Intelligenza artificiale: minaccia o potenziatore dell’intelligenza umana?

di Piero Formica* ♦︎ Il mercato dell'Ia varrà 309 miliardi di dollari entro il 2026 e porterà a 97 milioni di posti di lavoro. Può aiutare a ridurre il gap di competenze, ma è un vantaggio per il benessere comune? Sì, a patto che si persegua una progettazione dell'etica dell'intelligenza artificiale. Come raccomanda l'Unesco

Agli esseri umani accoppiamo il termine ‘intelligenza’. All’avvio degli anni Cinquanta del Novecento, Il logico e matematico britannico Alan Mathison Turing (1912-1954) accostò quel termine alla macchina. Dal chiederci se le macchine imitandoci possano pensare, siamo giunti a interrogarci se noi umani cesseremo di farlo. Al posto nostro penserebbero le macchine dotate di cervello meccanico che finirebbero per ribellarsi a noi. In un’altra prospettiva, le macchine pensanti non sarebbero una minaccia bensì un coadiuvante e potenziatore dell’intelligenza umana. Le due intelligenze si rispecchierebbero l’una nell’altra, maturerebbero insieme. Con quale risultato? Ci sono due obiettivi contrastanti. Uno è quello di rendere più efficiente lo sfruttamento delle risorse da cui la specie umana attinge. L’ecosistema naturale costituito dalle specie animali e vegetali e dagli oggetti naturali al servizio della specie umana produrrebbe una quantità ancora maggiore di cose. L’obiettivo opposto è il cambiamento piuttosto che il miglioramento dell’esistente. È l’invenzione di un futuro all’insegna della qualità della vita che ha il sapore dei valori etici alla base della Natura in tutte le sue componenti, alimentando così incessantemente il progresso della vita sulla Terra. Joseph Weizenbaum (1923-2008), informatico tedesco entrato a far parte dello staff del Mit, ha sottolineato che possiamo prendere decisioni migliori sfruttando l’attività computazionale. Tuttavia, la capacità di scegliere è insita negli esseri umani. Scegliere la qualità della vita è un compito affidato al nostro giudizio e alla nostra saggezza, non al calcolo di quantità.

 







Mentre ci interroghiamo sull’integrazione tra il mondo fisico e il digitale…

 

Alan Turing fu il primo ad accostare il termine “intelligenza” alla macchina

Nell’ambito delle scelte sociali, il problema del benessere collettivo degli individui che compongono una comunità comporta la considerazione e l’esame, da parte nostra, dei giudizi di valore sulla distribuzione del benessere e l’attenzione da porre alla conseguente comunicazione sociale. Trascurando il giudizio umano per rimettersi al calcolo effettuato dalle macchine non si risolverebbe il problema della “massima felicità per il maggior numero” di persone, come auspicava il filosofo inglese Jeremy Bentham (1748-1832). Quel calcolo da solo non ci porta ad affermare che la felicità benthamiana sia stata raggiunto o meno. Weizenbaum argomentava che non potendo rendere saggi i computer non dovremmo attribuire loro compiti che richiedono saggezza. Per pensare e scrivere secondo saggezza molto aiuta il porre delle domande. Se chiamati a svolgere compiti che non conosciamo a fondo, capita di astenersi dal chiedere perché riteniamo che alla nostra domanda l’interlocutore possa reagire giudicandoci stupidi per averla posta. È questa paura che impedisce di allenare la mente nella palestra delle domande dove si potrà sviluppare la consapevolezza dell’utilità di ciò che si chiede. In quale contesto si è indotti a formulare le domande migliori perché non si finge di sapere più di quanto si sa realmente? In una circostanza non formale qual è una passeggiata, i docenti hanno notato che i discenti sono disposti a domandare e i loro quesiti sono tali da dover essere presi seriamente in esame.

