La meccanica cresce e tiene in piedi il Paese, ma…

di Laura Magna ♦ Intervista con Diego Andreis (Federmeccanica e Assolombarda) che commenta i buoni dati del principale settore industriale italiano. Il quadro è buono. Ma è attesa una decelerazione (anche a causa dell’automotive) e si temono tensioni internazionali. Da parte del Governo, non c’è né consapevolezza né sostegno. Il tema delle competenze resta urgente e irrisolto

«Bisogna passare attraverso l’impresa per dare centralità al lavoro e alle persone: la strada da seguire, l’unica possibile, è questa ed è stato invece un elemento pressoché assente nella retorica governativa finora». A dirlo a Industria Italiana è Diego Andreis, vice presidente di Federmeccanica con delega all’Europa e ai Rapporti con le multinazionali e grandi imprese e presidente del gruppo Meccatronici di Assolombarda. Andreis ripete quello che è il mantra del manifesto di Federmeccanica presentato a Roma il 25 settembre insieme ai dati della 147sima congiunturale di Federmeccanica, che disegnano un settore solido ma in decelerazione. Dunque, più impresa perché dall’impresa, dalla meccanica in particolare, fiore all’occhiello dell’industria italiana, il Paese può ripartire. A patto di   creare un ambiente favorevole alla produzione. «E’ un messaggio che lanciamo al governo innanzitutto, perché è oggi quello che decide orientamento e assume le scelte di politica industriale, ma è anche un messaggio più vasto al pubblico generale per smantellare la cultura anti-impresa che è un tema tutto italiano e più generale ».

 







Assolombarda lancia il progetto #ItaliaMeccatronica
Diego Andreis

 

Perché il settore metalmeccanico è così importante? Intanto per un fatto numerico: le imprese metalmeccaniche italiane sono il motore dell’economia italiana. Rappresentano circa un terzo della manifatturiero, l’8 % del Pil, quasi il 50% dell’export nazionale e occupano 1 milione e settecentomila lavoratori. «Il settore produce ricchezza (misurata con il valore aggiunto) per circa 100 miliardi di euro. Esporta beni per 200 miliardi che rappresentano quasi la metà del fatturato settoriale. L’attivo del suo interscambio (60 miliardi di euro) contribuisce al totale riequilibrio della bilancia commerciale italiana, strutturalmente deficitaria nei settori energetico ed agro-alimentare. Non solo non possiamo permetterci di perdere quota nella metalmeccanica: le istituzioni nazionali e locali sono chiamate a sostenerle. Solo se si punta di “più” sulle Imprese ci può essere “più” lavoro. Senza Imprese infatti non c’è, e non ci può essere, lavoro, benessere e sviluppo», insiste Andreis.

 

La metalmeccanica presenta molte molte differenze in termini di sotto-settori e territori: la Lombardia, e l’area di area di Milano, Monza e Brianza e Lodi, sono, come noto, le best practice. Se a livello nazionale le imprese del comparto sono 122mila (il 28% del manifatturiero), 34mila si trovano in Lombardia per un totale di 432mila addetti (38% del manifatturiero) e 12mila nell’area Milano, Monza Brianza e Lodi (per 135mila lavoratori impiegati e un’incidenza sul manifatturiero del 45%), secondo i dati Assolombarda. La Lombardia è la prima regione italiana per export complessivo con oltre 120 miliardi di euro realizzati nel 2017.

Ma anche la Lombardia potrebbe soffrire un rallentamento nella seconda metà dell’anno lo stesso che Federmeccanica prevede contestualmente all’indebolirsi dell’economia italiana ed europea. Lo ha rivelato, appunto, l’ultima indagine congiunturale presentata il 25 settembre : nel secondo trimestre del 2018 la produzione metalmeccanica è aumentata dello 0,9% rispetto al primo, mentre, nel confronto con l’analogo periodo dell’anno precedente l’incremento è stato pari al 4,9%. Complessivamente nei primi sei mesi dell’anno in corso, la produzione metalmeccanica ha registrato un incremento del 4,6% rispetto al 2017 ma i volumi realizzati risultano ancora inferiori del 22,1% rispetto al periodo pre-recessivo (che si fa risalire al primo trimestre del 2008). Ma non è esente da rischi: il maggiore è quello preconizzato dalla stessa Federmeccanica di un rallentamento impellente: «C’è disomogeneità delle previsioni per gli ordini e la produzione che, in alcuni comparti e per alcune aziende operanti in mercati particolarmente sotto stress, manifestano un peggioramento», dice Andreis.

