Più business con le associazioni di impresa

carlo-bagnolidi Carlo Bagnoli ♦  Uno spazio di confronto fra le aziende può produrre innovazione e valore economico. I casi Ily e Loccioni

L’assoluta eccezionalità del momento economico impone la creazione di uno spazio cognitivo “sconfinato” – InnovArea – capace di stimolare nel tessuto industriale italiano una nuova o rinnovata imprenditorialità che permetta innanzi tutto alle medie imprese di successo di attivare o rafforzare percorsi di crescita nei mercati internazionali dando vita a un innovativo modello di sviluppo imprenditoriale. Data la particolare vocazione imprenditoriale dell’Italia tale percorso deve essere valorizzato dalla nascita di nuove imprese incubate però all’ombra di medie imprese di successo (start up aziendali) e dalla creazione da parte delle ultime di ecosistemi di business (aggregazioni e reti di imprese).

L’evoluzione del contesto competitivo, accelerata dalla perdurante crisi economico-finanziaria, obbliga le imprese di piccole e medie dimensioni ad affrontare nuove sfide strategiche legate in particolare a:







  • la globalizzazione che aumenta l’intensità della competizione internazionale comportando una riorganizzazione delle catene del valore: dalle reti “corte” alle reti “lunghe”;
  • l’evoluzione tecnologicain primis digitale – che permette una sempre più rapida riconfigurazione delle catene del valore ma anche dell’architettura dei prodotti accorciandone la vita economica;
  • il cambiamento del comportamento dei consumatori che sono sempre più attenti a contenuti immateriali quali la creatività, il design e la sostenibilità ricercando significati ed esperienze nuove.

Per non uscire dal mercato molte imprese, soprattutto quelle di piccole dimensioni, dovranno innovare il loro modello di business in maniera radicale ridefinendo i clienti da servire, i prodotti da offrire e i processi da sviluppare.

Per assumere una leadership nel governo delle catene del valore globali le restanti imprese dovranno invece realizzare in modo quasi seriale start up aziendali e nel contempo ecosistemi di business.

Le start up aziendali sono nuove realtà imprenditoriali “protette” incubate cioè all’ombra di un’impresa consolidate ma “autonome” dall’ultima. La “protezione” permetterà a queste start up di sfruttare le risorse possedute dall’impresa consolidata, in primis la conoscenza, contribuendo nel contempo ad aumentarla. Questo perché la conoscenza è una risorsa a costi marginali di utilizzo pressoché nulli non essendoci rivalità nel consumo, ma addirittura si alimenta utilizzandola e condividendola. L’“indipendenza” permetterà a queste start up di sviluppare nuovi modelli di business partendo dal riconoscimento dei trend tecnologici che saranno incorporati nei futuri prodotti e quelli socio-economici che giustificheranno la loro produzione. Tutto ciò senza dover scontare le inerzie organizzative tipiche delle imprese consolidate quali fattori di lock-in (investimenti, competenze, ecc.), resistenze politiche, psicologiche e culturali al cambiamento o comunque il fatto che prodotti molto innovativi sono all’inizio richiesti solo da un numero limitato di clienti e risultano quindi poco interessanti per imprese consolidate soprattutto se di medie e grandi dimensioni. Le imprese consolidate dovranno avviare in modo seriale start up aziendali per l’impossibilità di prevedere quali modelli di business si dimostreranno vincenti. Una volta però identificato un business promettente, esse dovranno internalizzarlo per garantirne lo sviluppo con strutture e capacità manageriali provate e affermate. La mancanza delle ultime sono la principale causa di fallimento delle start up “tradizionali”.mani2

Gli ecosistemi di business sono comunità di imprese eterogenee per dimensioni e settori di appartenenza capaci di sviluppare e presidiare – cooperando e competendo – nuovi mercati, significati e tecnologie per creare prodotti innovativi in grado di soddisfare i bisogni manifesti e latenti dei clienti, nonché di evolvere per presidiare ulteriori nuovi mercati, significati e tecnologie. L’importanza degli ecosistemi di business è data dall’evidenza che la competizione a livello internazionale in tutti i settori si gioca sempre più tra sistemi di imprese che tra singole imprese. La creazione di un ecosistema di business dipende dalla volontà di un’impresa leader, solitamente di medie dimensioni perché non ha l’obiettivo di dominare l’intero ecosistema, di fungere da keystone, di condividere cioè le risorse possedute, in primis la conoscenza, con le altre imprese appartenenti all’ecosistema, solitamente di piccole dimensioni, permettendo alle ultime di specializzarsi diventando dei produttori di nicchia.

In particolare, il keystone solitamente agisce per semplificare le relazioni tra le imprese appartenenti all’ecosistema.

E questo attraverso la condivisione di piattaforme informatiche, organizzative e/o distributive avanzate, e per aumentarne l’efficienza produttiva attraverso la condivisione delle innovazioni sviluppate.

L’aspetto fondamentale è che il keystone rafforzando le imprese appartenenti all’ecosistema, aumenta la produttività e la robustezza dell’ultimo nonché la sua capacità di creare nuove nicchie produttive e quindi nel contempo rafforza se stesso.

