Industrie italiane: il primo cliente è sempre di più la Germania, mentre la Cina è al lumicino

di Piero Macrì ♦ Cresce l’export verso il Paese di Angela Merkel (+5,4% rispetto al 2017, per complessivi 128,4 mld) soprattutto a causa di componentistica auto (nomi come Brembo, Magneti Marelli, Sogefi) metallurgia, chimica, farmaceutica. I tedeschi però sono stati bravi a conquistare il ricco mercato cinese, rispetto al quale noi siamo ancora indietro. Ma in futuro le cose potrebbero cambiare. E la via della Seta…

Nel 2018 la Germania si è confermata il partner commerciale più importante dell’Italia con un volume di interscambio di 128,4 miliardi di euro (+5,4% rispetto al 2017). Praticamente un diciottesimo del nostro pil. Se in termini complessivi la dinamica è positiva, quello che preoccupa è la capacità del nostro Paese di competere su mercati extra Ue. Emerge infatti con grande evidenza che, pur in presenza di un mercato globale in espansione, la composizione del nostro export è rimasta nel tempo sostanzialmente uguale a sé stessa: l’Europa continua ad essere il principale punto di approdo, con un valore nell’ordine del 38% e una fortissima concentrazione verso Germania (12,5%) e Francia (10,5%). Di contro, il corrispettivo tedesco è del 26% con una partecipazione globale in costante crescita. Un cambiamento, quello della Germania, che si è sostanziato grazie, e soprattutto, a una maggiore apertura verso la Cina, che rappresenta oggi il primo partner commerciale del Paese con valori export/import rispettivamente del 7% e del 9,8%.

 







Il Ministro del lavoro e dello Sviluppo Economico, Luigi Di Maio: “ci aspettiamo un riequilibrio della nostra bilancia commerciale con la Cina” (foto di Mattia Luigi Nappi)

 

L’Italia, invece, la Cina l’ha solo subita: il valore dell’export è del tutto marginale mentre le importazioni valgono il 7,2%; la bilancia commerciale sconta un deficit di ben 18 miliardi di dollari. Abbiamo quindi necessità di trovare un nuovo equilibrio e sfruttare nuove opportunità. E’ questo il senso del memorandum d’intesa sottoscritto in questi giorni tra Italia e Cina. «Con questi accordi ci aspettiamo un riequilibrio della nostra bilancia commerciale con la Cina. C’è troppo Made in Cina in Italia e poco Made in Italy in Cina. L’accordo stipulato ha l’obiettivo di invertire questa tendenza. Ci aspettiamo un graduale aumento delle esportazioni», ha affermato il vicepremier Luigi Di Maio. Trasporti, energia, impianti siderurgici, credito, cantieri navali: gli accordi commerciali attraversano tutto il sistema industriale italiano. I più rilevanti riguardano la cooperazione nell’ambito dell’Energy & Gas che vede coinvolte Eni, Ansaldo Energia e Snam mentre sul fronte delle infrastrutture è stata siglata un’intesa accordo di cooperazione per lo sviluppo del porto di Trieste e di Genova. Il valore potenziale degli accordi fin qui sottoscritti è di 20 miliardi di euro. Per i dettagli rimandiamo al boxino a fondo pagina.

 

Visita di Angela Merkel in una fabbrica digitale Siemens
Visita di Angela Merkel in una fabbrica digitale Siemens

Deutschland uber alles, ma l’Italia migliora. In dieci anni dimezzato il deficit commerciale

1970, Italia-Germania 4-3. La vittoria del mondiale del Messico è stato un grande risultato ma, sfortunatamente, la nostra superiorità calcistica non ha mai avuto riscontro sul piano economico. La Germania è oggi la superpotenza globale, una vera macchina da guerra. In termini di esportazioni, soprattutto in ambito extra Ue, supera di gran lunga l’Italia che, pur con tutte le sue eccellenze, sconta l’assenza di un numero elevato di grandi e grandissime aziende in grado di sostenere la globalizzazione dei mercati. Tuttavia, le nostre performance sono migliorate, grazie soprattutto all’eccellenza del comparto machinery e all’innovazione introdotta con il Piano Calenda. Risultato? Nel 2007 il differenziale della bilancia commerciale tra Italia e Germania era di 20 miliardi, adesso si è ridotto a 10. «L’industria italiana compete oggi con le stesse armi dell’industria tedesca sui mercati internazionali», ha affermato Erwin Rauhe, presidente della camera di commercio italo-germanica commentando i risultati 2018 relativi all’interscambio commerciale tra i due Paesi.

 

Un treno merci Cina-Europa carico di containers in una stazione ferroviaria della Bielorussia

Belt and Road Initiative. La Cina è vicina

Con il Piano Made in China 2025, che prevede una riqualificazione integrale del tessuto industriale cinese in logica 4.0 e la Belt and Road Initiative, l’imponente infrastruttura ferroviaria che mette in comunicazione la Cina con l’Europa, cambierà non solo che cosa produce la Cina, ma anche a chi vende e con chi. In Europa ne trarrà vantaggio l’industria tedesca che annovera grandi e grandissime aziende, ma anche l’Italia può avere un ruolo importante. Per le aziende che hanno avviato un percorso di trasformazione digitale si aprono infatti nuove opportunità che risiedono nell’individuare una domanda di componentistica, sistemi e soluzioni altamente avanzati che permetta loro di mettere a frutto competenze non ancora sviluppate dalle aziende cinesi.

