Le quattro rivoluzioni che sconquassano la manifattura italiana e mondiale

La prima rivoluzione: Industry 4.0

Tutto questo è coerente con il nuovo modo di produrre che nei prossimi anni diventerà uno standard globale, l’Industry 4.0 appunto. In buona sostanza, è il collegamento in tempo reale di esseri umani, macchine e oggetti per la gestione intelligente di sistemi di produzione e manutenzione. Non è solo la totale digitalizzazione della produzione, ma l’uso dei dati ottenuti per ottimizzarla, e migliorarla continuamente. In pratica, gli oggetti si rendono riconoscibili e acquisiscono intelligenza grazie al fatto di poter comunicare dati su se stessi e accedere ad informazioni aggregate da parte di altri. Le stime più attendibili (Gartner Group, ad esempio) prevedono che entro il 2020 ci saranno 20 miliardi di oggetti interconnessi, più del doppio della popolazione mondiale.

Su ogni componente manifatturiero ci sarà (o c’è già) un sensore che permetterà al componente stesso di dialogare con gli altri componenti – e con la fabbrica – prima, durante e dopo la produzione. Questo genererà una massa enorme di informazioni (i famosi Big Data) che software appositi filtreranno e valuteranno, permettendo di prendere decisioni in termini di gestione, manutenzione e utilizzo del prodotto. La necessità di gestire questi dati, fa pensare che ogni azienda manifatturiera dovrà trasformarsi, a suo modo, in una software house. Per capire la portata del cambiamento, basti pensare che saranno ridotte al minimo le scorte, i magazzini. I componenti arriveranno just in time solo quando saranno necessari per assemblare il prodotto, e potranno essere assemblati fra loro in infiniti modi diversi e personalizzati. La manutenzione dei prodotti sarà fatta grazie alle notizie ottenute in tempo reale sul loro stato, cosa che permetterà interventi solo nel momento in cui saranno necessari, invece che a intervalli di tempo prestabiliti. Qualunque prodotto sarà monitorato in tempo reale, da parte di chi lo possiede e anche da parte di chi lo ha realizzato. L’uso delle informazioni ottenute da questo monitoraggio cambierà il modello di business di quasi tutte le aziende, che in molti casi si trasformeranno da fabbricanti di prodotti a erogatori permanenti di servizi attraverso quei prodotti. E ciascuna impresa, per sfruttare queste informazioni, dovrà essere interconnessa con moltissime altre: clienti, fornitori, trasportatori, perfino concorrenti. Insomma, il risultato dell’Industry 4.0 sarà un ambiente di produzione molto più flessibile, con minore controllo centrale e più intelligenza diffusa. Già adesso gli stabilimenti produttivi si stanno trasformando in Smart factory, fabbriche in grado di realizzare prodotti qualitativamente più elevati, su volumi minori e capaci di venire incontro alle reali esigenze della clientela, con costi e sprechi minori. E, soprattutto, fabbriche con pochi operai, e molti ingegneri e operatori software.







Industria 4.0
Industria 4.0

Con Industry 4.0 la produzione viene sempre più automatizzata ed è sempre più rispondente agli ordinativi: ogni componente o prodotto viene realizzato in lotti che sono proprio quelli richiesti dal cliente, superando ogni problema di sovrapproduzione ed evitando di sfornare centinaia, migliaia di componenti sperando poi di poterli vendere. Naturalmente, perché ciò sia realmente efficace, anche tutta la cosiddetta catena del valore deve essere deve essere coerente: dal ricevimento degli ordini, alla struttura degli impianti (che possono essere dislocati in qualunque parte del mondo), alla spedizione dei prodotti; quindi anche i sistemi gestionali entrano direttamente a far parte di una architettura fortemente interconnessa.

Il massimo livello di Industry 4.0, che per ora e pura fantascienza, consiste nel dare intelligenza al prodotto, che si autoconfigura in funzione di quello che viene indicato dal chip che ha incorporato. Qualcuno, evocando scenari da fantascienza, parla di “prodotti che si fabbricano da soli”.

Il cambiamento del lavoro che questa rivoluzione porta con sé. La rivoluzione Industry 4.0 avrà enormi impatti sull’evoluzione del lavoro. Il ruolo dell’operaio semplice tenderà a scomparire, per venire sostituito da un tecnico molto specializzato, con la responsabilità di poche mansioni molto importanti. «Per consentire la piena personalizzazione del prodotto sono necessari lavoratori che, potenzialmente per ogni ciclo produttivo, impostino i complessi macchinari al fine di ottenere quanto desiderato dal cliente», spiega Francesco Seghezzi, ricercatore dell’università di Bergamo che da tempo sta studiando l’argomento. «Allo stesso tempo, essendo le macchine sempre soggette ad errori, bug o altre tipologie di ostacolo alla produzione, l’operaio deve essere in grado di risolvere questi problemi, che il più delle volte non riguardano ostacoli fisici, ma problematiche nate dai sistemi informatici che governano laproduzione. Allo stesso modo la logistica interna allo stabilimento non viene più gestita manualmente dall’operaio ma da robot in grado di sollevare pesi maggiori. Il ruolo del lavoratore rimane quello di impostare il sistema informatico che si occuperà poi automaticamente di gestire lo stoccaggio del materiale nel modo più efficiente, sulla base dei sensori e degli input che il ciclo produttivo fornisce».

Le stime più attendibili (Gartner Group, ad esempio) prevedono che entro il 2020 ci saranno 20 miliardi di oggetti interconnessi
Le stime più attendibili (Gartner Group, ad esempio) prevedono che entro il 2020 ci saranno 20 miliardi di oggetti interconnessi

Sono necessari investimenti enormi. Da qui al 2030 (data che secondo Roland Berger dovrebbe essere il punto di arrivo di questa trasformazione nel senso del just in time , della flessibilità e dell’efficienza, sono necessari) secondo le previsioni della società di consulenza tedesca, investimenti addizionali per 60 miliardi di euro all’anno, a livello europeo. Tutto ciò potrà però potrà creare 500 miliardi di valore aggiunto manifatturiero e 6 milioni di posti di lavoro in tutto il continente. In pratica, è la più grande sfida che il mondo industriale si trova a dover affrontare dopo la terza rivoluzione industriale, quella che alla fine anni 60 che introdusse l’elettronica e l’informatica nelle fabbriche.

Anche in Italia, con le debite proporzioni, si dovrebbero investire circa cinque miliardi all’anno.Le aziende sono chiamate a sforzi molto consistenti. E anche il Governo – che per ora non ha presentato alcun progetto – dovrebbe contribuire, a livello politico e finanziario e di organizzazione e attrazione di capitali privati.

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