La Cina punta alla leadership tecnologica mondiale. Che significa per le imprese italiane?

di Piero Macrì ♦ Un Paese proiettato verso una nuova globalizzazione, con un mercato di 1,3 miliardi di persone che per più della metà abitano nelle maggiori aree metropolitane del pianeta. Ecco come diventare protagonisti e partner della crescita alimentata dal Piano Made in China 2025, che guida la trasformazione del tessuto industriale in logica 4.0. Le strategie e le esperienze raccontate nel corso della settima edizione del Fimi, il Forum di Messe Frankfurt, dedicato al nuovo stile di vita per la Cina. Parlano anche Beghelli, Bugatti, Milano Unica e la Fondazione Italia-Cina

Cosa è diventata la Cina alle soglie del nuovo piano quinquennale 2020-2025? «Dimenticatevi la produzione a basso costo, i capannoni polverosi. Non è più così. Tutto sta cambiando», afferma Filippo Fasulo, coordinatore scientifico del Centro Studi per l’Impresa della Fondazione Italia Cina. «Il prototipo di fabbrica cinese è un ambiente ricco di tecnologia e di competenze che si avvale dell’energia e creatività di una generazione formata all’interno di università di eccellenza ed è una fabbrica che investe in ricerca e sviluppo». Basti pensare che nel 2017 la Cina è stato il secondo investitore mondiale in R&S con una spesa di circa 280 miliardi di dollari, pari al 2,11% del Pil. Ancora, il numero di brevetti cinese non è ormai molto più distante da quello degli Stati Uniti, e dietro il contenzioso sui dazi si nasconde la vera posta in gioco: quella della leadership tecnologica del prossimo ventennio. Di fronte a questo scenario, per le aziende italiane che hanno avviato un percorso 4.0 di trasformazione digitale si aprono nuove opportunità che risiedono nell’individuare una domanda di componentistica, sistemi e soluzioni altamente avanzati che permetta loro di mettere a frutto competenze non ancora sviluppate dalle aziende cinesi sia in ambito b2c che b2b.

Il Forum di Messe Frankfurt, una finestra sull’Oriente

E’ su questi temi che si è sviluppato il confronto tra imprenditori di aziende italiane – tra queste Beghelli, Bugatti e Milano Unica – ed esperti della Fondazione Italia Cina in occasione del settimo Forum Internazionalizzazione Made in Italy (Fimi) organizzato da Messe Frankfurt. Ecco a seguire gli elementi più importanti emersi nel corso della manifestazione, e le esperienze delle aziende italiane.







Made in China 2025, il piano di riqualificazione e trasformazione digitale 4.0

La Cina sta affrontando una profonda transizione che la porterà ad essere un’economia avanzata basata su consumi, servizi e innovazione. E’ la nuova normalizzazione, il modello New Normal, come l’ha definito il presidente Xi Jinping, che prevede un mantenimento del tasso di crescita medio del 6,5% fino al 2020, meno investimenti pubblici, meno export di bassa qualità, una crescita più sostenibile basata su prodotti tecnologicamente avanzati e un incremento dei consumi interni. Sono obiettivi che trovano un punto di sintesi nel progetto Made in China 2025, il piano rivolto alla riqualificazione e trasformazione dell’intero tessuto industriale cinese, che aiuterà le aziende a confrontarsi con le dinamiche della quarta rivoluzione industriale. Con Made in China 2025 e la Belt and Road Initiative, l’imponente infrastruttura ferroviaria che mette in comunicazione la Cina con l’Europa, cambierà non solo che cosa produce la Cina, ma anche a chi vende e con chi.

 

Il presidente cinese Xi Jinping

 

Partecipare alla crescita 4.0 del Paese con il più alto numero di consumatori al mondo

Quali gli input per le imprese italiane intercettati durante il forum? Essere pronti a cogliere le finestre di opportunità che si aprono nei confronti delle aziende cinesi che hanno bisogno di tecnologia straniera per diventare avanguardia dell’innovazione, comprendere le dinamiche del mercato retail per intercettare i nuovi consumi ed essere capaci di diventare interlocutori per rappresentare i nuovi competitor Made in China che si vogliono aprire ai mercati globali nell’arco dei prossimi 5-10 anni. E per quelle imprese che in passato non hanno investito in maniera appropriata, tenere presente che vi sono ampi spazi per migliorare la propria posizione e ottenere risultati in linea con le potenzialità di questo grande mercato, a patto di essere capaci di cambiare il proprio modello di business, la struttura di management e di migliorare la propria efficienza operativa.

