Da EY l’accademia Industry 4.0 che parla italiano

di Laura Magna ♦ La propone Ernst & Young, società di consulenza di livello mondiale, con partners come Atos, Cisco, Rockwell Automation e SAS. Obiettivo diffondere la cultura della digitalizzazione nelle Pmi impegnate nella trasformazione produttiva nel nostro Paese

Un’accademia per alimentare le competenze digitali di imprenditori e manager e per contribuire alla loro trasformazione in motore del cambiamento in chiave 4.0. È targata EY, leader mondiale nei servizi professionali di revisione e organizzazione contabile, assistenza fiscale e legale, transaction e consulenza. Il tutto con la collaborazione di alcuni champions dell’automazione, segnatamente Atos, Cisco, Rockwell Automation e SAS.

Un problema tutto italiano: la mancanza delle competenze giuste

La quarta rivoluzione industriale, che finora è stata cavalcata in Italia più che altro in termini di acquisto di macchine industriali grazie agli incentivi dell’iper e del superammortamento, nel nostro Paese è ancora in una fase del tutto embrionale. Industria Italiana ne ha parlato diverse volte, per esempio qui : il nostro Paese, che è la seconda manifattura d’Europa e la sesta al mondo, soffre di una cronica carenza di professionalità in ambito digitale. Il dato è drammatico: per l’ OCSE (2015) nel 2011-12 l’Italia è risultato il paese con la più alta percentuale (33% circa) di skill mismatch; si stima che se riducessimo tale disallineamento tra le competenze fino al livello del Paese OCSE con il valore più basso in ciascun settore di attività, la produttività del lavoro in Italia crescerebbe del 10%.







Secondo il rapporto Strategia per le Competenze dell’Italia, «più alti livelli di competenze contribuiranno a una crescita più forte e più stabile solo se le imprese saranno capaci di usare pienamente ed efficacemente le competenze a loro disposizione. Attualmente l’Italia è intrappolata in un low-skills equilibrium, un basso livello di competenze generalizzato: una situazione in cui la scarsa offerta di competenze è accompagnata da una debole domanda da parte delle imprese. Accanto a molte imprese, relativamente grandi, che competono con successo sul mercato globale, ve ne sono tante altre che operano con un management dotato di scarse competenze e lavoratori con livelli di produttività più bassi. Modesti livelli di skills dei managers e dei lavoratori si combinano con bassi investimenti in tecnologie che richiedono alte competenze dei lavoratori e con scarsa adozione di pratiche di lavoro che ne migliorino la produttività».

 

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Secondo i dati OCSE l’Italia è risultato il paese con la più alta percentuale (33% circa) di skill mismatch
La direzione indicata da Impresa 4.0

A dar retta a uno studio della School of Management del Politecnico di Milano, e di cui ci occuperemo più avanti, i cosiddetti soft skills saranno in in primo piano nell’immediato futuro, e ben 100 nuove hard skills sono fin da ora necessarie per lavorare nell’Industria 4.0. Vedi a proposito Industria Italiana qui. L’impostazione del secondo piano governativo dedicato alla quarta rivoluzione industriale, Impresa 4.0, testimonia l’attenzione al tema delle competenze: si sostanzia di quello che è stato definito come “iperammortamento delle persone”, ovvero il credito di imposta del 40% per le spese sostenute dalle imprese in formazione 4.0 e attraverso cospicui finanziamenti agli ITS, che dovranno fornire al mercato le figure professionali che oggi sono carenti. Nel frattempo, nel 2018 è stata finalmente avviata la rete dei Competenze Center, i centri di riferimento per il trasferimento tecnologico da Università a imprese che coadiuverà la rete degli Innovation Hub, altre strutture al servizio delle Pmi per la diffusione dell’innovazione nelle organizzazioni.