Questa constatazione ci riporta ad Aristotele che discorreva deambulando sotto un portico chiamato “peripato” dove i suoi discepoli, i peripatetici (coloro che passeggiano), interloquivano liberamente con il maestro. In quello spazio di contemplazione si coglievano la sensibilità degli studenti nel domandare piuttosto che premiare la loro capacità di memorizzare le risposte che i docenti esigevano. Nella corrente età digitale al portico sono subentrati gli strumenti online nelle cui caselle di chat si digitano le domande senza essere obbligati a rivelare la propria identità. Nel rapporto faccia-a-faccia si avverte la fisicità del mettere fuori il fiato per pronunciare delle parole, del soffio delle risposte che tolgono il respiro. La fisicità è energia che muove corpo e cervello per produrre creatività. L’equipollente della fisicità sarà la “phygital”, l’integrazione tra il mondo fisico e il digitale oggi confinata agli acquisti che mettono insieme un punto vendita fisico e gli strumenti digitali? Tanta è la distanza (colmabile?) e in dubbio la compatibilità tra la cultura aristotelica del portico e l’ibridazione prefigurata dai tecnologi. È in questo scenario che si svolge la vicenda dell’intelligenza artificiale suscitatrice oggi di tanto clamore. Più che il suo accadere è l’uso che ne faremo che conta davvero.

…sale in alto la mongolfiera dell’intelligenza digitale 

Le dimensioni del mercato dell’intelligenza artificiale e i posti di lavoro potrebbero raggiungere, rispettivamente, 309,6 miliardi di dollari entro il 2026 (con un tasso di crescita annuale composto del 39,7%) e 97 milioni entro il 2025. Il divario di competenze nell’Ia, che supera il 90%, indica una carenza di manodopera qualificata a livello mondiale. Poter entrare nel campo gravitazionale dell’Ia fa pensare di essere co-protagonisti degli sviluppi e dei cambiamenti da essa innescati. C’è chi si sente come l’apprendista stregone di Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832) che con tanta gioia si misura nel ruolo di allievo dell’Ia. Riuscirà il nostro apprendista a padroneggiare l’esperimento e portarlo a compimento? Essere presi dall’incantesimo della tecnologia non è una buona guida. C’è chi ritiene che i personaggi robotici dotati di Ia che irrompono sulla scena arricchiscono la varietà della vita, alla stregua dell’ampia gamma variegata di animali che apparve circa 530 milioni di anni fa. Insomma, una nuova esplosione cambriana. Affiancati dall’Ia gli umani saranno più creativi? Dipende dall’affidabilità delle risposte di quei personaggi. Melanie Mitchell del Santa Fe Institute afferma che essi «non hanno memoria al di fuori di una singola conversazione, non possono conoscervi e non hanno alcuna nozione di ciò che le parole significano nel mondo reale». I risultati, pur credibili a prima vista, possono essere affetti da gravi errori di valutazione, mancando ai nostri personaggi robotici la reale comprensione di ciò che hanno prodotto basandosi su ipotesi probabilistiche fondate sullo studio di una grande quantità di dati. Alla persuasione subentrano il travisamento, l’inganno, il miraggio.

L’intelligenza umana, «il più delizioso e squisito di tutti i sensi»…

Renato Cartesio (Fonte: Wikipedia)

La scienza dell’intelletto analizza la mente umana. L’intelligenza artificiale è vista come una nuova scienza per lo studio dell’intelligenza ricorrendo ai computer per la simulazione dei processi intelligenti. La regola che ci propone Renato Cartesio (1596-1650), il filosofo e matematico francese, per la guida dell’intelligenza è l’unificazione delle scienze attraverso l’unità dello spirito umano. L’intelligenza umana, «il più delizioso e squisito di tutti i sensi» secondo il giudice e uomo di lettere Montesquieu, (1689-1755; Faguet, 1890), è un concetto difficile da definire. Sono punti di riferimento l’aristotelica ragione, cioè la capacità degli esseri umani di tenere a freno le proprie passioni e il potere mentale darwiniano per cui l’intelligenza è suddivisa in gradazioni, più alta nelle specie più evolute. Restringendo il campo semantico, secondo il biologo evoluzionista e fisiologo George Romanes (1848-1894) l’intelligenza è l’adattabilità al proprio ambiente di lavoro, tanto più specifica quanto più il lavoro è standardizzato. Francis Galton (1822-1911), personalità poliedrica dell’era vittoriana, allinea l’intelligenza con la reputazione e il successo conseguiti nello svolgimento di una professione. 

