Isagro e le sue innovazioni in agrofarmaci, manifattura chimica, modello di business e….

di Marco de’ Francesco ♦ Andare oltre le convenzioni, rispettando le regole del gioco. È la proposta che Giorgio Basile, ad del gruppo in grado di competere con i big  delle crop protection, lancia alle medie imprese impegnate nella ricerca e sviluppo

 Originator è la parola chiave per comprendere la doppia innovazione (attraverso la ricerca in home e attraverso il business model) di cui Isagro – gruppo guidato da Giorgio Basile e operante nel segmento degli agrofarmaci, in cui investe sia nella invenzione che nello sviluppo di nuove molecole con basso impatto ambientale – si fa portatore, proponendosi al mondo della media impresa italiana come un possibile modello. Il lemma inglese originator comprende due distinte capacità: inventare e saper fare. Ed è quanto mette in pratica dal 1993 la società milanese con i suoi 600 dipendenti di cui ben 100 impegnati nella ricerca. Nella sua “cassetta degli attrezzi”, Isagro conta su uno spirito di avventura plasmato, nel tempo, dal suo amministratore delegato. Basile si spinge ad andare là dove altri non vanno, infrangendo convenzioni e tabù, ma mai le regole del gioco. Ne parleremo più avanti. Intanto, i risultati.







Giorgio Basile, A.D. e Presidente Isagro

 

Isagro prima e dopo la crisi globale

Prima della crisi finanziaria, Isagro era un gruppo con debiti per circa 180 milioni di Euro (dei quali circa 150 consolidati) e un patrimonio di circa 60 milioni di Euro: oggi, invece, la società milanese ha, a fronte di un patrimonio di circa 100 milioni, debiti finanziari per circa 50 milioni, peraltro tutti a fronte del solo capitale circolante. Isagro fattura, nel presente, 150 milioni, per l’80% all’estero (copre 80 Paesi) e produce le sue molecole in cinque unità produttive di cui quattro in Italia (una è in India). Isagro è l’unica società occidentale negli agrofarmaci operante a livello globale e che, pur non appartenendo al “gruppo dei grandi”, investe in ricerca innovativa il 10% delle vendite. Nel futuro, l’obiettivo a medio termine è quello di raggiungere 200 milioni di euro di ricavi.

Come è stato possibile? Come sarà possibile? «Il nostro payoff dichiara le intenzioni “Italian creativity for plant health” – dice Giorgio Basile – ovvero creatività italiana per la salute delle piante. Facciamo ricerca interamente in Italia portando avanti la tradizione della Montecatini prima e della Montedison poi (da cui Basile proviene, ndr) nei nostri centri: quello nuovo di Novara, quello di Galliera, vicino Bologna e quello in India. Per perseguire l’obiettivo ci facciamo guidare da un business model che abbiamo riassunto così: Global independent originator».

 

Serre Isagro

Global independent originator

Isagro è “originatore” perché si basa sull’invenzione e lo sviluppo di nuove molecole, estraendo valore dalla propria proprietà intellettuale anche attraverso accordi con terzi, così superando il vincolo della dimensione limitata rispetto agli altri originatori; “globale” perché – dato l’elevato valore da investire annualmente in ricerca e sviluppo, il time-to-market associato all’invenzione e allo sviluppo di nuove molecole e le dimensioni limitate del mercato domestico – l’estrazione di valore dalle sue invenzioni deve necessariamente avvenire su scala globale (così come la gestione della supply chain); e infine “indipendente” perché opera con una struttura di controllo che garantisce l’indipendenza gestionale dai “grandi operatori” e permette di rivolgersi, quali canali distributivi, principalmente a quel 20% di mercato non coperto dai “grandi”, che ha un valore di circa 10 miliardi di dollari.