 

Maurizio Milan, Director di EY

La EY Digital Academy

La EY Digital Academy  si inserisce in questo fermento  e si pone l’obiettivo di diffondere la cultura della digitalizzazione presso chi decide nelle imprese. «Ci rivolgiamo primariamente alle Pmi, e la formazione che offriamo è tagliata sul profilo di un imprenditore o manager che ha poco tempo e non ha necessariamente conoscenze di base: tutto è semplificato, tradotto in italiano, gli acronimi e i tecnicismi esplicitati, tutto è fruibile online e ridotto in pillole; l’informazione è attualizzata e aggiornata in tempo reale», spiega a Industria Italiana Maurizio Milan, Director di EY. «Questa piattaforma di formazione continua è uno strumento unico, che mette a fattor comune le esperienze e competenze di primarie aziende tecnologiche». Combinando competenze ed esperienza delle aziende coinvolte, l’Academy si pone l’obiettivo di creare una community al servizio di imprenditori e top manager e accrescere la cultura digitale delle imprese del nostro Paese, necessaria per valorizzare gli investimenti fatti in ottica Impresa 4.0.

La necessità di una cultura digitale  allargata

Le aziende non hanno solo bisogno di professionalità esperte di Ict (+56% la domanda di nuovi profili digitali), ma necessitano anche di persone che combinino la conoscenza digitale con skill di tipo relazionale e comportamentale e con competenze come la capacità di immaginare il cambiamento e di contestualizzarlo, o quella di risolvere problemi complessi attraverso gli strumenti digitali. «Questo vale in primis per imprenditori e livelli dirigenziali, i cui ruoli e competenze sono progressivamente cambiati per effetto dell’avvento del digitale e che spesso, diversamente dai giovani nativi digitali, si avvicinano ora alle nuove tecnologie. I manager sono consapevoli della necessità di approfondire le proprie conoscenze: 7 manager su 10 riconoscono di essere carenti nelle competenze digitali e l’80% di essi ritiene che questa lacuna sia il principale impedimento allo sviluppo dei progetti, ad esempio di cybersecurity. Solo il 27% degli executive ritiene di possedere le skill tecnologiche necessarie per attuare la trasformazione digitale», dice Milan citando dati in suo possesso.

 

Donato Iacovone, CEO EY Italia, EY Managing Partner Italia, Spagna e Portogallo, nel corso dell’EY Strategic Growth Forum, Roma, 16 aprile 2015. ANSA/ VINCENZO TERSIGNI
Un progetto di education su competenze digitali e in generale sull’innovazione

E che esista uno strumento fornito da un brand come EY è una forma di garanzia importante in termini di qualità dei servizi fruiti. «L’Academy è un grande progetto che EY insieme ai partner ha pensato osservando il noto gap tra quella che è l’offerta delle Università e quello che richiede il mondo del lavoro: i manager stessi, come testimoniano i dati, ne sono consapevoli e vivono questo mismatch in particolare sul fronte del digitale», spiega il Director di EY. «Il secondo problema a cui i manager si trovavano di fronte è che contenuti di qualità in italiano, che siano comprensibili ai più, non esistevano finora: noi abbiamo costruito corsi e contenuti in cui abbiamo semplificato il più possibile, dagli acronimi inglesi al linguaggio tecnico: ci rivolgiamo sicuramente anche alla corporate, ma lì troviamo un contesto più maturo, spesso caratterizzato da legami preesistenti con il mondo accademico e con competenze già sviluppate.»

«Il target è in effetti la Pmi, a cui vogliamo offrire un progetto di education su competenze digitali e in generale sull’innovazione. Non è dedicata a un singolo settore, ma trasversale: pensiamo che ci siano alcuni elementi che riguardano le tematiche di alfabetizzazione che vanno bene sia per le manifatture sia per le imprese di servizi. Poi, ci saranno contenuti specifici molto verticali in base alle caratteristiche dei singoli settori». La formazione, come già accennato, sarà fruita totalmente su piattaforma, il che non implica che sarà autosomministrata. «Si tratta di una grande vetrina in cui le persone vengono indirizzate attraverso domande di assessment su quali sono le competenze, e portate sul percorso per loro più utile. Nelle prime pagine si trovano pillole veloci su macrocompetenze e poi il tragitto si snoda in tanti piccoli momenti di apprendimento. Dopo il lancio, ci sarà una fase due, con opportunità di fare webinairs, e un’interazione più diretta con l’interlocutore».