… alla prova della meccanizzazione del processo mentale

Dal mito alla realtà si è evoluta la meccanizzazione del processo mentale da cui discendo nuove idee ed elaborazioni di dati. La mitologia greca prefigura gli automi. Le pratiche magiche immaginano omuncoli fabbricati alchemicamente. Con il Frankenstein della scrittrice inglese Mary Shelley (1797-1851) si staglia l’uomo artificiale, la versione moderna del Prometeo della Grecia antica. Oggi, al potenziarsi della ricerca indirizzata al ragionamento e all’apprendimento da parte delle macchine, ci si interroga sulla fiducia da concedere ai loro responsi e, quindi, sul perché di quelle risposte, soprattutto se impreviste. Qui subentra il leggere dentro le cose e i fatti tramite l’intuizione anziché la mediazione delle abilità cognitive con una serie di passaggi atti a contaminare la conoscenza delle cose e dei fatti. 

Pende l’interrogativo di riscrivere la Divina Commedia con l’intelligenza artificiale

Gli studenti dell’Ipsia Galilei di Castelfranco in Italia hanno riscritto la Divina Commedia sfruttando l’Ia

Dante Alighieri (1265-1321), il Sommo Poeta italiano, vuole che si persegui “virtute e canoscenza”, viaggiando verso l’ignoto impavidi al pari del suo Ulisse. L’intelligenza rende uomini. Sconoscere porta a perdere la propria umanità. Riscrivere la Divina Commedia con l’intelligenza artificiale come hanno fatto gli studenti dell’Ipsia (Istituto Professionale di Stato per l’Industria e Artigianato) Galilei di Castelfranco in Italia, è un’operazione che mostra simpatia per l’algoritmo ben spesa se non limitata alle macchine che apprendono sperimentando. L’esperienza deve coinvolgere anche e tanto gli studenti affinché essi possano essere appassionati inseguitori e suscitatori di nuova conoscenza. Alla sua sorgente si trovano l’originalità (l’ideazione di qualcosa mai tentata in precedenza) e la creatività (l’ordinare e il combinare diversamente da prima idee, fatti e cose preesistenti).

Inoltre, la nuova conoscenza per essere accettata esige che l’ideatore e l’innovatore entrino nello stato d’animo e comprendano la situazione delle persone abituate a vivere ed operare secondo lo status quo. Originalità ed empatia affettiva, ancor prima che cognitiva, possono essere insegnate e poi immesse nell’alveo dell’intelligenza artificiale? Manca il consenso sull’originalità e l’empatia affettiva suscettibili di apprendimento. Sugli umani e ancor di più sugli algoritmi pende questo interrogativo.

Progettare l’etica dell’intelligenza artificiale

Viviamo in un’epoca di conoscenza in cui l’intelligenza umana e l’intelligenza artificiale si incontrano per poi entrare in un conflitto cognitivo costruttivo. La speranza è che questo conflitto porti a cambiamenti positivi e significativi nella vita. Gli sviluppatori di Ia sono stupiti dalla potenza esibita dalle loro creazioni. È una forza che avvantaggia i facilitatori dell’interesse comune? In caso contrario, favorisce coloro che tirano le fila degli interessi particolari, fino a disegnare applicazioni che costringono  a fare qualunque cosa esse vogliano alle persone che le usano? Come si comportano gli sviluppatori, gli imprenditori che li sostengono e gli azionisti che finanziano le loro imprese? L’interesse comune ha al centro gli interessi fondamentali dell’umanità, tra cui la difesa dell’ambiente. Più ci allontaniamo da questa missione, più si manifestano crisi ambientali, geopolitiche ed economiche interconnesse e simultanee. Questo pericolo deve essere scongiurato perseguendo una missione complementare, la progettazione dell’etica dell’Ia come raccomandato dall’Unesco con un quadro normativo adottato da 193 Stati membri nel novembre 2021.

*Piero Formica è Professore di Economia della conoscenza. Senior Research Fellow dell’International Value Institute, Maynooth University, Irlanda. Docente e advisor, Cambridge Learning Gateway, Cambridge, UK. Presso il Contamination Lab dell’Università di Padova e la Business School Esam di Parigi svolge attività di laboratorio per la sperimentazione dei processi di ideazione imprenditoriale














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