La GDO nell’ era digitale: come riempire i mall di clienti, svuotandoli di prodotti

di Laura Magna ♦ L’e-commerce sarà il killer dei centri commerciali? No, se il mix Big data – personale attrezzato sul campo garantirà una esperienza innovativa al consumatore. Come si genera il nuovo valore nel retail. I casi di Zara e Apple, mentre a Milano sorgerà il più grande shopping mall del sud Europa.  Parla Cappellari di Cuoa Business School

In Usa la chiamano “retail apocalypse”, il fenomeno che condurrà all’estinzione dei centri commerciali. Nel 2017, secondo Cushman & Wakefield, società specializzata in immobili commerciali, sono stati ben 9mila i negozi di catene come Macy’s, Sears e J.C. Penney che hanno chiuso i battenti. La stessa società prevede che il numero salirà a 12mila entro quest’anno, con un aumento del +33%: Walgreens, Gap e Gymboree hanno già annunciato il taglio di 3600 punti vendita. E, se nel 2017 50 catene – la più famosa è Toy’r’us – hanno dichiarato bancarotta, una cifra record dall’inizio della crisi, nel 2018 ce ne sarebbero ancora ben venticinque candidate al fallimento. I nomi li fa S&P Global Market Intelligence  e sono quelli di Sears, Bon-Ton Stores, Bebe Stores, Destination Maternity Corp. e Stein Mart. Dunque, centri commerciali destinati a soccombere per l’impossibilità di avere margini di guadagno in un mondo che sembra avviato ad essere dominato da e-commerce e discount? La risposta è sì, se ci riferiamo a un modello obsoleto che non innova se stesso. In realtà la questione è complessa e sempre guardando  i numeri si intravede anche la possibilità di una evoluzione differente.

I numeri dei leader di mercato

I bilanci dei due maggiori operatori immobiliari della GDO globale paiono suggerire anche un diverso punto di vista. Westfield, multinazionale con centri focalizzati in UK e soprattutto USA, nel bilancio al 31 dicembre 2017 scrive che il 94,9% del suo patrimonio è affittato e che quindi i negozi sfitti sono a un tasso fisiologico. Non solo: le vendite per metro  quadrato negli specialty store sono salite anno su anno del 2,7%, e gli affitti del 4,6%. Unibail Rodamco, che gestisce centri di qua dall’Atlantico e che sta per essere acquisita dalla stessa Westfield, mostra nel bilancio al 31 gennaio di quest’anno una crescita delle vendite dei suoi “inquilini” del 3,6%, un numero superiore alla incremento delle vendite retail dei Paesi nei quali è presente. Numeri che indicano tutt’altro che crisi. E suggeriscono che a essere in difficoltà è un modello superato, non il centro commerciale in sé.







«La parte più interessante del bilancio di Westfield  è quella relativa all’evoluzione del mix di negozi nei centri e della composizione del fatturato complessivo. Il primo dato che salta agli occhi è la discesa della quota di vendite imputabile ai department store che è passata negli ultimi dieci anni dal 42 al 28%», dice a Industria Italiana Romano Cappellari, professore di marketing all’Università di Padova e direttore del Master in Retail Management e Marketing di Cuoa Business School, una delle più importanti scuole di management in Italia, con sede alle porte di Vicenza. «Gli spazi lasciati dai department store sono stati riempiti da attori nuovi: da una parte c’è stato un incremento del food che nel decennio ha più che raddoppiato il fatturato complessivo guadagnando un’incidenza sul totale che ora è del 18%. Ci sono poi due categorie nuove che sono entrate nei mall: la prima è rappresentata dalle concessionarie automobilistiche. Seguendo l’esempio di Tesla stanno aprendo punti vendita nei mall Westfield anche Citroen, Ford, Jaguar, Hyundai e Land Rover: tutte pronte a intercettare il cambiamento che sta interessando il customer journey nel mondo dell’auto. »

 

Il Professor Romano Cappellari con una allieva del Master che ha seguito il progetto di ricerca sul retail all’interno centro commerciale londinese Westfield Stratford City

 

«La seconda novità è rappresentata dagli internet retailer che hanno deciso di aprire dei punti vendita brick & mortar. Quattro esempi significativi di nuovi entrati nel portafoglio brand di Westfield: Amazon Books, Bonobos  (sito di menswear acquisito da Wal Mart per 310 milioni), Warby Parker, l’azienda che sta rivoluzionando il mondo dell’occhialeria e l’e-tailer britannico Missguided, produttore di abbigliamento per teenager che ha chiuso a marzo il bilancio con un sensazionale +75% (superando i 200 milioni di sterline). L’iniziativa di queste aziende, che sono alcuni dei player più dinamici e interessanti del web, apre nuove prospettive e lancia un segnale rassicurante al business dei centri commerciali: i leader dell’ecommerce non sono necessariamente nemici, ma possono essere i nuovi clienti con i quali riempire i mall. Naturalmente questo vale solo per quei centri che sapranno adattarsi e interpretare il loro ruolo nel nuovo contesto nel quale il centro commerciale è complementare al web; si tratta di un’evoluzione che non tutti riusciranno a seguire e che condannerà alla chiusura molti centri secondari».