 

Fonte: Centro Studi per l’Impresa di Fondazione Italia Cina

2017, Export Italia a +22%. Più di mille le imprese italiane attive sul mercato cinese

Quali sono i numeri delle imprese italiane in Cina? Secondo dati forniti dalle dogane cinesi nel 2017 è stata raggiunta la miglior performance di sempre dell’export italiano, per la prima volta sopra i 20 miliardi di dollari, superando così il primato stabilito nel 2014; è stata registrata una crescita superiore al 22%, la miglior crescita di un Paese Ue in Cina. L’import italiano dalla Cina è invece pari a 29,28 miliardi di dollari (+10,24%, record dal 2011). Per quanto riguarda la demografia delle imprese italiane, secondo l’Istat, al 31 dicembre 2015 in Cina erano attive 1.071 imprese a controllo italiano, di cui 578 nel comparto industriale e 493 nei servizi (incluse le attività commercia¬li). Un volume di imprese che conta complessivamente 132.675 addetti, di cui 89.662 nelle imprese industriali e 43.013 nelle imprese commerciali e di servizio, mentre il loro fatturato complessivo è pari a 15,8 miliardi di euro.

Fonte: Centro Studi per l’Impresa di Fondazione Italia Cina
La tecnologia avanza. La Cina punta all’eccellenza di prodotto

Secondo gli studi di Fondazione Italia Cina, l’aumento totale dei costi aziendali è un fattore ormai strutturale del sistema economico cinese, che spingerà le imprese italiane a rivedere le proprie strategie aziendali nel paese del nuovo capitalismo asiatico. Nel corso dell’ultimo quinquennio l’offerta di lavoro si è contratta e i costi del lavoro sono aumentati rapidamente, balzando in cima alla lista delle sfide operative per i dirigenti di aziende produttive localizzate in svariati settori. Se in passato, nel settore manifatturiero, la crescita della produttività è stata spinta dagli investimenti in capitale fisso, oggi i principali driver di crescita si riferiscono al raggiungimento dell’eccellenza operativa, che incide sulla produttività di tutti i fattori di produzione tramite innovazione tecnologica, ammodernamento delle strutture, meccanizzazione, dematerializzazione e informatizzazione, oltre all’aggiornamento dei modelli di business. «Il ritmo – dice Fasulo – è scandito dall’innovazione».

 

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Una veduta di Shangai
Il fenomeno dell’urbanizzazione spinge i consumi

Le aziende italiane devono essere attente alle possibilità di crescita dei consumi non soltanto nelle principali città cinesi, ma in molte città che sono a noi sconosciute. Cina non è solo Pechino, Shanghai e poco altro: le città cinesi con oltre 1 milione di abitanti sono ad oggi 265, contro le 17 dell’Unione Europea e le 9 degli Stati Uniti. Basti questo dato a sottolineare le enormi potenzialità ancora da cogliere di un mondo e di un mercato davvero vasti. Secondo i dati pubblicati dall’Ufficio nazionale di statistica cinese, a fine 2017 la popolazione ha superato quota 1,39 miliardi di abitanti e la popolazione urbana, a partire dal 2011, ha superato quella rurale. Sono ben 813,47 milioni le persone che dimorano nelle aree metropolitane ,il 58,52% del totale della popolazione. «Si tratta del più grande processo di urbanizzazione della storia», si afferma nel Report 2018 elaborato dalla Fondazione: da oltre vent’ anni tra i 15 e i 20 milioni di persone si sono trasferite dalle campagne alle città, ed è questo il principale driver della grande crescita dei consumi cinesi. Non solo, l’aumento di ricchezza nella classe media ha generato un nuovo impulso ai consumi e si è affermata una nuova classe emergente con una capacità di spesa elevata, basti pensare che il 30% degli acquisti di lusso a livello globale avviene in Cina.

