La realta’ sulle start-up italiane al di la’ di mitologia, propaganda, retorica…

shutterstock_525464536

di Riccardo Gallo ♦ Sulle nuove aziende ci sono tante speranze e molta enfasi, anche da parte del ministro Carlo Calenda. Ecco i veri numeri. Emerge che sono importanti e lodevoli, ma da qui a essere risolutive per l’economia italiana ce ne corre…

Industria Italiana ospita un articolo del Professor Riccardo Gallo, ultimo vicepresidente dell’Iri, a lungo docente di Economia industriale, in passato all’Università dell’Aquila e ora alla Sapienza (facoltà di ingegneria)

Se l’indebolimento della propensione a intraprendere degli industriali italiani fosse irreversibile, potrebbe una nuova imprenditoria, giovane e innovativa, rimpiazzare la vecchia generazione? Qualcuno pensa di sì, e vede il sostegno pubblico alle Startup come un importante intervento di politica industriale teso a raggiungere questo obiettivo. Ma è davvero così? Come ho dimostrato in un mio recente pamphlet, “L’Industria fa la 4° rivoluzione, ma solo dove c’è e sempreché sopravviva” (Guida Editori), io ritengo che le startup siano importanti, ma che sia improprio caricarle di aspettative eccessive.







 

Gallo 7
Riccardo Gallo

Una premessa di sistema

Prima di entrare nel merito, qualche parola sul sistema economico italiano. Come è noto, le imprese industriali italiane per lo più sono piccole, anzi piccolissime; hanno un controllo societario di tipo familiare, con una fortissima riluttanza ad aprire la compagine azionaria; i loro fondatori dopo decine di anni continuano ad avere nell’azienda un ruolo a volte oppressivo; quando alla startup subentrano la seconda e la terza generazione di soci e amministratori, le imprese perdono capacità di innovazione e spinta propulsiva; però si rivitalizzano se la loro guida passa nelle mani di un manager esterno e capace. Tutto questo si verifica in una economia, come quella italiana, che sta tra i sistemi maturi (Nord America, Europa, Giappone, Corea, Singapore, Taiwan) che progrediscono solo grazie all’incremento patrimonio conoscitivo.

Nel 2012 tuttavia il nostro paese occupava l’ultimo posto della relativa graduatoria, perché gli imprenditori percepivano minori opportunità e avevano più paura di fallire. A dicembre di quello stesso anno 2012, per superare queste debolezze, il legislatore varò uno strumento finalizzato a sostenere Startup Innovative (purché nate da non più di 48 mesi) mediante una serie di misure tra cui credito agevolato con una garanzia fino all’80 per cento del credito da parte del Fondo di Garanzia delle Pmi (FGPMI). Nel 2015 il ministero dello Sviluppo economico estese il campo di applicazione di questi incentivi alle pmi innovative, così come estese la Nuova Sabatini.

 

carlo-calenda2
Carlo Calenda, Ministro allo Sviluppo Economico

Calenda ci crede, e punta sul nesso fra startup e Quarta rivoluzione industriale

Il ministro dello Sviluppo economico Calenda nella sua relazione del 2016 ha sostenuto un nesso tra Startup e quarta rivoluzione industriale: «Siamo entrati nell’era di Industria 4.0, una trasformazione irreversibile fondata sulla sempre più forte collaborazione tra università, attori della ricerca, grandi imprese, Pmi e Startup innovative. A queste ultime, in particolare, va riconosciuto il merito di proporre un nuovo paradigma imprenditoriale caratterizzato dall’ambizione a crescere rapidamente, dalla vocazione internazionale, dall’impegno all’innovazione permanente e dalla propensione alla contaminazione intersettoriale e all’open innovation. Tali valori, se diventeranno sistemici, saranno in grado di rinnovare l’intero tessuto imprenditoriale, compreso quello più tradizionale». In altre parole, il governo ritiene che una nuova imprenditoria, giovane e innovativa, se sistemica potrà rimpiazzare la vecchia generazione “tradizionale”. Tutto ruota intorno alla condizione «se sistemici».

L’analisi dei risultati del sostegno pubblico alle startup

Per capire se il sostegno pubblico alle startup è qualcosa di efficace oppure una velleità, è necessario aspettare qualche anno dopo il suo varo. Ed ecco che ora la lettura delle relazioni ministeriali più recenti e dei dati aggiornati al 30 giugno 2017 consente importanti riflessioni sulle questioni qui sopra richiamate.