 

All’interno di un mall: una delle leve decisive per il successo è senz’altro una rinnovata offerta di ristorazione

Quelli in grado di innovare e di garantire un’esperienza al consumatore a continuare a crescere, gli altri periranno

Non solo. Gli spazi di sovrapposizione tra rete e negozio fisico aumentano e si moltiplicano: come dimostrano eventi quali l’acquisizione di Whole Food da parte di Amazon o la decisione di Alibaba di diventare socio di Auchan in Cina. «La GDO tradizionale non può competere con l’ecommerce quanto a gamma e profondità dell’assortimento ed è evidente che sia inutile per un mall fisico aumentare la dimensione procapite. Gli abnormi centri commerciali tradizionali tutti con le medesime insegne mass market sono destinati a fallire. Saranno quelli in grado di innovare e di garantire un’esperienza al consumatore a continuare a crescere. Un esempio di questo modello innovativo è il City Point di Brooklyn, dove il valore aggiunto è un’offerta gastronomica eccellente e artigianale con le sembianze di un festival di strada», afferma Cappellari. Che nota come anche in Italia  il vento stia cambiando. Arese è un buon esempio di mall con un modello di business innovativo e vincente. Così come «quello che sarà il maggiore mall d’Europa a Segrate, che è in costruzione per iniziativa del già citato gruppo del Real Estate Westfield che oltre al nuovo Ground Zero a New York ha firmato il centro commerciale londinese del Parco Olimpico. L’elemento che caratterizza i centri vincenti non è solo la dimensione ma la capacità di offrire al consumatore esperienze stimolanti. Una delle leve decisive è senz’altro una rinnovata offerta di ristorazione».

 

Screenshot-2018-5-15 Il Progetto – Westfield Milano
Westfield Milano: rendering del progetto
Westfield Milano: Coin Ovs e Galeries Lafayette

Westfield Milano, una joint venture di Westfield Corporation per il 75% e Stilo Immobiliare Finanziaria per il 25%, con una superficie di 185.000 metri quadrati, accoglierà il meglio del retail italiano e internazionale, attraverso 300 negozi e un Luxury Village, oltre a 50 ristoranti, spazi per il tempo libero, intrattenimento ed eventi. La previsione è del valore movimentato è di oltre 1 miliardo in vendite al dettaglioWestfield Milan paragonabili a quelle raggiunte da Westfield London e da Westfield Stratford City (circa € 1,2 miliardi ciascuno). Il centro commerciale più vasto del sud europa rappresenterà, quindi, un’opportunità per i retailer italiani e internazionali di convogliare lo shopping in un unico luogo attraendo, consumatori da tutto il mondo grazie alla sua location vicina all’aeroporto di Linate, al centro città e alle più importanti autostrade e reti ferroviarie europee.

I lavori di messa in opera inizieranno entro quest’anno e l’apertura del centro è prevista nella seconda parte del 2020. Già due importanti retailer italiani del Gruppo Coin hanno siglato accordi per essere della partita con il: OVS e Coin Excelsior. OVS, leader in Italia nel settore fast-fashion per donna, uomo e bambino, aprirà un flagship store di 3.000 metri quadrati; con oltre 1.000 punti vendita in Italia ed Europa, OVS è scelto da 15 milioni di consumatori ogni anno. Coin Excelsior aprirà il proprio punto vendita con una superficie pari a 8.000 metri quadrarti. Inoltre Il nuovo centro commerciale sarà il primo in Italia ad ospitare un grande magazzino: si tratta del flagship store di 18.000 metri quadrati Galeries Lafayette; si svilupperà su quattro piani e sarà il secondo negozio europeo del brand al di fuori della Francia.