Dato il contesto competitivo di riferimento e le limitate risorse pubbliche a disposizione occorre avviare politiche a sostegno dello sviluppo economico del territorio che abbiano il più ampio effetto leva possibile. In tal senso, continuare a sostenere gli investimenti in risorse tangibili (es. acquisizione di impianti) delle molte imprese, soprattutto di piccole o piccolissime dimensioni, che si vedono costrette a innovare il loro modello di business in maniera radicale, con tra l’altro remote probabilità di successo se non sono parte di un ecosistema di business, rappresenta una modalità di intervento inefficace. Occorre invece iniziare a sostenere gli investimenti in risorse intangibili di quelle poche imprese di medie dimensioni che presentano performance di successo o comunque potenzialità di performare con successo, se si candidano a fungere da keystone di un ecosistema di business (es. Illy) e se avviano in modo quasi seriale start up aziendali per occupare le nuove nicchie produttive che un ecosistema produttivo e robusto naturalmente crea (es. Loccioni). L’intervento sul patrimonio di conoscenze di tali medie imprese di successo consentirà di ricombinare in forme nuove fattori produttivi esistenti realizzando innovazioni nei loro modelli di business che avranno ricadute positive più che proporzionali anche sulle piccole e micro imprese appartenenti ai loro ecosistemi di business grazie agli effetti di rete, ma non solo. Qualora tali medie imprese e quindi, indirettamente, quelle piccole e micro appartenenti ai loro ecosistemi di business, riuscissero ad assumere una leadership nel governo di catene del valore globali sempre più estese, costituirebbero infatti dei casi italiani di successo (es. Eataly) che potrebbero essere “copiati” dalle altre imprese, anche se di piccole o piccolissime dimensioni, o almeno diffondere presso loro un messaggio positivo.

La sfida diventa quindi la (ri)creazione di uno spazio cognitivo capace di stimolare nel tessuto industriale veneto (e italiano).

Una nuova o rinnovata imprenditorialità che permetta innanzi tutto alle medie imprese di successo di attivare o rafforzare percorsi di crescita nei mercati internazionali dando vita a un innovativo modello di sviluppo imprenditoriale. Uno spazio cognitivo “sconfinato” in cui le imprese riescano a confrontarsi “creativamente” per sviluppare progetti comuni d’innovazione strategica che abbiano come fine ultimo la crescita quantitativa, ma come premessa iniziale la crescita qualitativa, ossia la crescita in termini di conoscenze possedute e di capacità di gestione delle stesse. Questo spazio cognitivo è stato nel passato garantito dalla continua interazione fisica con i fornitori, i concorrenti e i clienti resa possibile dalla loro contiguità geografica. L’ultima ha inoltre permesso la costruzione di relazioni di fiducia anche rispetto a soggetti diversi da quelli citati quali, in primis, i finanziatori, permettendo alle piccole e medie imprese di integrarsi secondo diverse modalità quali quelle distrettuali e, più in generale, di partecipare ai processi d’innovazione. La sfida diventa quindi rendere possibile la ricostruzione e l’ampliamento dello spazio cognitivo sopra descritto con una prospettiva che coniughi efficacemente la componente locale con quella globale (sconfinamento geografico) e che renda possibile anche l’inclusione di soggetti di tipo non operativo quali, in primis, i parchi scientifici e le università (sconfinamento settoriale).turtle-factory

La creazione e animazione di spazi cognitivi “sconfinati” è resa difficile dal fatto che le logiche, i tempi e soprattutto i linguaggi diversi che caratterizzano il mondo della ricerca e quello dell’impresa creano forti difficoltà di comunicazione e interazione. D’altronde, se il primo problema da superare per l’animazione di questi “terreni d’incontro” riguarda la diversità di linguaggio e quindi d’identità che caratterizza i soggetti citati, essa è anche la motivazione che ne rende particolarmente interessante l’incontro. Per un’impresa parlare con un suo cliente o un suo fornitore rispetto che con un’università è tanto più facile quanto meno potenzialmente interessante. Per questo le diversità a livello di linguaggio e quindi d’identità, vanno mantenute. I tentativi di avvicinare i tempi, le logiche e i linguaggi delle università a quelli delle imprese sono gravi errori in quanto, diminuendo le diversità intercorrenti tra questi due mondi, si diminuisce anche il potenziale d’innovazione che può derivare dalla loro connessione. La sfida è quindi costruire un ponte tra il sistema delle imprese e quello delle università senza che tali sistemi perdano la loro diversa identità. La sfida è attivare un processo di “sconfinamento” che è qualcosa lontano dalla tradizionale mediazione tra università e imprese operata dagli enti preposti al trasferimento tecnologico. Nel collegamento tra il mondo della ricerca e quello dell’impresa la parola d’ordine non deve così essere più “trasferimento” di conoscenza, ma “traduzione” della conoscenza sia scientifica che pratica per attivare dei fenomeni di co-generazione di conoscenza competitiva.