 

Milan: l’Academy si pone l’obiettivo di creare una community al servizio di imprenditori e top manager e accrescere la cultura digitale delle imprese del nostro Paese

 

Come funziona l’Academy di EY. Il ruolo dei partners

Un ulteriore elemento di novità è il feedback che alla piattaforma i fruitori restituiranno in termini di domande specifiche e interessi maggiori. A disposizione dei fruitori ci sarà costantemente una community di esperti, che forniranno oltre alla conoscenza digitale, anche skills di tipo relazionale e comportamentale, necessari a risolvere problemi complessi attraverso nuovi strumenti. «Quello che già differenzia il nostro prodotto dal resto che si può trovare sul web è che nella produzione delle pillole mettiamo in campo l’esperienza dei clienti finali: quando si parla di robotica, AI, blockchain non vengono fatte lezioni teoriche ma cerchiamo già dai primi live di raccontare tutto questo nella logica della nostra esperienza e di quella dei nostri partner, colossi come Cisco, Sas, Rockwell. Queste aziende non hanno solo offerto il proprio brand o una sponsorship, ma hanno coprogettato con noi i contenuti formativi. La piattaforma è molto aperta, abbiamo una sorta di palinsesto dove prevediamo il rilascio di contenuti settimanalmente, ma attendiamo i feedback del mercato per fare un work in progress continuo. Il cluster di brand è una segnale che si tratti di una proposta attiva, che mira dare una spinta molto forte rispetto al gap di queste competenze», dice Milan.

Il Director di EY sottolinea come la grande sfida del futuro delle nostre imprese si gioca proprio sulla formazione. «C’è stata grandissima attenzione sui macchinari, ma è molto forte il tema delle competenze che servono per utilizzare queste nuove tecnologie. Non solo per i giovani che entrano nel mondo del lavoro, ma per coloro che già ci sono, quindi anche e soprattutto in termini di reskill, per persone che vivono esperienze importanti in azienda ma per cui la robotica cambia i modi di lavorare. Vorremmo stare al loro fianco su competenze innovative e metacompetenze e contribuire a diffondere la cultura digitale. L’Academy non è solo e non tanto un prodotto ma contiene un valore di spinta del sistema Paese in cui crediamo profondamente. EY fa diverse iniziative sul territorio, tra cui il Manufacturing Lab, durante il quale abbiamo incontrato 200 imprenditori, provenienti dalla Puglia al Friuli, imprenditori che ci hanno lanciato un grido di allarme: l’introduzione necessaria di robotica avanzata cambia le linee produttive e il tema forte non è tanto quali macchinari acquistare ma la capacità di usarli. gli imprenditori si sentono isolati e pur avendo la capacità di investire, non sanno dove reperire le competenze giuste che siano certificate».

 

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Fabrizio Scovenna, A.D. Rockwell e presidente ANIE Automazione

Il contributo delle aziende IT: Rockwell Automation Italia

Il percorso offerto con la EY Academy forma e informa quotidianamente di quello che accade nel digitale e avrà una logica di pricing incrementale che tiene conto del contesto a cui si rivolge, che è, ancora una volta, quello delle Pmi, quindi sarà tarato sul loro potere di spesa, e immerso nel forte valore sociale di cui Milan parla. Il contributo delle aziende IT è stato importante. Ne abbiamo parlato con uno dei protagonisti, Fabrizio Scovenna, country director di Rockwell Automation Italia. «Siamo parte della omonima multinazionale Usa che è tra i leader al mondo nell’automazione industriale, con una gamma completa di soluzioni sia hardware sia software. Il nostro fatturato globale ammonta a 6,5 miliardi di dollari, mentre il giro di affari in Italia, dove impieghiamo 240 persone, è di 200 milioni», dice Scovenna. I clienti di Rockwell sono in particolare aziende del food and beverage e del pharma, «con digressioni negli ambienti di processo, quindi metallo e oil and gas. Abbiamo come bacino di utenza sia il cliente finale, il produttore, sia il costruttore di macchine.»