 

retail e digital transformation
Il retail oggi: gestire mix di persone e tecnologie generando valore

La crisi del retail? Per superarla ci vuole un mix tra valore umano e tecnologie

Numeri e osservazioni sul campo portano a una conclusione che abbatte i più triti luoghi comuni sul retail nel nuovo millennio: «Non c’è nessuna crisi del retail ma un forte cambiamento in cui fa retail oggi chi riesce a gestire mix di persone e tecnologie generando valore», afferma Cappellari. «Sul futuro del retail abbiamo almeno due certezze: sappiamo che i negozi brick & mortar non spariranno e anche che dovranno necessariamente rivolgersi a un cliente ormai omnichannel: si tratta di una rivoluzione che sta interessando tutto il mondo del commercio, nessuno escluso. Alcuni settori sono partiti prima (libri e musica), altri sono partiti dopo (il food), ma ora è chiaro che il cambiamento sta coinvolgendo tutte le merceologie senza distinzioni. Concettualmente non parlerei di vendite perse dai negozi fisici perché ormai tutte le aziende stanno iniziando a ragionare in termini di omnichannel: le vendite ci sono e si spostano tra un canale e l’altro e diventa sempre meno rilevante in quale canale avviene la parte finale del processo d’acquisto». Al futuro del retail e alla digital transformation che sta investendo il settore, Industria Italiana ha dedicato un articolo qui, a proposito una ricerca di Microsoft e Retail Institute condotta tra Ottobre e Novembre 2017, e che ha coinvolto 100 retailer.

Precisa Cappellari: «i negozi non possono più limitarsi a svolgere il ruolo di magazzini nei quali mettere la merce a disposizione del consumatore ma devono ricavarsi un ruolo diverso. Chi non riesce a trovare un nuovo modo di generare valore per il cliente è destinato a estinguersi». Una rivoluzione che ovviamente cambierà anche il lavoro dentro i negozi, facendo sparire alcuni ruoli a basso valore aggiunto ma rendendone necessari altri. «Per personale di vendita tradizionale, che si occupa solo di aiutare a reperire la merce e a gestire la fase di checkout si preannuncia un periodo duro. Specularmente si aprono però grandi opportunità nel retail per ruoli più ricchi di contenuto manageriale: diciamo da tempo che è importante la qualità della store experience e questo oggi è vero più che mai. Garantire una store experience memorabile e coerente con i valori del brand non è però il risultato di improvvisazione ma del lavoro coordinato di una squadra di professionisti sia in negozio che dietro le quinte», dice Cappellari.

 

Lo store della catena spagnola di fast fashion Zara all’ interno del centro commerciale londinese Westfield Stratford City

Il caso del temporary shop di Zara a Londra

Il direttore del Master in Retail Management e Marketing di Cuoa Business School porta a esempio di questo cambiamento l’apertura, nel dinamico centro commerciale londinese Westfield Stratford City di un innovativo temporary store della catena spagnola di fast fashion Zara, «che merita di essere studiato per almeno cinque motivi: non si può comprare né provare la merce esposta. Il negozio è pensato in primo luogo in funzione delle esigenze del cliente dell’ecommerce abituato a utilizzare lo store Zara del centro ora in ristrutturazione per ritirare la merce comprata on line e per effettuare eventuali resi. Si esce quindi dal punto vendita con i pacchetti dei prodotti già acquistati in precedenza ma non con i prodotti esposti in negozio (e il magazzino offre un colpo d’occhio decisamente insolito per un negozio di abbigliamento: con gli scaffali pieni esclusivamente di scatole). Assortimento e visual sono più belli.»

«Il negozio ha circa duecento metri quadri di superficie e quindi presenta una piccola selezione dell’assortimento che si è soliti trovare in un negozio Zara.- prosegue Cappellari – Si tratta però di un assortimento curato (dal team ecommerce) che, insieme a un visual particolarmente raffinato, trasmette un’immagine elegante con un posizionamento superiore a quello degli altri negozi della catena: sembra più una boutique che un magazzino del fast fashion. È un negozio fatto di persone. Si è tanto scritto delle innovazioni tecnologiche introdotte in questo temporary store (dalle modalità di pagamento all’utilizzo dell’RFID), ma quello che mi ha colpito nella visita è stata la quantità di persone Zara presenti in negozio: si tratta infatti di un punto vendita ad alta intensità di servizio nel quale il cliente che intende ordinare i prodotti esposti o quelli presenti nel negozio online dell’azienda se lo desidera viene seguito e consigliato dal personale munito di tablet. Ogni cliente può quindi personalizzare la sua esperienza d’acquisto con diversi livelli di autonomia e di tecnologia».

Zara sfida gli operations manager

«È vero che il cliente non può entrare in negozio e uscirne con i pacchetti degli abiti che ha appena acquistato, ma in realtà l’esperienza di acquisto si avvicina molto a questo modello: chi decidesse di entrare in punto vendita attorno all’una per fare un acquisto, infatti, può andare dopo lo shopping a pranzare nella ricca food court del centro, farsi un giro per le vetrine e tornare a casa con il suo pacchetto il pomeriggio stesso. Il negozio promette la same day delivery per gli ordini entro le 14 e l’asticella per la logistica nel fashion business si è così definitivamente alzata».