Se nella traduzione della conoscenza scientifica un ruolo attivo lo devono continuare ad assumere i parchi scientifici, in quella della conoscenza pratica lo devono invece iniziare ad assumere le associazioni di imprese. Entrambi questi soggetti sono così chiamati a ripensare il loro modo di funzionare, anche per connettere le università e le imprese al mondo sia politico che finanziario che parlano “linguaggi” ancora diversi, sebbene in prospettiva sempre più simili se il policy maker aggiungerà, come auspicabile, alla tradizionale funzione di regolazione e controllo anche quella di “venture capitalist”.

Anche le università e le imprese sono comunque chiamate a ripensare il loro modo di funzionare.

Se non altro per valorizzare quella preziosa risorsa intellettuale ed operativa costituita dai migliori studenti universitari durante i loro progetti di stage ed elaborazione delle tesi di laurea. La loro competente e stabile presenza in impresa li rendono infatti, se debitamente preparati e seguiti, una “cinghia di trasmissione” fra la domanda e l’offerta di innovazione potenzialmente senza controindicazioni in quanto in grado di favorire il superamento delle difficoltà di carattere strutturale – in primis la mancanza di tempo – e culturale che caratterizzano soprattutto le piccole e medie imprese. Per l’università, in particolare, si apre definitivamente una “terza missione” oltre alla ricerca e alla didattica, rappresentata dall’eliminazione di quello che può essere definito il tradizionale “divide” università-impresa.

L’enfasi posta sull’università dipende dalla convinzione dello scrivente che essa rappresenti l’ultimo baluardo da contrapporre allo tzunami economico-finanziario che da troppo tempo si sta abbattendo sul nostro territorio e del quale l’onda più grande deve purtroppo forse ancora arrivare. Per questo più delle altre istituzioni pubbliche e private, l’università deve mettersi in discussione per riuscire ad aggregare tutte le energie positive del paese, in primis quelle imprenditoriali, al fine di creare quello spazio cognitivo di rinascita economico e sociale che si può battezzare “InnovArea”.impresa


Illy

È un gruppo imprenditoriale triestino di medie dimensioni che ha saputo affermarsi su scala globale configurando in modo originale e in logica ecosistemica il proprio modello di business. Questo costituisce a oggi una valida alternativa, sicuramente più equa e sostenibile, al modello delle multinazionali del caffè. Nel 2011 è stata la prima impresa al mondo ad aver ottenuto da DNV la certificazione di “responsible supply chain”. Dell’ecosistema di Illy fanno parte migliaia di piccole e micro imprese produttrici di caffè in Brasile, non vincolati da alcun accordo di fornitura. Ai produttori in grado di fornire caffè verde di qualità Illy riconosce un markup di prezzo rispetto alla quotazioni di mercato. Per facilitare la condivisione della conoscenza e la diffusione della cultura del caffè espresso di qualità, Illy ha inoltre istituito in Brasile un Club e una Università del Caffè per i produttori locali. Sul versante degli stakeholder di valle, Illy organizza corsi di formazione per i baristi e anche a loro ha riservato una apposita Università a Trieste. È stata una delle fondatrici del Distretto del caffè della provincia di Trieste (Trieste Coffee Cluster) e del Master Universitario in Economia e Scienze del caffè promosso e organizzato in collaborazione con l’Università di Trieste, l’Università di Udine, la SISSA, l’Area Science Park. In questo modo Illy sta proponendo un proprio concetto di lifestyle italiano strettamente connesso ed intrecciato alla cultura del caffè e del territorio triestino che da sempre valorizza “l’unione tra il buone e il bello”.


Loccioni

È un gruppo industriale marchigiano di medie dimensioni riconosciuta a livello internazionale come una sartoria tecnologica per l’innovazione nei sistemi di misurazione e controllo. Nel tempo ha adottato la logica dei mercati trasversali, ricombinando le competenze maturate ‘on demand’ in funzione del presidio di nuove nicchie di mercato ad alto contenuto tecnologico. Del Gruppo fa parte Summa, una società di servizi interna, la cui mission consiste nel “pensare e progettare” lo sviluppo delle imprese del Gruppo nel medio-lungo periodo, con un orizzonte cioè di 5-10 anni. Loccioni ha elevato il gioco a modello di gestione organizzativa grazie alla collaborazione con Hisao Hosoe, tanto da definirsi una ‘play factory’. Da sempre ha creduto nel valore delle reti da coltivare a livello sia locale che internazionale. Oggi può vantare infatti solide relazioni con i grandi gruppi mondiali appartenenti ai principali settori industriali e collaborazioni con prestigiosi e qualificati centri di ricerca ed Università. Con la Facoltà di Economia “G. Fuà” dell’Università di Ancona lanciato nel 2006 un laboratorio di business marketing. L’aspetto che maggiormente colpisce di Loccioni è l’approccio ecosistemico con il quale ha lanciato negli anni circa 80 start-up con propri dipendenti e talenti locali al fine di valorizzare il territorio e creare una condivisione del valore. In questo modo Loccioni sta proponendo un proprio concetto di lifestyle italiano strettamente connesso ed intrecciato alla cultura della creatività e del territorio marchigiano che da sempre valorizza il “fare”.














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