Entriamo grazie a Giorgio Basile nel business model, tralasciando per ora di esso la voce patrimonializzazione. Occorre premettere che chi scopre molecole nuove ha un vantaggio competitivo, ma l’intero processo di sviluppo è lento e costosissimo. «Il processo completo di sviluppo di nuove molecole non è compatibile con le nostre dimensioni, e neppure con quelle di aziende un po’ più grandi di noi. Lo abbiamo capito sulla nostra pelle.- dice Basile- In passato abbiamo anche sviluppato in proprio nuove molecole. Giocare in proprio si è rivelata una strada pericolosa, per costi e tempi. Dal 2013 abbiamo inaugurato la stagione delle alleanze e della condivisione»

 

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                                                  Il mercato del crop protection

Il crop protection (Protezione del raccolto) rappresenta un mercato di 5,1 miliardi di dollari, a livello globale. La crescita stimata è del 2,2% al 2020. Attualmente il mercato è così suddiviso: la quota degli insetticidi è pari al 28%; quella degli erbicidi al 42%; quella dei fungicidi al 27%; quella di altri prodotti al 3%. Per area geografica, l’Europa (Russia asiatica compresa) vale il 22,7%; il Nafta (Usa, Canada, Messico) il 18,3%; l’Asia (senza la Russia asiatica e senza il Medio Oriente) e l’Oceania il 27,4%; Africa e Medio Oriente il 4,2%; il Centro e il Sud America il 27,4%.

Si tratta di un mercato largamente basato sull’innovazione. Ma il TTM (time-to-market: il tempo che intercorre dall’ideazione di un prodotto alla sua effettiva commercializzazione; ndr) è particolarmente lungo: 10-12 anni. Investimento per un pieno sviluppo di una nuova molecola: da 150 a 250 milioni di dollari. Un sacco di soldi. Un contesto in cui gli “originatori”, e cioè le industrie che realizzano nuove molecole, dispongono ancora di un vantaggio rispetto ai genericisti, e cioè quelle aziende che operano al di fuori della copertura brevettuale (che ha una durata temporale definita).

Il 20% dei prodotti è coperto da brevetto; l’80% no. Ma il 20% di questi ultimi prodotti sono commercializzati da originatori. La differenza si nota in termini di fatturato. I più importanti operatori con “molecule discovery” hanno revenue molto alte: Syngenta (10,5 miliardi di dollari); Bayer CropScience (10,1); Dow AgroSciences (4,9) e DuPont (3); BASF (6,5) e Monsanto (4,3). I fatturati dei maggiori operatori senza “molecule discovery” sono sensibilmente minori: FMC (2,6) Adama (2,9); Nufarm (2); Platform (1,8). Insomma, chi scopre molecole nuove ha un vantaggio.

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Condividere la proprietà intellettuale ai tempi di Industry 4.0

Isagro quindi ha affrontato la svolta ideando e mettendo in pratica nuovi meccanismi di alleanza e condivisione del rischio con primari operatori del mercato, che per qualità e caratteristiche dei relativi modelli di business li rendevano “complementari” alla società italiana o “verticalmente” lungo la catena di valore del business o “orizzontalmente” in singoli punti della catena del valore stessa. Sono tre le mosse perseguite.

Novara: ingresso Centro Ricerche e sito produttivo Isagro

Dapprima è stato siglato un accordo di partnership industriale con il gruppo statunitense Gowan, che è divenuto “il” socio di minoranza di Isagro, apportando risorse finanziarie e contratti distributivi per gli USA e per l’Italia.

Poi è stato deciso di co-sviluppare con dei partner le molecole originate dalla ricerca innovativa (aventi potenziale di vendita globale e richiedenti elevati investimenti), mantenendo diritti nei Paesi e Mercati di interesse strategico per Isagro, e superando un “tabù” storico per società fondate sulla Ricerca. Attraverso il co-sviluppo, Isagro “condivide” i frutti delle proprie invenzioni ma alleggerisce il peso degli investimenti diretti, allargando al contempo la base di estrazione e sfruttamento di valore della invenzioni e rendendo “più sicura” la propria porzione di profitto tramite il raggiungimento di una adeguata massa critica. Così, nel 2012 Isagro ha siglato un accordo con la società statunitense FMC per il co-sviluppo del nuovo fungicida ad ampio spettro Fluindapyr appartenente alla classe degli SDHi, originato appunto dalla Ricerca Isagro.