 

 

Beacon e sensori attraverso gli smartphone comunicano con i clienti in maniera customizzata e mirata (nella foto il beacon di Aruba HPE)

Beacon, sensori, big data e soprattutto interazione umana

L’evoluzione del retail passa dunque, da un lato, per la tecnologia, con centri commerciali dotati di beacon e sensori che attraverso gli smartphone comunicano con i clienti in maniera customizzata e mirata, dall’altra per un ritorno al passato in cui la qualità umana e il concetto di servizio prendono il sopravvento e fanno la differenza. Per dare vita a quella che deve essere un’esperienza e non solo e non tanto l’offerta di merce in un luogo fisico. «Il tema dell’impatto del digitale sul retail è legato al fatto che le funzioni del negozio tradizionale si sono trasferite sul web. Il negozio fisico non può competere con la disponibilità di un l’assortimento ampio e profondo che il web consente in modo nel modo più efficace ed efficiente. Garantendo, grazie alla logistica attuale, tempi di consegna ormai ridottissimi. Amazon porta a casa di chiunque merce di ogni tipo in poche ore nelle grandi città e in 24 nei piccoli centri. A questo punto il negozio deve diventare qualcosa di altro perché sul piano della gamma non può competere con il web. Il tema sul quale il negozio batte Amazon sono le persone, o meglio la possibilità di offrire esperienze vere attraverso l’interazione tra persone», spiega Cappellari.

Quello che è successo ai piccoli e grandi negozianti che attribuiscono l’avvento della loro crisi alla pervasività della tecnologia e alla potenza dei giganti dell’ e-commerce è che  hanno in generale «risposto all’arrivo di questi cambiamenti tagliando i costi per inseguire i nuovi protagonisti sui prezzi. E così hanno irrimediabilmente perso». Continua Cappellari, citando un caso significativo: «la catena che sta crescendo di più è l’Apple Store dove la densità di personale è enorme: il negozio è è un punto di incontro e delle persone che mi spiegano e mi fanno toccare con mano un prodotto e un mondo sensoriale costruito intorno di cui devo innamorarmi». Ovviamente Apple è un colosso e forse i piccoli negozianti non avrebbero comunque avuto la forza per competere su questo piano. Eppure Cappellari ritiene che si tratti semplicemente di un modo sbagliato di approcciarsi al problema: «Il ruolo del plurimarca è quello di usare una consulenza esperta per aiutare il cliente a orientarsi, alla scoperta di prodotti che non necessariamente si conoscono. Pensiamo al food: il mio lattaio mi guida alla scoperta di formaggi nuovi e mi vende un pezzettino di formaggio esclusivo che mi costa quanto il carrello dell’Auchan. Eppure io lo acquisto perché, al di là del prezzo, mi fa vivere un’esperienza. Oggi poi posso farmi aiutare dal tecnologia, incrociare i dati per fare questo marketing in maniera più efficace».

Solo da poco le aziende ragionano sull’utilizzo dei Big data tratti dalle carte fedeltà che sono invece un fenomeno antico e quindi rappresentano già un tesoretto di dati. Conclude Cappellari: «Queste tecnologie consentono di essere più precisi, di monitorare per esempio il flusso degli accessi, per programmare turni e personale. Ma questo è ancora basic, il retail è fatto di persone: l’innovazione paradossalmente anche nelle aziende del lusso è proprio l’investimento nelle persone. Pensiamo a Moncler che sta gestendo le persone con processi innovative, ponendo molta attenzione nella selezione e nella formazione, per differenziare l’esperienza fisica da quella del web. Si torna a fare quello che faceva Nostrum, la catena di department store americana che aveva dotato i suoi commessi di un quadernino, su cui veniva appuntato dei clienti fedeli il giorno del compleanno, o il tipo di cravatta che aveva comprato il collega ( questo per evitare che nello stesso ufficio ci si presentasse in due con un accessorio identico). Oggi la funzione è svolta da un algoritmo e ci sono modelli che funzionano in maniera efficacissima: ma il senso è il medesimo. In conclusione, certamente ci sarà un maggiore ruolo della tecnologia, ma la cosa importante è non dimenticare che uno dei vantaggi che i negozi brick & mortar hanno sui siti di ecommerce è la possibilità di offrire un’esperienza di interazione tra esseri umani: l’errore peggiore che può fare un negozio è quello di inseguire il web sul suo terreno».














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