui mercati finanziari».














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