La vera trasformazione: non digitalizzare lo spreco

Industry 4.0

di Lucio Lamberti ♦ Le nuovi, potenti, tecnologie non servono a nulla senza innovazioni aziendali e nuovi modelli di business. Ecco come fare per creare valore. Se ne parla al convegno “Made in Italy, Made in Digital” organizzato da Sap Italia il 10 maggio a Torino

L’ autore è Professore Associato di Marketing Multicanale, Politecnico di Milano – School of Management

Industria 4.0 e l’incombente Impresa 4.0 hanno avuto due meriti innegabili: da un lato, hanno diffuso una vera politica economica volta a garantire risorse alle imprese che vogliono cavalcare la ripresa; dall’altro, hanno aperto la strada a un dibattito sulla trasformazione in chiave digitale delle imprese, per far fronte alle sfide del mercato. Il successo delle iniziative è ben cristallizzato dalla proliferazione di interventi, dibattiti, incontri, momenti di riflessione che le Università, le imprese, le Associazioni di Categoria e le Istituzioni stanno organizzando da almeno due anni. Dibattiti interessanti, che hanno facilitato l’avvicinamento dell’industria e delle imprese del nostro Paese alle misure di incentivazione dell’innovazione, ma che sarebbero occasioni in parte mancate se non fossero contestualizzate in un quadro più ampio di reale trasformazione del modello di business delle imprese.







 

Lucio Lamberti
Lucio Lamberti, Professore Associato di Marketing Multicanale, Politecnico di Milano – School of Management

Verso un nuovo paradigma industriale

La crisi che ha interessato l’intero sistema economico a cavallo della prima decade del secolo, come preventivato da alcuni analisti illuminati, non è stata solo o tanto un rallentamento dell’economia, ma una transizione sistemica verso un nuovo paradigma industriale, da una logica di fornitura di prodotti e servizi correlati efficiente ed efficace, a una logica di creazione di valore per il cliente. Si tratta, in buona sostanza, dell’affermazione del principio, tanto caro alle filosofie just in time e lean, che un prodotto o un servizio hanno un valore diverso dalla mera somma del valore dei fattori produttivi solo nel momento in cui sono in grado di veicolare un’utilità (in senso lato) percepita al cliente.

Non è un cambiamento da poco a livello culturale, perché sottende l’idea che i prodotti siano piattaforme di veicolazione del valore che non hanno un valore in sé, ma che determinano il proprio valore sulla base di quanto il cliente sia effettivamente in grado di trarne un beneficio. Nel 2004, un articolo pubblicato sul Journal of Marketing da Stephen Vargo e Robert Lusch preconizzava l’evoluzione dei sistemi di mercato da una logica centrata sui prodotti a una logica dominata dal concetto di servizio, ovvero di piattaforma co-creativa di collaborazione tra cliente e sistema di offerta, in cui i prodotti assumono il ruolo di risorsa operanda (ovvero su cui operare) mentre la risorsa operante (ovvero quella che realmente opera e crea il valore) diventano i servizi, ovvero l’utilità che gli artefatti sono in grado di garantire a chi ne gode.

Questo principio si può facilmente osservare nelle evoluzioni dei modelli di business caratterizzanti la nostra era, dalla cosiddetta sharing economy alla servitizzazione (software-as-a-service, cloud computing), fino all’internet of things, che sublima il concetto rendendo non tanto l’oggetto quanto le informazioni che l’oggetto può inviare e ricevere il vero focus della creazione di valore. Questa evoluzione, a ben pensarci, è quanto di più naturale possa essere concepito: oltre cinquant’anni fa, il prof. Levitt dell’Harvard Business School coniava, introducendo il cosiddetto marketing concept, la massima secondo cui “nessuno vuole punte di trapano da un quarto di pollice, tutti vogliono buchi da un quarto di pollice nel muro”. E’ questa, quindi, la sfida di business cui le imprese devono raccogliere: servitizzare, concepire lo scambio di valore in una logica intangibile, abilitata da prodotti tangibili.