 

 

 

Insomma, nel corso della prima metà dell’anno in corso, il trend positivo del settore è stato favorito dai buoni risultati ottenuti nella produzione di Altri mezzi di trasporto (+9,1%), dalla attività relativa alla Meccanica strumentale (+5,8%) e dalla produzione di Macchine e apparecchi elettrici (+5,9%) e di Prodotti in metallo (+4,4%), mentre incrementi più contenuti si sono avuti nel comparto degli Autoveicoli e in quello della Metallurgia. Sulla base delle previsioni emerse dall’indagine, la fase espansiva dovrebbe proseguire anche nel corso del trimestre successivo ma il miglioramento atteso risulterà più contenuto rispetto al recente passato.

Spiega Andreis il perché: « La metalmeccanica è stata trainata molto dall’automotive, che da settembre ha subito un forte rallentamento dovuto a condizioni non economiche ma normative. Sono cioè intervenute tutta una serie di restrizioni in un mondo che evolve rapidamente che hanno generato, dopo un’accelerazione alle immatricolazioni tra luglio e agosto, un rilassamento a partire da settembre. Ora bisognerà capire cosa succede a inizio anno prossimo. Molto forte è stata anche la meccanica strumentale trainata dal piano Calenda e siamo in attesa di vedere se iper e super ammortamento saranno confermati. Sono incentivi importanti, ma devono essere associati ad incentivi altrettanto forti sulle competenze. Le possibili evoluzioni della politica interna potrebbero avere un peso in questo quadro già complesso, considerando anche gli effetti che decisioni che verranno prese possono avere sui mercati». Sulle prospettive a breve pesano inoltre le incognite relative alle dinamiche geo politiche internazionali che generano un clima di incertezza (dazi e possibili inasprimenti delle guerre commerciali, Brexit, Medio Oriente e Iran). Un clima di incertezza che potrebbe andare a impattare sui dati relativi all’export.

 

Esportazioni ok, ma le tensioni internazionali rappresentano un rischio

Nel periodo gennaio-giugno 2018 intanto le esportazioni, pari a circa 113 miliardi di euro, sono mediamente aumentate del 3,8% a fronte di un incremento del 5% delle importazioni. Il conseguente saldo positivo di 25 miliardi di euro è risultato uguale a quello realizzato nello stesso periodo del 2017. Ma, per via delle tensioni internazionali e delle politiche protezionistiche che gli Usa hanno già iniziato a implementare e che aleggiano anche in area Uk, i rischi per le imprese europee ed italiane sono elevati. Al momento, all’export metalmeccanico hanno contribuito principalmente i flussi diretti verso i paesi dell’Unione europea (+7,3%) che hanno più che compensato la flessione registrata verso i mercati extracomunitari (-0,6%).

 

Ci vorrebbe un mercato del lavoro flessibile

Tutti elementi di incertezza che vanno gestiti e, se possibile, arginati. Come? «Per riuscire a conservare la posizione di forza della nostra metalmeccanica è necessario che le istituzioni nazionali operino in maniera coordinata per sostenere gli investimenti in tecnologia e innovazione. Ma è necessario anche creare sistemi educativi che consentano di rispondere ai fabbisogni delle imprese di oggi e di domani; avere un mercato del lavoro flessibile, per consentire alle aziende di adattarsi ai cambiamenti, e inclusivo (che rafforzi le tutele sociali con politiche attive basate sull’apprendimento permanente)», continua Andreis. E qui torniamo ai numeri del rapporto Federmeccanica: per quanto riguarda il fattore lavoro, il ricorso all’istituto della Cassa Integrazione Guadagni in questi primi sei mesi si è ridotto del 48,1% rispetto al 2017 e la dinamica occupazionale nelle imprese metalmeccaniche con oltre 500 addetti si conferma moderatamente positiva (+0,8%).