Fonte: Centro Studi per l’Impresa di Fondazione Italia Cina
WeChat, come relazionarsi con il mercato cinese

Attenzione, attenzione, attenzione al commercio elettronico e ai social. E’ un passaggio fondamentale per chiunque voglia mettere piedi nel nuovo mercato. I marchi del lusso raggiungono i consumatori non solo tramite i principali e-tailers del Paese, come Tmall, Secoo e JD.com, ma anche attraverso le proprie apps di shopping online, sempre più numerose su WeChat. Un segnale che non è stato ancora compreso pienamente dalle aziende italiane che hanno prodotti Made in Italy di alto profilo. Le dinamiche del mercato digitale vanno comprese e valutato attentamente poiché la Cina non segue le stesse regole dell’occidente: il motore di ricerca più utilizzato è Baidu, dove avviene il 75% delle ricerche, e il principale social media è WeChat (di proprietà Tencent). Nata come piattaforma di messaggistica, WeChat ha gradualmente aumentato la propria popolarità grazie ad avanzate e innovative funzioni: gli utenti possono eseguire prenotazioni (taxi, ristoranti e voli), trasferire i soldi ad altri contatti e fare acquisti online e offline. A questo proposito è interessante evidenziare come la funzione di pagamento WeChatPay è sempre più utilizzata e in pochi anni ha raggiunto la quota di mercato di AliPay (39%), il sistema di pagamento del colosso dell’e-commerce Alibaba.

Capire il mercato cinese. Attenzione al management

In considerazione dell’attuale evoluzione dell’economia cinese e delle maggiori complessità che si stanno evidenziando, il consiglio alle imprese italiane è di adottare una strategia che tenga conto di molteplici fattori. Per quelle aziende che puntano ad avere successo sul mercato di massa cinese, si deve adottare un approccio del tutto diverso e innovativo, che implica decisioni difficili riguardo il management e la dimensione operativa. Le società devono assumere un management adatto, strutturarsi opportunamente e raggiungere l’eccellenza dal punto di vista operativo. Non ultimo, il successo nel mercato high-end cinese è sempre più determinato da fattori quali un buon rapporto qualità/prezzo, efficace attività di marketing e di sviluppo del marchio, distribuzione efficiente e una profonda capacità di comprensione dei bisogni del consumatore di riferimento.

 

Visitatori cinesi all’ ultima Rassegna Specializzata BiMu di MIlano

 

Comprendere la cultura e gli stili di vita. Non fare l’errore di Dolce & Gabbana

Le imprese che vogliono costruire una presenza di successo in Cina devono dedicare massima attenzione a questo aspetto, investendo adeguatamente nella formazione del management con momenti specificamente mirati alla conoscenza e alla comprensione di cultura o stili di vita, o meglio ancora scegliendo manager che possano già vantare una profonda conoscenza del mercato locale e del settore di riferimento, dando la priorità a manager già residenti, oppure con comprovate esperienze in Cina. «La scelta di un manager locale può facilitare il radicamento dell’impresa estera nel mercato cinese e aiutarla ad offrire al cliente prodotti e servizi appositamente pensati per le sue esigenze, dice Francesco Boggio Ferraris della Scuola di Formazione Permanente della Fondazione Italia Cina. Non è infatti un caso che le imprese che hanno finora investito con successo sono quelle che hanno assunto manager esperti nei rispettivi settori. Tutto questo ha contribuito a ottenere risultati lusinghieri e migliorato significativamente la visibilità del brand sul territorio».

 

Fonte: Centro Studi per l’Impresa di Fondazione Italia Cina

I settori in futuro più performanti e le esperienze delle aziende italiane

Arredobagno, il volume di vendite è legato alla capacità di fare aggregazione tra imprese

In base ai dati forniti dall’Associazione, il volume delle esportazioni del settore Arredobagno italiano nel mondo  è di 1,2 miliardi di euro, equivalente a poco meno del 50% del fatturato globale valutato in 2,5 miliardi. La Cina è pressoché assente, a genera solo l’1,5% dell’export. I mercati di riferimento continuano a essere Europa e Russia. Eppure, vi sono delle nuove opportunità, che nascono per esempio dall’attrezzare bagni prefabbricati, vale a dire soluzioni integrate pronte per essere installate nei grandi edifici residenziali che si stanno costruendo in ampie aree del Paese. «E’ un’opportunità – dice Paolo Pastorino, presidente dell’Associazione – che deve mettere in moto network di imprese poiché la tipica azienda italiana attiva in questo settore è generalmente un’azienda mono prodotto con un giro d’affari che si aggira nell’ordine di 15- 20 milioni di euro e non più di 50 dipendenti. Il limite per queste aziende è dato dalla difficoltà di sostenere il rischio di importanti investimenti necessari per aprirsi uno sbocco sul mercato cinese e alla capacità di creare una rete di relazioni efficiente e allineata alle dinamiche del mercato. Per soddisfare un nuovo tipo di domanda, basata su forniture progettuali complete, è importante sapere aggregarsi e trovare i partner adatti per inserirsi all’interno di circuiti imprenditoriali che possano portare avanti un progetti commerciali avanzati».