 

IoT

 

Un cambiamento culturale

E non si tratta di slogan, ma di un vero cambiamento culturale: se il valore è definito dal cliente ed è intangibile, dobbiamo concludere che non esistono due clienti uguali, e quindi non esistono due erogazioni di valore uguale. Quindi i prodotti, in quanto componente solo parzialmente mutabile dell’offerta, non possono essere il motivo principale per cui sono scelti. Al contempo, la produzione di questa complessità, di questa variabilità di output introduce tanto una necessità di revisione dei processi quanto dei potenziali extra-costi per erogare diversità. Ne consegue che non tutti i clienti possono “meritarsi” tale complessità (ovvero, vale la pena offrire unicità al cliente solo se il cliente è in grado di remunerarla opportunamente), e quindi l’impresa deve sviluppare la capacità di misurare il valore che può essere generato dall’interazione con il cliente.

Se è vero che interventi come Industria 4.0 hanno avuto l’enorme merito di generare un dibattito sull’innovazione a livello industriale per gestire la complessità produttiva, è altrettanto vero, però, che considerarla solo come un fenomeno di innovazione in chiave digitale dei processi produttivi, lungi dal creare competitività, rischia di creare costi inutili e barriere alla vera trasformazione, ovvero quella di business. Nell’ambito di un recente evento con imprenditori del comparto metalmeccanico mi è capitato di interagire con un imprenditore che raccontava come un suo manager abbia commissionato uno studio di fattibilità di un sistema di ottimizzazione dei lotti economici di fornitura in ragione del fatto che il nuovo sistema gestionale adottato aveva la possibilità di integrare queste informazioni per sviluppare piani di approvvigionamenti immediatamente allineati con i fornitori.

Tutt’altro che una cattiva idea, se non fosse che l’impresa aveva intrapreso circa un anno e mezzo prima un percorso di evoluzione verso il lean e il just in time che, traguardando l’obiettivo “zero scorte” rendeva strutturalmente inutile lo sforzo. Credo che questo esempio sia un’ottima metafora dei rischi che si corrono con un’interpretazione troppo legata al concetto di “innovazione digitale” di Industria 4.0: perseguire ottimizzazioni locali perdendo di vista il concetto di ottimo globale, introdurre innovazione inutile solo perché “è disponibile e tecnicamente fattibile” e un domani potrebbe tornare comoda (mentre, in realtà, rischia principalmente di creare costi nascosti che vincolano le evoluzioni future) e, soprattutto digitalizzare lo spreco. Per digitalizzazione dello spreco intendo l’investire risorse per dotarsi di sistemi e tecnologie che ricalcano i processi as-is senza interrogarsi sulla vera domanda di fondo, ovvero “vale davvero la pena di lavorare in questo modo?”.

 

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                                                Made in Italy, Made in Digital

Il professor Lucio Lamberti sarà tra gli speakers del prossimo appuntamento, a Torino, del Road Show organizzato da Sap Italia proprio sui temi trattati nell’articolo. Cinque tappe in cinque città italiane, un viaggio alla scoperta dell’esperienza delle imprese impegnate nella trasformazione. L’iniziativa di confronto e dibattito organizzata dalla software house europea leader nel software gestionale vuole fare il punto  sul livello di digitalizzazione raggiunto dalle imprese manifatturiere del territorio e portare a esempio le esperienze finora compiute a tutte le aziende che vogliono fare delle tecnologie digitali il nuovo alleato nella trasformazione dei propri processi produttivi. Con un focus localizzato volta per volta sul sistema produttivo dei diversi distretti toccati dall’ iniziativa l’obbiettivo è di informare sulle tecnologie abilitanti che le imprese hanno adottato nel loro percorso di trasformazione digitale verso nuovi livelli di competitività ed efficienza.

A Torino il 10 maggio con l’evento “Made in Italy, Made in Digital”, SAP Italia porterà a conoscere il livello di digitalizzazione delle imprese manifatturiere piemontesi e a scoprire quali tecnologie abilitanti hanno adottato nel loro percorso di trasformazione digitale verso nuovi livelli di competitività ed efficienza. Il convegno si svolgerà a Villa Sassi,  in collaborazione con la School of Management del Politecnico di Milano e con il Dipartimento di Ingegneria Gestionale e Della Produzione del Politecnico di Torino. Tra i relatori, oltre al professor Lamberti, Paolo Landoni, Professore di Imprenditorialità e Innovazione al Politecnico di Torino, Giuseppe Leonardo Pinto Ricercatore Politecnico di Torino, Extended Faculty Member MIP School of Management Politecnico di Milano, e Adriano Ceccherini General Business Sales Director SAP Italia.

