Ma che cosa è davvero successo ai capi azienda durante e dopo la pandemia?

di Marco Scotti ♦︎ Kpmg pubblica il consueto "Global Ceo Outlook", il primo dell'era Covid. Un mondo completamente stravolto in cui le priorità sono mutate: al primo posto non c'è più "fare profitto ad ogni costo" ma, nel 20% dei casi, trovare i talenti giusti. Si conferma l'impegno per 7 manager su 10 nella sostenibilità. Il 30% degli intervistati teme per il crollo dell'economia globale

Come è cambiato il mestiere di amministratore delegato a seguito della pandemia da Coronavirus? Quali sono i nuovi obiettivi da perseguire e quali le nuove strategie da mettere in campo? È la domanda a cui ha provato a rispondere Kpmg, una delle “big four” della consulenza, che quest’anno ha raddoppiato la sua usuale survey dal titolo “Global Ceo Outlook”: una, come d’uso, a gennaio, la seconda tra luglio e inizio agosto. In questo modo ha potuto vedere quanto profondo sia stato il solco. In sei mesi, dunque, la percezione è completamente mutata sia per quanto riguarda lo scenario generale, sia per quello che concerne la singola azienda.

Lo studio ha riguardato 1.300 amministratori delegati tra gennaio e febbraio, cui ha fatto seguito un “secondo round” tra luglio e agosto in cui sono stati coinvolti 315 dirigenti di aziende con fatturati compresi tra i 500 milioni e i 10 miliardi di dollari. Colpisce, ad esempio, che dal 77% di ottimisti sull’economia nazionale si sia passati al 45% nel breve volgere di metà anno. Ma d’altronde un cigno nero – se ce n’è uno – come quello del Coronavirus è probabilmente l’evento più inatteso nel mondo moderno. Anche le previsioni sulla crescita aziendale sono precipitate: se solo il 3% prevedeva, a gennaio, profitti pari o minori di 0 per i successivi tre anni, questo dato saliva al 23% nel mese di luglio e agosto. Allo stesso tempo, una percentuale del 35%, in calo di 11 punti rispetto a sei mesi prima, prevedeva questo dato in miglioramento di almeno il 2,5% nei tre anni successivi.







E non è un caso, dunque, che il numero uno di Kpmg International, Bill Thomas abbia commentato la ricerca in modo piuttosto netto. «Il cambiamento significativo nelle priorità dei Ceo negli ultimi 6 mesi – ha detto – è una chiara indicazione che le aziende hanno dovuto ruotare a una velocità vertiginosa per affrontare le sfide della pandemia. I leader aziendali di tutto il mondo cercano di gestire l’incertezza con decisione. Questa crisi ha accelerato le strategie già in atto in materia di digitalizzazione e responsabilità sociale. Tuttavia, in altre aree la pianificazione per il futuro è molto più difficile, in particolare pensare ai modi futuri di lavorare e risolvere i problemi. Quindi forse non sorprende che i Ceo siano concentrati sull’importanza del talento per sostenere e far crescere qualsiasi attività futura».

I ceo hanno perso progressivamente fiducia nell’economia globale

Dunque che cosa cambia? Tutto, sostanzialmente, seppur con qualche tema che rimane immutato. In primo luogo, la necessità di tenere i migliori talenti in azienda, argomento quasi negletto a gennaio che diventa la prima priorità dei manager. E poi si introducono nuovi argomenti, come il “purpose”, lo scopo, che è un fattore emotivo che lega il ceo alla sua azienda. Una corrispondenza d’amorosi sensi – avrebbe detto Foscolo nei Sepolcri – che per 8 manager su 10 diventa pietra angolare su cui costruire il rapporto con l’azienda. Ma ci sono anche cavalli che rimangono in testa tra le priorità dei Ceo: è il caso del cambiamento climatico, e degli sforzi necessari per ridurre l’impatto ambientale delle società; e la digital transformation, un processo già in atto prima del Covid e che è diventato ancora più urgente con il proliferare della pandemia. Anche perché il Coronavirus non ha fatto sconti nemmeno ai piani alti delle aziende, con quattro amministratori delegati su dieci che dichiarano di aver contratto il virus o di aver avuto un familiare o un amico colpito dalla malattia. Rimane evidente un’unica discrasia, ovvero che mentre la fiducia nell’economia globale è precipitata per una buona fetta dei manager intervistati, rimane positivo il giudizio sul futuro dell’azienda e sull’incremento del fatturato nonostante la grave crisi economica. Segno evidente che i ceo vivono un rapporto strettissimo con la compagnia che guidano e che, di conseguenza, sono disposti a scommettere su di essa più che sullo scenario mondiale in cui si muove. Un’ulteriore prova di fiducia.