 

Un momento del Forum Fimi dedicato alla Cina

 

Tessile, il Made in Italy non basta. Attenzione massima alle relazioni e alle dinamiche del digitale

«La Cina è sempre stata per noi un’opportunità, dice Ercole Belotto, Presidente di Milano Unica, la fiera di riferimento dei tessuti e dettagli per l’abbigliamento. L’obiettivo è stato quello di fare squadra per promuovere il Made in Italy del tessuto e oggi la Cina è diventato il nostro primo mercato del tessile italiano. Nel corso di tutti questi anni abbiamo imparato che per avere successo occorre tanta pazienza e capacità di creare relazioni. Non ultimo, tenere sempre in mente che la Cina è Paese di grande cultura, e non pensare di essere in grado di dare loro tutte le possibili risposte. Gli affari nascono da una disponibilità a un confronto. La Cina, è banale dirlo, sarà il più grande mercato al mondo. Per un’impresa italiana non esserci è un suicidio. E’ un Paese enorme che finora abbiamo toccato solo in superficie.»

«Dobbiamo essere sempre più presenti come sistema Italia perché il difetto è pensare che basti il Made in Italy per avere le porte aperte. Occorre avere la consapevolezza dei limiti legati al fatto di essere aziende di piccole dimensioni; occorre comprendere le dinamiche del mercato e capire come muoversi. E stare attenti a quello che succede nel digitale. WeChat, per esempio, sta facendo degli esperimenti omnichannel molto interessanti. E hanno acquistato un gruppo da 22mila punti vendita con l’obiettivo di mettere a punto efficienti sistemi di integrazione offline online».

 

Fonte: Centro Studi per l’Impresa di Fondazione Italia Cina
Bugatti, 3 milioni di bastoncini di riso. Made in Lumezzane, Corea e Cina

Nata nel 1923 a Lumezzane, nel bresciano, Ilcar Bugatti conta 220 dipendenti ed è un’azienda che esporta l’85% della propria produzione, fatta di posate e piccoli elettrodomestici, grazie alla qualità del Made in Italy. Ha iniziato a guardare alla Corea più di vent’anni fa, Paese da dove oggi arriva la più grande quota di export. Ora è la volta della Cina. «Vendiamo le posate più costose al mondo ed esportiamo circa 3 milioni di bastoncini di riso, dice il direttore generale Clemente Bugatti. Sì, proprio così, bastoncini di riso Made in Lumezzane, prezzo medio 15 euro l’uno. Chi l’avrebbe mai detto? Noi italiani che esportiamo chopstick in Asia! Siamo la testimonianza che esiste da parte dei cinesi la disponibilità a comprare prodotti di qualità».

Anche per Bugatti, l’elemento centrale per riuscire a impostare un percorso di crescita economicamente sostenibile è trovare dei partner competenti e affidabili. Ecco, quindi, l’idea di mettere insieme un’offerta più ampia con elettrodomestici e componenti d’arredamento cucina. Piani cotture, cappe aspiranti, lavastoviglie, il tutto grazie a una triangolazione con produttori italiani e partner e produttori cinesi. «Gli elettrodomestici li produciamo in Cina, perché in Italia non riusciamo a trovare nessuno disposto a costruirli con il nostro marchio. Nel giro di due anni dovremo riuscire ad arrivare a consegnare la nostra offerta in 122 mila appartamenti cinesi.» Una espansione che non trascura il digitale come canale di promozione. «Stiamo avviando la prima vera iniziativa e-commerce portando il nostro flagship store su Tmall. Sappiamo sin dall’inizio che sarà un bagno di sangue e che non ci sarà nessun ritorno immediato, ma è indispensabile per creare brand awareness. Nella nostra esperienza – aggiunge Bugatti – un elemento chiave per avere successo è l’unicità del prodotto, la qualità e soprattutto la spasmodica ricerca del partner giusto. La produzione in Cina? Certo perché significa sviluppare una strategia che guarda al lungo termine».