Infine ha affiancato allo sfruttamento diretto della propria Proprietà Intellettuale (tramite le vendite appunto dirette a distributori nazionali nel Mondo e il rafforzamento della struttura commerciale globale) anche il suo sfruttamento indiretto, tramite una estesa strategia di accordi con Terzi. Tra questi, vi è la nuova linea di business del Licensing, tramite la quale Isagro concede a terzi, a fronte di “proventi iniziali” e di contratti di fornitura di lungo termine e/o royalty, diritti di sfruttamento dei propri prodotti di proprietà per nuove miscele in segmenti e mercati non direttamente coperti, garantendo un allargamento della base di business sia per prodotti esistenti che per le nuove molecole.

Serre Isagro
Un modello operativo originale

Basile commenta: «In sintesi facciamo discovery, poi diamo in licenza a più parti terze il diritto di sfruttare le nostre molecole. In un certo senso, la nostra proprietà intellettuale è spezzettata, e ritrova la sua complementarietà sul mercato, per comparti e per continenti. Facciamo un esempio: io realizzo il prodotto A; e concedo a X il diritto di combinarlo con il prodotto B, e a Y quello di combinarlo con il prodotto C. Ovviamente l’allocazione avviene prevalentemente sul piano geografico. Così tra il 2013 e il 2016 abbiamo ottenuto ricavi per 25 milioni di euro all’istante zero. È solo l’inizio del gioco. Il modello è da poco operativo; ma vediamo avvicinarsi un orizzonte fruttuoso».

Del resto, secondo Basile: «Le big corporation del settore non hanno bisogno di noi; ma possiamo offrire competenze e prodotto a quelle un po’ meno big, quelle che viaggiano su fatturati attorno all’1,5 miliardi di euro e che non fanno ricerca. Noi la ricerca ce la teniamo stretta. Con un vantaggio netto: i ricercatori italiani sono bravissimi, per la Chimica. C’è una matrice culturale importante: quella della Montedison».

Stabilimento Isagro di Adria, Rovigo
Gli obiettivi a medio termine

Rispetto al 2013, in tal modo, l’azienda è avanzata quanto ad Ebitda, risultato ante imposte e risultato netto. Gli asset-chiave si chiamano tetraconazolo, rame, biosolutions, Isagro Asia e Fluindapyr. «L’obiettivo a medio termine – continua il presidente – è quello di raggiungere 200 milioni di euro di ricavi. Con la crescita del segmento Biosolutions (anche facendo leva sul nuovo Biofumigante), con nuove formulazioni a base di Rame, con lo sviluppo commerciale in Cina, Asia-Pacifico ed EEMEA (Europa, Medio Oriente e Africa), con le vendite di principi attivi di proprietà in qualità di Licensor e con nuovi accordi di Licensing».

In quanto alle direzioni della ricerca: Isagro dove intende andare? «Ci sono Paesi, come la Cina e l’India dove il potenziale degli agrofarmaci è molto considerevole – chiarisce Basile -; tuttavia, secondo me la ricerca è destinata ad orientarsi sempre di più verso soluzioni ecocompatibili. Certo, le nuove molecole devono essere efficaci; ma l’incremento dell’efficacia tende potenzialmente a zero, mentre quello dell’ecocompatibilità è ancora largamente possibile, oltre che richiesto dal mercato».

Isagro, laboratorio di ricerca
Sfidare le convenzioni rispettando le regole del gioco

Isagro dunque lancia alle sue simili italiane per taglia e mission (purché siano impegnate significativamente nella ricerca e nello sviluppo) un messaggio: si può (anzi si deve) affiancare allo sfruttamento diretto della propria proprietà intellettuale (tramite le vendite appunto dirette a distributori nazionali nel Mondo e il rafforzamento della struttura commerciale globale) anche lo sfruttamento indiretto, tramite una estesa strategia di accordi. Certo i contratti di Licensing sono particolarmente complicati, ma Basile insiste: «La conoscenza di queste forme contrattuali potrebbe rivelarsi molto utile a tante aziende. Comunque sia, in genere i contratti sono sulla base del diritto italiano; anche se si tengono presenti le necessità di altre parti contrattuali. Per esempio, si può stabilire che la sede arbitrale sia in Svizzera».