 

 

Nelle previsioni a breve dell’indagine, i livelli occupazionali dovrebbero rimanere positivi ma in misura più contenuta rispetto al passato. E anche sul fronte occupazionale c’è, come abbiamo ricordato all’inizio, un’emergenza da gestire: il 48% delle imprese del campione di indagine hanno dichiarato di avere difficoltà a reperire manodopera specializzata sul mercato del lavoro ed è stato inoltre evidenziato che la carenza ha riguardato, in ugual misura, le figure professionali con elevato contenuto tecnologico e quelle con competenze di tipo tradizionale.

«In particolare 20 imprese su 100 non trovano lavoratori con competenze professionali in tecnologie avanzate e digitali ed il 22% non trova lavoratori con competenze tecniche di base di tipo tradizionale. Bisogna incentivare l’alternanza scuola lavoro e l’apprendimento permanente per creare profili che le nostre aziende non trovano sul mercato», spiega ancora Andreis che, per aumentare la competitività invita a spingere forte anche sull’innovazione: «la metalmeccanica produce il 100% dei beni di investimento attraverso i quali trasferisce tecnologia a tutti i settori e ai diversi rami dell’economia. Rendere strutturali e potenziare i finanziamenti degli investimenti in macchinari, processi, modelli di business innovativi e nella creazione di competenze funzionali ad Industry 4.0 è il primo passo. Ma non basta». L’accento va posto sulle competenze, vera cartina di tornasole del settore.

 

Le competenze

«Ci sarà una grande conversione di competenze da qui ai prossimi anni; nel 2022 si stima che nuovi posti di lavoro saranno 133 milioni, mentre se ne perderanno 77 milioni, secondo i dati contenuti nel Rapporto Future of Work del World Economic Forum. Parliamo dunque di un saldo attivo di 58 milioni di posti di lavoro: sono le tecnologie dell’automazione che hanno portato a questo incremento, come testimonia il fatto che i Paesi a maggior tasso di automazione, segnatamente Giappone, Usa e Germania hanno i maggiori livelli occupazionali del mondo. Un saldo positivo può sembrare una buona notizia, ma è una notizia che deve far riflettere e che chiama in causa la capacità del sistema di convertire le persone. Bisogna assicurarsi che i 77 milioni di lavori persi non equivalgano a persone che restano in mezzo alla strada: è necessario che siano riconvertite dalle imprese o ricollocate.»

«Pertanto sono fondamentali investimenti sulla formazione nelle imprese, incentivi forti perché altrimenti le imprese avranno più facilità ad attingere dal bacino dei giovani che sono più pronti al cambiamento e propenderanno per lasciare alle politiche passive i lavoratori più anziani. Con il rischio reale che si crei un cortocircuito: poiché nel nostro Paese in realtà è impossibile licenziare e dall’altro le imprese non hanno necessariamente le forze per formarle. Così si trovano in una sorta di purgatorio in cui stazionano senza progredire

 

Mandelli
Andreis: gli strumenti giusti per creare ricchezza e lavoro sono persone e competenze

 

«Sempre secondo il World Economic Forum – prosegue Andreis -in media serviranno per le persone assunte dalle aziende adeguate al ruolo che ricopriranno 101 giorni di formazione da oggi al 2022: sono un’enormità. Siamo di fronte a un problema potenzialmente letale che si presenterà nel giro di qualche anno: il governo dovrebbe utilizzare le risorse per definire incentivi fortissimi in modo da consentire alle aziende di mettere in piedi lo sforzo necessario a tenere queste queste persone, dotate delle giuste competenze. Gli strumenti giusti per creare ricchezza e lavoro sono persone e competenze. Lo sforzo va fatto sulle Pmi. L’alternativa è un esercito di “esodati” a cui applicare politiche attive e passive», dice Andreis, che ritiene «sia necessario sulla formazione un intervento bomba. Flat tax e reddito di cittadinanza drenano risorse e non sono misure risolutive. Bisogna puntare su misure sostenibili e che affrontano senza mezzi termini questa problematica. Per esempio un maxi ammortamento del 200% sulla formazione con un orizzonte di almeno tre anni. Utilizzare le imprese come tramite – non ci altri luoghi più adatti per la conversione dei 40-50 anni che ormai sempre meno sono al passo con l’evoluzione tecnologica – per anticipare un problema che altrimenti ci scoppia in mano». E il fatto che il governo del cambiamento abbia iniziato a parlare di impresa solo in ultima battuta dopo mesi di annunci in cui il mondo produttivo era stato del tutto ignorato «crea un senso generale di perplessità, ma sono pronto a applaudire misure realmente pro impresa qualora arrivino».