 

La gestione dei talenti è la nuova priorità

CEO Outlook – Variazione percezione rischi per il business e le nuove esigenze nel post-pandemia

La prima e più ovvia conseguenza del Coronavirus è rappresentata dal profondo e radicale cambiamento delle interazioni sociali. Gli spostamenti vengono ridotti al minimo, la postazione di lavoro si virtualizza, il remote working diventa la regola. In questo scenario, i ceo hanno un nuovo, duplice problema: come mantenere le persone più valide in azienda, attraverso quali meccanismi di valutazione e con quali obiettivi; e come modificare le strategie di recruiting. «La gestione dei talenti – ci raccontano da Kpmg – non riguarda soltanto il mantenimento di quelli che già ci sono, che pure è un tema enorme, ma riguarda anche l’attrazione di nuove figure professionali. Il recruiting cambia completamente perché molto spesso bisogna affidarsi esclusivamente alle tecnologie digitali. Un giro di vite per quanto concerne anche le relazioni individuali e perfino le modalità di valutazione interne. Sono tutte sfide che le direzioni delle risorse umane stanno affrontando in questo momento e l’individuazione stessa dei talenti cambia, bisogna fidarsi delle persone che lavorano nel team».

Per questo motivo si può notare come la gestione dei talenti sia passata da preoccupazione di secondo piano, che era inserita tra le priorità soltanto dall’1% del campione intervistato da Kpmg a “chiodo fisso” numero uno, con il 21% dei ceo che si è dovuto preoccupare di tenere e attrarre i migliori talenti. Un percorso analogo è quello fatto dalle tematiche relative alla supply chain e alla gestione dell’intera filiera. Un tema poco cogente a gennaio (solo il 2% degli amministratori delegati ne parlava) ma che è diventato enormemente significativo a luglio quando, a lockdown terminato, ci si è resi conto che il sistema poteva andare in crisi. «Non solo – aggiungono da Kpmg – ci sono anche delle preoccupazioni che riguardano il possibile ritorno di sovranismi e territorialismi (che pure sembrano meno potenti a mano a mano che ci si allontana dall’emergenza, ndr) perché la pandemia porta in genere a un incremento dei nazionalismi. E questo ha un ovvio riscontro sull’intera catena di fornitura».

 

La percezione e il contatto con il Coronavirus come motivo per cambiare mentalità

Il Coronavirus ha cambiato le prospettive dei ceo nei confronti del business. Fonte Kpmg

Come detto, il 39% dei Ceo intervistati ha avuto a che fare in qualche modo con il Coronavirus: in parte perché hanno contratto in prima persona l’infezione, in parte perché hanno avuto parenti o amici coinvolti dal Covid. Il risultato è che il 55% degli amministratori delegati ha cambiato il proprio modo di approcciare il business. In particolare: il 2% ha attuato una modifica totale della propria strategia e del proprio modo di gestire la leadership. Il 18% è rimasto talmente colpito da come il Coronavirus ha potuto stravolgere le vite delle altre persone che, una volta avutone contezza, ha deciso di modificare. Il 35% ha rilevato di aver avuto “qualche impatto” sulla propria strategia. Solo il 4% ha invece dichiarato di non aver modificato nulla nella modalità di indirizzare la propria strategia e la propria attenzione al business.

Un altro corollario di questa nuova percezione è rappresentato dal fatto che molti leader hanno tagliato i propri stipendi come effetto del nuovo business. Due terzi lo hanno fatto a causa della crisi economica scaturita dalla pandemia, mentre poco meno della metà ha scelto di ridurre i bonus futuri. Infine il 30% del campione ha deciso di donare in beneficenza parte del proprio stipendio.

 

Un nuovo senso di “scopo” e un accento sulla diversità

Un tema particolarmente interessante introdotto dal Coronavirus è quello relativo allo “scopo” per cui si fa business. Già da tempo il paradigma capitalistico per cui il profitto è il principale (per non dire l’unico) obiettivo con cui un amministratore delegato può generare valore per gli stakeholder appariva un concetto superato. «Ma ora – ci dicono da Kpmg – il Covid ha accelerato la richiesta di cambiamento sociale e ha aggiunto un ulteriore controllo da parte degli stakeholder. Questo significa che i Ceo hanno dovuto iniziare a porsi delle domande diverse: il 79% degli intervistati, dunque, ha affermato di aver rivalutato lo scopo della propria organizzazione. Analoga percentuale afferma inoltre di sentire un legame emotivo più forte con l’impresa per cui lavora dall’inizio della crisi economica».

Questo ha in parte accelerato gli sforzi delle imprese per affrontare gli sforzi relative alle tematiche ambientali, sociali e di governance (che vengono racchiuse nell’acronimo ESG). A seguito delle pressioni pandemiche immediate, stanno di fatto intensificando gli sforzi, concentrandosi sulla dimensione “sociale” dei fattori ESG. Sei amministratori delegati su dieci (63%) ammettono che la pandemia ha spostato la propria attenzione verso questa componente. Il tema dell’ambiente e della sostenibilità, già ampiamente dibattuto prima del Covid, è rimasto di grande attualità anche nel post-lockdown, anche se è scivolato dal primo al quarto posto nella classifica delle priorità dei ceo.

Gli amministratori delegati hanno ulteriormente intensificato gli sforzi per combattere il climate change

Il 71% del campione intervistato ha dichiarato di voler accelerare nel perseguimento degli obiettivi di sostenibilità che si era posto prima dell’avvento della pandemia. Un tema, questo, particolarmente interessante per le aziende più grandi, quelle cioè con oltre 10 miliardi di dollari di ricavi. Il 65% degli amministratori delegati, poi, riconosce che chi saprà gestire meglio queste nuove esigenze avrà un grande vantaggio competitivo nei prossimi cinque anni.

Infine, sulla scia delle proteste scoppiate dopo la morte di George Floyd il 25 maggio scorso, l’81% delle organizzazioni introdurrà nuove misure contro il razzismo – il 30% lo ha già fatto e il 51% prevede di farlo a breve. La maggior parte dei leader (73%) è fiduciosa nelle attuali misure antidiscriminazione e antirazzismo della propria azienda e solo il 7% è disposto ad ammettere che manca di fiducia.

 

Come cambiano le dinamiche dei luoghi di lavoro

Nonostante le barriere fisiche, la maggior parte dei CEO (68%) si sente più collegata alla propria forza lavoro in seguito a questa pandemia e oltre tre quarti (77%) delle aziende continuerà ad adottare strumenti di comunicazione e collaborazione digitale. Questi cambiamenti significano che tre quarti (75%) delle aziende stanno cercando di cambiare le proprie strategie di reclutamento poiché il lavoro a distanza ha ampliato il loro potenziale pool di possibili dipendenti per posizioni future. Questo sviluppo è in linea con il fatto che il 69% degli amministratori delegati ha dichiarato che le proprie aziende ridimensioneranno i propri uffici a breve termine.

I dati sottolineano che i ceo che sono stati personalmente colpiti dalla pandemia hanno maggiori probabilità di aver migliorato le loro comunicazioni ai dipendenti durante questa crisi. Con tre quarti (75%) dei dirigenti senior con impatto personale che citano un miglioramento modellato dalle loro esperienze personali, in contrasto con il 63% dei leader che non hanno subito un impatto personale che ha citato un miglioramento nelle loro interazioni con i dipendenti. Per proteggersi da ulteriori interruzioni senza precedenti, i Ceo scommettono sulla trasformazione digitale e la stragrande maggioranza (81%) ha visto accelerare i propri programmi di trasformazione durante il periodo di blocco. Il progresso più grande è stato nella digitalizzazione delle operazioni, dove il 30% afferma che il progresso le ha portate anni prima di dove si sarebbero aspettati di essere in questo momento.

 

La metodologia utilizzata da Kpmg

 

Bill Thomas, Global Chairman di KPMG

La “Global Ceo Outlook” di Kpmg per il 2020 fornisce una prospettiva triennale approfondita dei dirigenti globali sulla crescita aziendale ed economica. Kpmg ha inizialmente intervistato 1.300 amministratori delegati a gennaio e febbraio, prima che molti mercati chiave iniziassero a sentire il pieno impatto della crisi pandemica. In luglio / agosto (dal 6 luglio al 5 agosto 2020), Kpmg ha condotto un sondaggio di follow-up su 315 amministratori delegati in tutto il mondo per capire come si è evoluto il pensiero dei Ceo durante la crisi. In entrambi i casi, un terzo delle aziende intervistate ha più di 10 miliardi di dollari di fatturato annuo.

L’indagine di gennaio / febbraio includeva leader di 11 mercati chiave (Australia, Cina, Francia, Germania, India, Italia, Giappone, Paesi Bassi, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti) e 11 settori industriali chiave (gestione patrimoniale, automobilistico, bancario, consumo e vendita al dettaglio , energia, infrastrutture, assicurazioni, scienze della vita, produzione, tecnologia e telecomunicazioni). L’indagine successiva comprendeva amministratori delegati dei settori sopra menzionati e di otto mercati chiave (Australia, Canada, Cina, Francia, Italia, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti).














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