Isagro, fase di lavorazione
Le azioni sviluppo

Per Basile progettare e realizzare innovazione – non solo badando agli interessi di Isagro, ma anche alla più larga compagine di quelle aziende del quarto capitalismo che costituiscono l’ossatura economica del Paese – è consueto. Basti ricordare in fatto di patrimonializzazione l’invenzione di uno strumento come le “Azioni Sviluppo” , che rappresentano azioni speciali emettibili da società aventi un Soggetto Controllante (per le quali, dunque, il diritto di voto in Assemblea ha una valenza modesta) e che determinano una maggior remunerazione in termini di dividendo rispetto alle Ordinarie fintantoché non è rilevante per gli investitori detenere Azioni Ordinarie. Quando invece diventa rilevante per un investitore detenere Azioni Ordinarie, ossia in caso di OPA (vedi tema del “capital gain”), automaticamente si trasformano in esse. Strumento va detto ancor poco compreso.

La regola di base di Basile è saper gestire il rischio. Ed è stato così dal 1993. «A quel tempo lavoravo per EniChem – ricorda il presidente – e curavo il portafoglio di business. Nel 1988 l’EniChem aveva conferito le attività della controllata EniChem Agricoltura alla neonata società Enimont (joint-venture tra ENI e Montedison). In seguito al fallimento di quest’ultima (1991), le attività erano tornate interamente sotto il controllo dell’EniChem. Comunque sia. mi affidarono l’incarico di vendere ISAGRO, azienda di cui avevo scorto le potenzialità. Feci il giro del mondo per venderla, ma dopo un anno di tentativi tra Giappone, Stati Uniti e tanti altri Paesi, alla fine ne parlai con il presidente di EniChem Agricoltura, Vittorio Mincato. Era una resa. Si trattava di liquidare l’azienda. Ne parlai anche con il capo delle vendite. Fu in quel contesto che maturò l’idea del buy out. Avevo 51 anni e una retribuzione importante – continua Basile -: dovevo assumere 30 persone e firmare una controgaranzia di 18 miliardi. Perché l’ho fatto? Posso dire solo che ho deciso da un momento all’altro: dalle 17 di martedì alle 9 di mercoledì. Questo era il lasso di tempo che mi ero riservato per cambiare la mia vita e quella di altri. Ne è valsa la pena».

Campo di mais
Campo di mais

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                                          Le necessità globali future in campo alimentare

Si fa presto a dire “verde”. Se lo scopo ultimo è quello di nutrire il pianeta, non può sfuggire la squilibrio tra domanda e offerta. Negli ultimi 50 anni la produzione pro capite di mais, soia, frumento e riso aumentata del 50%; invece, la popolazione mondiale è passata dai 3,3 miliardi di abitanti del 1965 ai 7,3 miliardi del 2015, secondo dati Onu. È più che raddoppiata. E secondo la variante media di una stima realizzata due anni fa dalle Nazioni Unite (United Nations Projections in 2015), nel 2030 avrà raggiunto quota 8,5 miliardi; nel 2050, 9,5 miliardi.

La crescita più prodigiosa è attesa in Africa, il continente attualmente più povero e problematico. Nel 2015, il 59,9% della popolazione viveva in Asia; il 17% in Africa e il 9,6% in Europa; nel 2050, si registreranno queste percentuali, nello stesso ordine: 54,1; 25,1; e 7,4. La popolazione del Continente Nero sfiorerà i 2,4 miliardi di abitanti; il Vecchio Continente è invece destinato a divenire sempre meno rilevante da un punto di vista demografico. La crescita della popolazione ha avviato una fase esponenziale dagli inizi del Novecento, grazie alle acquisizioni della medicina e a più diffuse pratiche igieniche.

L’aumento costante del genere umano non dovrebbe comportare una diffusa povertà, ove si pensi che «la relazione netta tra una maggiore popolazione e il reddito pro-capite dipende dal fatto che gli incentivi al capitale umano e l’espansione delle conoscenze sono più forti della diminuzione dei rendimenti delle risorse naturali» (“Population and Economic Growth”, Becker, Glaeser and M. Murphy, in “The American Economic Review”, 1999), ma è probabile che il problema del reperimento delle risorse naturali sarà assai più grave tra 20 anni. Attualmente, 800 milioni di persone non hanno adeguato accesso al cibo. Peraltro, l’incremento della popolazione comporta una inevitabile riduzione della terra coltivabile pro capite: si è passati dai 3.400 metri quadrati nel 1975 a 2.500 nel 2005. La proiezione per il 2050 è pari a 1.600 metri quadrati.

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