 

Istituto Tecnico Superiore Aerospazio, Puglia
Istituto Tecnico Superiore Aerospazio, Puglia

 

Ovviamente, nel prendere in considerazione la categoria dei 40-50 anni non bisogna perdere di vista i giovani, «motore e base del futuro: noi siamo a favore dell’alternanza scuola-lavoro che crediamo debba non solo essere ridimensionata, ma rafforzata e adeguatamente finanziata. E’ un investimento sul futuro. Bisogna puntare su un’alternanza che consenta ai ragazzi di acquisire le competenze che a loro chiede il mondo produttivo. E gli ITS restano una struttura di formazione fondamentale», sostiene Andreis che è tra i fondatori, con il Gruppo Meccatronici in collaborazione con il Gruppo ICT e Servizi alle Imprese di Assolombarda, con alcune delle  imprese più rappresentative, di un corso di due anni riferito ai temi della Smart Manufacturing che formerà una nuova figura professionale con competenze ICT, unite in modo integrato a competenze di meccatronica, che sia in grado di supportare le attività digitali di produzione in ambito industriale. L’ ITS Rizzoli forma il Tecnico Superiore di tecnologie digitali per l’industria, miscelando competenze ICT, unite in modo integrato, a competenze di meccatronica. «Tutto ciò che contribuisce ad aumentare la competitività e a creare un futuro di lavoratori competenti deve diventare strutturale».

 

Il lavoro costa troppo, ma pochi soldi finiscono nelle tasche dei lavoratori

Sul tema lavoro, c’è infine un altro punto dolente, il costo: quello per unità del prodotto (CLUP) in Italia dal 2000 ad oggi è cresciuto del 26%. «Occorre ridurre il costo del lavoro e aumentare la produttività. Incentivare con detassazione e decontribuzione ogni forma di collegamento tra salari e produttività», dice Andreis: «il cuneo fiscale è un retaggio insostenibile: ci portiamo dietro un paese che non funziona e questo malfunzionamento lo introduciamo in tutte le componenti di costo. Che diventano un fardello importante per le imprese quando assumono, senza che questo onere sia trasferito al lavoratore in termini di capacità di acquisto. E infine, l’innovazione: se ho persone più competenti, più qualificate si crea crescita all’interno dell’azienda e si portano soluzioni competitive: l’alternativa è restare nel loop della competizione sul costo e con il fardello italiano non riesco a essere vincente. Senza considerare che nessuno compete sul costo, semmai al contrario: le imprese tedesche, per via della credibilità nel settore che le italiane non hanno, godono del riconoscimento di un premium price. Noi abbiamo puntato su moda e alimentare e la nostra fortissima metalmeccanica non viene riconosciuta nel mondo: è un tema di posizionamento.»

 

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«Il tema ricorrente degli 800mila diplomati ITS tedeschi contro i 10mila italiani, vuol dire innanzitutto una cosa: che la Germania è un Paese dove le famiglie vedono l’industria meccanica come un luogo con prospettive. Noi ci lamentiamo della disoccupazione giovanile, ma il 48% delle imprese non trova competenze”, conclude Andreis che invita infine a un cambiamento culturale. «Il lavoro dei meccatronici è cambiato nella sostanza: l’officina descritta nel film Tempi Moderni di Charlie Chaplin, rumorosa, sporca, pericolosa, non esiste più e sta diventando sempre più un laboratorio asettico dove meccanica, elettronica e digitale si fondono richiedendo competenze sempre più avanzate e trasversali e dove invece sono i robot svolgono le mansioni più alienanti. Questo storytelling deve essere trasmesso alle giovani generazioni. Ma ancora non basta: il lavoro deve diventare flessibile, il che non vuol dire precario: non è un caso che il 96% dei lavoratori metalmeccanici siano a tempo indeterminato. È necessario anche ridurre il costo del lavoro e aumentare la produttività. Incentivare ogni forma di collegamento tra salari e produttività; abbattere la burocrazia che secondo il World Economic Forum è al primo posto tra i fattori problematici per fare Impresa in Italia. Questo per esser competitivi in un mercato difficile, grande come il Mondo. Non siamo soli. Dobbiamo essere più bravi, più efficienti e costare di meno».














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