«Offriamo soluzioni alla Pmi che che deve digitalizzare il proprio impianto produttivo o upgradare il livello attuale di processi e automazione per poter far sì che processo e trasformazione digitale si concretizzi nell’azienda e in più siti con l’obiettivo di connette sia le macchine sia i reparti sia le diverse unità produttive. E anche ai costruttori: strumenti per trasformare le macchine in smart machine, che devono permettere agli utilizzatori finali di inserirle all’interno delle linee produttive per dare vita a una smart factory. Partiamo dall’assessment, passiamo dalla valutazione dello stato dell’arte, per attivare una consulenza sul tipo di intervento da effettuare, legandolo alla strategia del cliente, definendo le priorità».

Gli interventi di trasformazione digitale devono essere eseguiti in maniera graduale e modulare, con azioni singole inserite in un approccio organico. «Si deve avere una visione chiara del quadro completo, e in questo l’Academy può fare molto, ma si deve dipingere un pezzettino per volta in un percorso modulare ma continuo. Fare investimenti faraonici per compiere la rivoluzione in un giorno è controproducente: esiste un rischio rigetto in presenza di un processo troppo complesso che la struttura non ha ancora metabolizzato: inoltre, parliamo di un processo che non può finire, in un contesto globale competitivo dinamico in cui prevedere oggi cosa succederà tra tre anni è praticamente impossibile».

 

Scovenna: nel corso ci sarà anche un livello avanzato diretto ai tecnici

In aumento la conoscenza digitale tra gli imprenditori

Secondo Scovenna la condizione di conoscenza del 4.0 che hanno oggi gli imprenditori è molto migliorata rispetto a un anno fa. «Non è solo una mia impressione ma un dato contenuto nei numeri: a fine 2016 secondo un’indagine condotta dal Polimi, circa il 40% degli imprenditori intervistati non aveva neppure preso in considerazione il concetto della digitalizzazione. A fine 2017 la quota era scesa all’8%. Qualcosa si è mosso, sicuramente in termini di investimenti in beni strumentali: parliamo di una spesa di 80 miliardi, del 13% di crescita anno su anno nella vendita delle macchine. L’Ucimu, che rappresenta i costruttori ha segnalato che si tratta del record di tutti i tempi. E il segnale davvero positivo è che il movimento ha coinvolto tutti, non solo le grandi aziende, ma anche le Pmi, anche se sono ancora più indietro. Il 70% delle grandi imprese ha investito in macchinari, contro il 20% delle Pmi. Anche per questo ritardo un’azione di awareness è necessaria: la Digital Academy non è sostituiva di un corso universitario, ma ha l’obiettivo di far aumentare la percezione proprio nelle piccole e medie imprese spiegando perché dovrebbe essere necessario fare questa trasformazione. Mira soprattutto a far aumentare la percezione della necessità di digitalizzarsi. Anche alla luce del fatto che le competenze digitali non sono al top nelle nostre aziende», dice Scovenna.

L’Academy è anche uno strumento per misurare la maturità digitale delle organizzazioni

La EY Digital Academy dal suo punto di vista può contribuire alla formazione di figure interne e rappresenta anche uno strumento per misurare la maturità digitale delle organizzazioni. «Abbiamo elaborato un tool di autovalutazione che serve per classificare le imprese dal livello zero a quello champion. La parte conclusiva consiste nel contribuire a sviluppare una visione digitale che permetta all’imprenditore di arrivare a definire la strategia digitale. L’ambizione è quella di fornire uno strumento che consenta di intraprendere una roadmap, un percorso di implementazione di quello che serve dando agilità all’azienda per poter fare questi cambiamenti che fino a ieri erano ingessati. E se il corso è diretto in primo luogo al manager che deve essere l’elemento propulsore di tutto il percorso, ci sarà anche un livello avanzato dedicato ai tecnici», anticipa Scovenna. Che dal canto suo, spera di aver fornito alle aziende «la consapevolezza di quali risultati si ottengono con la trasformazione digitale: il processo digitale è prioritario, ma se successivamente non si trasformano anche prodotti o servizi in digitale, si rischia comunque di restare indietro. L’ambizione di Rockwell è offire una cultura tale che consenta all’imprenditore di inventare modelli di business innovativi che ieri non era in grado neppure di immaginare in assenza della digitalizzazione. Il tutto generando una comunità di scambio che si autoalimenta e all’interno della quale nascono nuovi leader in nuovi mercato».














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