 

Fabio Pedrazzi, consigliere delegato di Gruppo Beghelli

 

Beghelli illumina l’industria cinese, ma è il marchio a dettare la qualità

La bolognese Beghelli è presente in Cina con tecnologia, prodotti e soluzioni per l’illuminazione industriale. La produzione in loco genera un giro d’affari di circa 30 milioni di euro su un fatturato complessivo di 180 milioni di euro. Ma a differenza di Bugatti e Milano Unica, Fabio Pedrazzi, consigliere delegato di Gruppo Beghelli, non è convinto che sia il Made in Italy il fattore competitivo e differenziante. «E’ il marchio che conta. Noi abbiamo produzione in Italia, Germania, Repubblica Ceca, Canada e Cina. In Cina si produce per il mercato italiano e cinese; in Germania si fanno prodotti e componenti per il mercato tedesco e italiano. Si sfruttano le singole specializzazioni produttive. E’ il marchio a rappresentare la qualità e non tanto il fatto che sia costruito in un particolare posto. Certo, la filosofia di prodotto nasce sul tavolo di Beghelli e la sintesi decisionale continua ad essere fatta a Bologna, ma questa è una storia diversa ».

«Cina, Germania, Italia: la differenza del prodotto la fa la capacità ingegneristica. Non esiste un’equazione, qualità uguale area geografica. Dipende da quanto un’azienda investe. D’altra parte l’automazione ha creato produttività riducendo l’incidenza della manodopera. E una fabbrica a elevata automazione la si può replicare ovunque. Nel nostro sito in Repubblica Ceca produciamo tutto ciò che è a struttura metallica perché lì c’è più esperienza di quanto non ce ne sia in Italia dove invece siamo molto più esperti nello stampaggio del termoplastico. E’ una scelta industriale». Una politica globale che ha fatto sì che il 50% dei lavoratori Beghelli risiedano oggi fuori dall’Italia. Per quanto riguarda le criticità del mercato «Sempre tenere a mente che la struttura è diversa, che non esistono l’equivalente di nostri grossisti, che il contatto di vendita deve avvenire attraverso studi di progettazione, afferma Pedrazzi. Cose che noi abbiamo capito nel corso del tempo ,superando difficoltà, fallimenti e grandissimi errori frutto della non conoscenza del mercato e delle abitudini».

Attenzione all’e-commerce e agli influencer

L’e-commerce è la porta di accesso principale al mercato cinese ed è importante sapere che esiste una legge del governo che si chiama Cross Border E-commerce Economy che favorisce l’acquisto di prodotti esteri con una detassazione di circa il 30%. «E’ un Paese che non ha avuto una tradizione retail come quello italiano ed è passato direttamente alla vendita digitale», spiega Giulio Finzi, senior partner di Netcomm. L’80% dei clienti del lusso online ha meno di 35 anni, circa 20 anni in meno dei clienti che acquistano in Europa. Ci sono i grandi marketplace, in primis Alibaba, e l’ecosistema social è un sistema che gestisce la vita quotidiana. Con lo smartphone i cinesi fanno letteralmente tutto, pagando via WeChat o Alipay.

«E ricordatevi – aggiunge Finzi – senza influencer in Cina non si fa nulla. Certo, le relazioni personali sono fondamentali, ma prima o dopo dovete usare WeChat ed essere disposti a un dialogo digitale continuo. Non provate a mandare un’email a un cinese perché non la usa». Per aiutare le imprese di piccole dimensioni ad accedere al mercato cinese, Netcomm sta portando avanti un primo progetto collettivo di vendita online per il distretto della cosmetica italiana. 15 imprese su un unico store che verrà aperto su Tmall. In questo modo il costo di quasi mezzo milione di euro potrà essere ripartito tra tutte le aziende partecipanti, rendendo accessibile l’investimento. «Seguiranno altre iniziative, dice Finzi, una dedicata al mondo dei gioielli e una al settore calzaturiero. L’unica strada per tante imprese italiane è l’aggregazione e digitalmente è più facile».














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