Le prossime tappe: il 24 maggio sarà la volta di Verona, poi Bologna il 7 giugno, per concludere con Napoli il 3 luglio. Per ogni appuntamento una giornata intera di dibattito, confronto e scambio di informazioni con gli esperti di Sap e i suoi partners e di   esperti della Scuola di Management del Politecnico di Milano e di altre Università.

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Concentrarsi sul tema della trasformazione delle imprese

Quindi, tenendone tutto il buono (ed è tanto), dimentichiamoci per un momento del concetto di 4.0, e concentriamoci sul tema della trasformazione delle imprese: evolvere in chiave centrata sul servizio e sul cliente è un processo articolato che parte dagli uomini (i clienti sono esseri umani, le imprese sono gruppi di esseri umani, e i servizi sono definiti dai clienti, individui o imprese che siano) e che ha come fine creare più valore, che non significa necessariamente fare meglio quello che stiamo facendo ora. E non significa neppure implementare processi “ideali”: l’implementazione di processi “perfetti” tende a essere una battaglia lunga e tendenzialmente destinata alla sconfitta, se non è accompagnata da un percorso di gestione del cambiamento che abbracci le virtù e le debolezze delle persone coinvolte nel processo.

Basti pensare che Toyota prevede di essere in grado di implementare appieno i principi di integrazione, condivisione ed eccellenza flessibile portati dalla cosiddetta Quarta rivoluzione Industriale non prima del 2025. Non possiamo dimenticare che le tecnologie digitali sono il mezzo attraverso il quale raggiungere il fine, e nulla più di questo. Le rivoluzioni industriali sono rivoluzioni nel modello di business, non rivoluzioni tecnologiche. Anzi, le rivoluzioni tecnologiche sono figlie delle rivoluzioni di business: la catena di montaggio fu conseguenza della visione fordista di ampliamento del mercato attraverso politiche di aumento del potere d’acquisto dei lavoratori e proposizione di prodotti a basso costo, non la sua causa, esattamente come lo sviluppo delle macchine a controllo numerico fu conseguenza dello sforzo di scalabilità della qualità.

 

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 La creazione del valore oggi è un sistema complesso

Parafrasando il titolo di un film di successo, la creazione di valore nel mondo contemporaneo è un sistema complesso: aprirsi alla servitizzazione significa essere consapevoli del fatto che la profittabilità dell’impresa dipende dalla capacità di fornire al cliente piattaforme di prodotto a cui applicare servizi che siano iper-affidabili (perché l’inaffidabilità diventa un costo per il fornitore, prima ancora che per il cliente) e capaci di sposarsi in modo fluido con le risorse operande ed operanti del cliente. E’ da questo principio che nasce la forte enfasi sull’integrazione della catena del valore che permea tutti i progetti di smart manufacturing, enterprise 4.0 e trasformazione digitale a livello internazionale: la certificazione di filiera, la condivisione dei flussi dati e dei dati di domanda lungo la supply chain, la trasparenza nei flussi per consentire una piena visibilità al cliente al fine di pianificare la propria attività in modo coordinato con i flussi in ingresso sono elementi che in grado di creare valore.

E allora, ecco che le tecnologie digitali possono diventare un alleato nella trasformazione del modello di business: basti pensare a un sistema, magari abilitato da blockchain, di certificazione di filiera che consenta una tracciatura peer-to-peer di tutta la catena del valore. E questo, a sua volta, può portare alla riscoperta del valore aggregativo e al valore di servizio dei sistemi territoriali,  dei distretti di cui il nostro Paese è pieno, e che spesso hanno rappresentato in passato più un aggregato formale che non un vero sistema economico integrato. Insomma, il cambio di paradigma è ormai ineluttabile, e le imprese devono decidere da che parte stare: rifiutare il cambiamento, digitalizzare l’as-is o digitalizzare a seguito di un ridisegno del modello di business. La terza strada potrebbe anche essere la più costosa (soprattutto, organizzativamente) nel breve, ma sembra difficile pensare che non sia quella che può ripagare maggiormente in futuro.

 

 














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