In quattro anni, il numero delle Startup Innovative è aumentato di 6.457 società, essendo passato da 937 esistenti al 30 giugno 2013 a 7.394 al 30 giugno 2017, con un flusso uniforme pari a 1.614 nascite nette all’anno. Il Fondo per le Pmi garantisce finanziamenti a favore di Startup Innovative il cui importo medio unitario si aggira intorno alle 250 mila euro. Capita che qualche operazione magari venga approvata ma poi non sia più perfezionata, o perché la banca che deve deliberare il finanziamento esprime poi parere negativo, o perché la stessa impresa rinuncia all’operazione. I casi di sofferenza nella gestione del credito rappresentano un modesto 0,9 per cento delle operazioni. Sul piano territoriale, le prime cinque regioni per numero di operazioni di startup approvate sono più o meno le stesse che hanno anche la maggior presenza di Pmi, con l’interessante novità però della Campania, forse grazie al meritorio prolungato impegno in questo campo dell’Università Federico II.

Con un totale al 30 giugno 2017 di 1.409 operazioni, le prime cinque regioni rappresentano i due terzi del totale nazionale. La sola Lombardia pesa per ben un quarto (26 per cento) del totale. A differenza di quanto si vede per la Nuova Sabatini, in questo caso lo strumento agevolativo porta benefìci anche a una regione del Mezzogiorno. Come riportato da Il Sole 24 Ore, il programma “Women in Technology”, lanciato da Fondazione Mondo Digitale e Costa Crociere Foundation, ha coinvolto circa 300 studentesse di Campania, Calabria, Sicilia e Lazio e ha prodotto ottime Startup con idee imprenditoriali molto apprezzate.

I soci delle Startup Innovative risultano essere in media quattro per ogni impresa, sono in stragrande maggioranza uomini (le donne sono meno di un quinto), con un’età media alta (42 anni), e almeno 7 su 10 sono laureati. I soci donne sono più giovani degli uomini, hanno competenze linguistiche e quasi sempre sono laureate, più degli uomini. Prima di dar vita alla startup, in oltre un terzo dei casi i soci erano lavoratori dipendenti, e per un altro terzo l’hanno fatto perché figli di un imprenditore. Quasi metà degli ex lavoratori dipendenti hanno una formazione tecnico-ingegneristica.

 

I soci delle Startup Innovative risultano essere in media quattro per ogni impresa, sono in stragrande maggioranza uomini
Accanto alle Startup Innovative, c’è poi la categoria delle Pmi Innovative

Si tratta di società nate anche molti anni fa, talvolta sono ex Startup Innovative che hanno superato l’anzianità massima per poterne conservare lo status (portata nel 2015 a 60 mesi). Per essere una Pmi Innovativa, invece, un’impresa non è soggetta a vincoli anagrafici. Le Pmi Innovative al 30 giugno 2017 sono però appena 504. La responsabilità di questo basso numero è imputabile al ritardo con cui è stata attuata la regolamentazione di alcune agevolazioni. Peraltro, manca ancora il decreto interministeriale attuativo degli incentivi fiscali per gli investimenti nelle Pmi Innovative, una delle misure più interessanti che è stata estesa a tale tipologia d’imprese. Per quanto riguarda il credito agevolato dal Fondo di garanzia, la distribuzione territoriale di questa seconda categoria di operazioni è del tutto simile a quella delle Startup Innovative e, quindi, alla presenza di Pmi sul territorio nazionale.

Un recente studio di ricercatori della Banca d’Italia analizza le caratteristiche economico-finanziarie delle Startup Innovative. Da un confronto tra il bilancio di 1.800 Startup e di 135 mila imprese della stessa età e dimensione, emerge che le prime hanno una innovatività molto più marcata delle altre, con immobilizzazioni immateriali percentualmente maggiori, grazie ai costi capitalizzati per ricerca e sviluppo andata a buon fine e per marchi e brevetti. Inoltre, per le Startup che hanno già cominciato l’attività di produzione e vendita, si osservano tassi di crescita del fatturato e dell’attivo più alti rispetto alle altre imprese.

Tirando le somme

Domanda: teoricamente, quanti anni servirebbero alle Startup Innovative per sostituire le società di capitali esistenti oggi in Italia, nell’ipotesi astratta che continuassero a nascere con un ritmo inalterato e divenissero sistemiche? Risposta: poiché in ciascuno dei primi quattro anni sono nate 1.614 Startup Innovative e le società di capitali in totale sono 1.623.359, occorrerebbero più di mille anni. Un tempo biblico, privo di significato reale. Ciò significa che l’intervento a sostegno delle Startup Innovative è efficace ma è bene non caricarlo di obiettivi impossibili, i quali vanno perseguiti piuttosto con l’insieme coordinato di tutti gli altri progetti e strumenti, in primis dal Piano nazionale “Industria 4.0” con l’Iper e il Superammortamento, al netto delle crisi che il ministero dello Sviluppo ha stentato a gestire, dall’Ilva all’Alitalia, a Embraco eccetera. Da qui il titolo del mio pamphlet citato all’inizio.














Articolo precedenteStipendi al passo con l’inflazione, ma non per tutti
Articolo successivoMicrosoft Digital Week: porte aperte all’innovazione






LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui