Iveco pronta a passare a Faw: tutte le spine della nuova manovra di Exor

di Marco Scotti ♦︎ Gli Agnelli-Elkann vogliono cedere per una cifra intorno ai 3,6 miliardi alla più grande azienda automotive cinese partecipata dal governo. Ma si tratta di un’operazione che potrebbe chiamare in causa il Copasir e che ha già allarmato i sindacati

Iveco sarebbe in procinto di venire ceduta ai cinesi di Faw, il più grande gruppo automobilistico cinese partecipato direttamente dal governo con un fatturato di oltre 78 miliardi di euro. Iveco, dal canto suo, arriva a quasi 11 miliardi e negli ultimi anni si è distinta soprattutto per una ricerca sempre più puntuale nelle nuove forme di propulsione. Il metano liquido, il bio-gas, l’idrogeno e l’elettrico sono i quattro pilastri su cui si fonda l’offerta dell’azienda torinese che ha da poco avviato una partnership con la statunitense Nikola proprio nell’ambito dell’elettrificazione dei tir.

A fine dicembre Iveco ha consegnato a Bologna tre autobus elettrici per la gestione del trasporto pubblico. Si tratta di veicoli della linea e-Way, primi esemplari di midibus full electric ad essere consegnati in Europa. La struttura è realizzata interamente in acciaio Inox e ospita un motore asincrono Siemens da 160 KW alimentato da un pacco batterie ad alta energia a ricarica notturna da 245 KW, alloggiate sul tetto e nel portellone. Con una ricarica di  sei ore il veicolo può essere utilizzato per l’intera giornata lavorativa.







Fpt Industrial e Iveco, i due brand di Cnh Industrial che progettano e producono rispettivamente motori e veicoli industriali e speciali, hanno firmato con Snam a novembre un Memorandum d’Intesa per una cooperazione tecnologica e commerciale al fine di contribuire alla decarbonizzazione del settore dei trasporti a livello italiano e internazionale attraverso lo sviluppo della biomobilità (gas naturale e biometano) e dell’idrogeno. L’accordo prevede in primo luogo l’avvio di una collaborazione tra i tre partner con la finalità di promuovere il ruolo centrale della mobilità a gas naturale (bioGNC e bioGNL) e a idrogeno, anche attraverso modelli di business innovativi finalizzati all’offerta di soluzioni end-to-end per veicoli commerciali leggeri, pesanti e autobus.

John Elkann, presidente di Stellantis e presidente e ad di Exor. Foto credits Di Exor S.p.A.

L’obiettivo è sviluppare offerte di mobilità sostenibile integrata utili a favorire l’ulteriore diffusione dei veicoli a trazione alternativa, condividendo la strategia per uno sviluppo sinergico tra il parco circolante e la rete di distribuzione. In questo senso, la collaborazione si focalizzerà anche sulla redazione di studi volti alla progettazione e sperimentazione di infrastrutture, tecnologie e soluzioni di rifornimento innovative per le flotte e i clienti professionali.

Fpt Industrial, Iveco e Snam, inoltre, intendono collaborare su progetti di mobilità sostenibile nell’ambito degli autobus per il trasporto pubblico locale e dei veicoli destinati ai servizi di pubblica utilità: in questo contesto sono previste ulteriori iniziative congiunte di engagement e advocacy con le istituzioni a livello regionale, nazionale ed europeo, volte a facilitare la diffusione di soluzioni di mobilità sostenibile basate su gas naturale e idrogeno.

Il passaggio – ancora tutto da confermare – di Iveco ai cinesi ha diverse letture. In primo luogo, dimostra come gli Agnelli abbiano ormai deciso da tempo di abbandonare qualsiasi forma di “italianità” per dare vita a un’azienda paneuropea (e non solo) che tuteli gli interessi degli azionisti. Exor, da questo punto di vista, è dunque una holding con un forte orientamento al business, che nulla ha più a che spartire con il paese di provenienza cui comunque dovrebbe un po’ di gratitudine in più.

Va letta in questo senso l’intenzione di puntare due miliardi sullo stabilimento polacco di Tychy. Ad annunciarlo il vicepremier polacco, Gowin, che ha dichiarato su Twitter che lì verranno prodotte “auto moderne, ibride ed elettriche a marchio Jeep, Fiat e Alfa Romeo” a partire dal 2022. È risaputo che la manodopera in Polonia è decisamente a buon mercato, tanto che lo stipendio medio è di circa 600 euro contro i 1.364 di un operaio italiano. Facile immaginare che la politica di contenimento dei costi abbia fatto propendere per un ampliamento delle linee nel paese dell’est.

Scott Wine, ceo Cnh Industrial

Non va dimenticata la vendita di Magneti Marelli (oggi solo Marelli) per portare agli azionisti un lauto dividendo. E non va neanche dimenticata la transizione, poi saltata, con i francesi di Covea per cedere – per 9 miliardi di euro e 2,1 di plusvalenza – PartnerRe. John Elkann ha deciso già da tempo che cosa vuole fare: rendere più snello il business di Exor, monetizzare quanto più possibile e dare una struttura robusta e “core” a Fca, che non per niente ha fuso con Psa.

Ma torniamo alla trattativa con Faw: la vendita potrebbe essere un’alternativa al piano presentato da Cnh Industrial a settembre del 2019 per dividersi ulteriormente il business dei mezzi da lavoro. Da una parte Iveco, con i veicoli commerciali, gli autobus e i camion; dall’altra New Holland con le macchine agricole. Inoltre, la scorsa estate proprio Faw offrì tre miliardi per i camion torinesi (con la proposta rispedita al mittente). A seguire, Shandong Heavy Industries ha messo sul piatto 3,5 miliardi. Ora, dunque, è facile immaginare che il nuovo tentativo preveda un investimento da almeno 3.600 milioni. Potrebbe però non essere una transazione così “liscia” come qualcuno potrebbe immaginare. Se per la nascita di Stellantis Exor ha condotto la trattativa con Psa come se fosse un qualsiasi soggetto privato, scordando per un secondo l’impegno economico nel nostro paese, i soldi ricevuti con garanzia Sace e l’impiego di decine di migliaia di persone in modo diretto e indiretto, ora potrebbe arrivare la Golden Power. Il potere di veto da parte dei governi europei, infatti, può essere esercitato sia per questioni che riguardano la sicurezza nazionale, sia per settori strategici come i trasporti, l’energia e le telecomunicazioni. E dunque l’esecutivo, che finora si è mostrato quanto meno passivo, potrebbe improvvisamente risvegliarsi dal suo torpore e bloccare la trattativa. O, almeno, chiedere ulteriori spiegazioni. C’è chi parla, addirittura, di un coinvolgimento del Copasir che potrebbe volerci vedere chiaro prima di autorizzare una trattativa che darebbe ampio potere ai cinesi nel nostro paese. Cinesi che, è bene ricordarlo, sono guardati quantomeno con sospetto in Europa e volutamente tenuti ai margini della partita sul 5G.

I sindacati, d’altronde, sono sul piede di guerra. «Un’eventuale acquisizione – hanno scritto Fim, Fiom, Uilm, Ugl, Fismic e Quadri in una nota congiunta – implica potenziali rischi occupazionali e industriali e un conseguente impoverimento del Paese. Purtroppo le aziende che hanno profonde radici nel tessuto industriale ed economico nel nostro paese e che rappresentano un’eccellenza in settori strategici come la mobilità e le motorizzazioni sono oggetto sempre più spesso di acquisizioni straniere». La preoccupazione è ai massimi livelli visto che Iveco dà lavoro a 23.000 persone nel nostro Paese. La trattativa con il gruppo automobilistico cinese Faw Jiefang riguarda gli autobus e i camion di Iveco e interessa lo stabilimento di Suzzara (Mantova), dove viene prodotto il Daily e quello di Brescia, da dove escono gli Eurocargo. I lavoratori interessati – secondo i dati sindacali – sono 1.684 a Suzzara e 2.259 a Brescia. In discussione c’è anche la possibile acquisizione di una quota di Fpt Industrial, la divisione motori, presente a Torino (2.450) e a Foggia (1.700). Ci sono poi gli impiegati degli enti centrali.

Ivec sarebbe in procinto di venire ceduta ai cinesi di Faw, il più grande gruppo automobilistico cinese partecipato direttamente dal governo con un fatturato di oltre 78 miliardi di euro

In realtà, è bene notare come le acquisizioni portate avanti dai capitali cinesi in Italia siano state decisamente meno da “lacrime e sangue” di tante altre operazioni interne. Pirelli o Kuka o Candy non hanno ridotto l’occupazione nostrana, anzi. Hanno portato denaro fresco impiegato per aumentare la produttività e i risultati dell’azienda. Come detto, invece, non mancano gli esempi di quel capitalismo italiano che tra una delocalizzazione e una chiusura ha saputo tagliare i costi sulla pelle dei lavoratori. E che dire dei grandi americani, da sempre salutati come i Messia, che hanno deciso di chiudere nel Meridione dopo estenuanti trattative con il Mise e annunci – un po’ avventati – di un accordo raggiunto?

Tra l’altro, dal momento che Dongfeng detiene il 5,6% di Stellantis, si rende necessario un passaggio istituzionale. John Elkann dovrà per forza di cose parlare con il governo. E potrebbero venirne fuori delle belle, anche perché l’impegno di Fca nel nostro paese rimane avvolto da una nube di sospetto che non si è ancora diradata. Ad esempio: che cosa succederà a tutta la catena di fornitura dei diversi segmenti che si è vista recapitare a luglio una lettera in cui si diceva che la piattaforma prescelta era quella di Psa e non quella di Fca? Che intenzioni si hanno con i vari stabilimenti ancora in cassa integrazione? Se l’elettrico rappresenterà per forza di cose una parte minoritaria delle vendite dell’ex Fiat almeno nell’immediato futuro, quali sono i modelli su cui si punterà?

Al momento quello che è certo è che la Stellantis neonata è già a forte trazione francese. Il consiglio di amministrazione vede prevalere Psa per sei membri a cinque. L’amministratore delegato, Carlos Tavares, proviene dalla Francia e non dall’Italia. Mike Manley, che aveva ceduto l’intero pacchetto azionario in suo possesso all’indomani delle notizie sulla possibile fusione con Peugeot, potrebbe andare a fare il capo delle Americhe per Stellantis. Un ruolo interessante visto che si punterà molto sul brand Jeep che in Usa è fortissimo e di cui proprio Manley era ceo. Ma basterà a un uomo che ha assaporato il vertice globale quello di essere a capo di una division, ancorché importante?

Quello che è certo è che Stellantis, al momento, è estremamente debole in Cina: poco più di 200mila vetture vendute all’anno, una vera inezia. E allora la cessione di Iveco potrebbe anche essere una sorta di escamotage per accreditarsi con Pechino e trovare nuove e più promettenti strategie commerciali. Sapendo, però, che la Cina è avanti anni luce rispetto ai costruttori occidentali in materia di auto elettrica. E che in genere qualsiasi trattativa con Pechino non è mai gratis, dai tempi di Marco Polo.














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