In quest’ottica la firma del Memorandum d’Intesa in materia di collaborazione tra Italia e Cina si configura come un importante occasione per lo sviluppo della nostra industria e dell’interscambio tra i due Paesi. Per quanto riguarda le intese commerciali, nel documento d’intesa si legge che, “le Parti collaboreranno nello sviluppo della connettività infrastrutturale, compresi aspetti quali le modalità di finanziamento, l’interoperabilità e la logistica, in settori di reciproco interesse (quali strade, ferrovie, ponti, aviazione civile, porti, energia – incluse le energie rinnovabili e il gas naturale – e telecomunicazioni).”

 

La partnership Italia Germania

Secondo i dati Istat, lo scorso anno le esportazioni italiane verso la Germania hanno toccato quota 58,1 miliardi di euro (+3,8% rispetto al 2017) mentre il valore delle importazioni si è attestato a 70,3 miliardi di euro (+6,8% rispetto al 2017). A livello regionale, si confermano le performance dei territori che svolgono tradizionalmente un ruolo di traino dei rapporti commerciali bilaterali: le regioni del Nord Italia – Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia-Romagna – esprimono da sole circa 90 miliardi di interscambio. Postivi i risultati complessivi: l’Italia guadagna la quinta posizione nella classifica dell’interscambio commerciale, scavalcando il Regno Unito che sconta l’effetto Brexit.

Quest’ultimo fenomeno determina una progressiva alterazione sullo scenario commerciale internazionale. Già da un po’ di anni la Germania sta intensificando le relazioni con la Cina, diventata ormai suo primo fornitore e, dal 2017, terzo punto di approdo dell’export. Di contro, l’Italia è quinta per valore di importazioni tedesche (60 miliardi), quinta a poco distanza da Francia e Stati Uniti, ma soffre per la competizione che sta avanzando dalla Polonia, alle nostre spalle con 55 miliardi. «Quest’ultima, grazie all’importante differenziale del costo del lavoro, si sta trasformando nella fabbrica tedesca europea esterna ai confini nazionali», spiega Erwin Rauhe.

 

 

Italia-Germania, un mercato interconnesso

Perno della partnership commerciale italo-tedesca è la produzione industriale e i flussi principali riguardano i settori dei macchinari, dell’automotive, del chimico/farmaceutico e dell’elettrotecnica/elettronica. La corrispondenza tra i principali settori di export dei due Paesi conferma l’esistenza di un legame di co-produzione e interconnessione. «Oggi – ha sottolineato Rauhe – l’azienda Italia esporta verso la Germania in primis dei semilavorati; mentre il prodotto tedesco incorpora moltissime componenti di prodotti italiani». Tipico il caso del settore della componentistica auto, che in Italia vale oltre 90 miliardi di euro e vive molto di esportazioni verso la Germania, con aziende come Brembo, Magneti Marelli, Sogefi, Adler. Ma anche la chimica, con nomi come Mapei, Sol, Sapio, Versalis, Mossi Ghisolfi.

 

Headquarters di Brembo, vicino a Bergamo
Headquarters di Brembo, vicino a Bergamo

Più che fornitori, insomma, gli italiani si fanno sempre più partner degli imprenditori tedeschi, alimentando la vera e propria joint production che da oltre cento anni caratterizza le relazioni economiche italo-tedesche. La dinamica dei mercati è parallela in quanto i due sistemi sono perfettamente integrati. Se la produzione tedesca cala ne risente immediatamente anche la produzione italiana con un calo dell’occupazione poiché il mercato del lavoro tedesco è di fatto un’estensione del mercato del lavoro italiano e molti posti di lavoro in Italia dipendono dallo stato di salute delle imprese tedesche.

 

Germania e Italia. La creatività nostro punto di forza

Il giro d’affari delle prime dieci aziende tedesche è di 800 miliardi di euro, la metà del Pil italiano. La loro capitalizzazione supera quella dell’intera Borsa milanese. Il fatturato complessivo di Fca Italy, Leonardo, Luxottica, Saipem, Prysmian, Parmalat, Pirelli, Fincantieri, Prada e Buzzi si aggira sui 90 miliardi di euro, mentre il volume di Volkswagen è di 230 miliardi, quello di Daimler 164,3 e quello di Bmw 98,7. Bastano questi numeri per capire la diversità di fondo tra le due economie industriali. «Tuttavia, come sottolinea Rauhe, l’industria tedesca è forte dove vi è una grande necessità di sviluppo perché ha una base più larga su cui assorbire i costi; dove invece c’è bisogno di creatività e capacità di trovare nuove soluzioni l’Italia è imbattibile. Un esempio? Il settore del packaging. E’ dominato dai due Paesi, ma le soluzioni tecnologicamente più avanzate sono quelle italiane. I tedeschi le perfezionano, le migliorano, ma l’idea iniziale nasce dall’Italia. In ambito industriale, noi soffriamo perché non abbiamo un campione nazionale come Siemens. Tuttavia, abbiamo tantissime realtà ad alta specializzazione, anche nell’ambito del software di automazione, con dimensioni sufficienti per poter essere presenti nei vari mercati».

 

Erwin Rauhe, presidente della camera di commercio italo-germanica

 

Il Brennero è al collasso. Ci salverà il tunnel di base

Sull’A22, autostrada che festeggia il suo 60mo anniversario ma che è rimasta di fatto identica a sè stessa in tutti questi anni, transita quotidianamente una fila ininterrotta di camion-container. E’ una criticità che deprime l’efficienza dell’interscambio commerciale con la Germania e la stessa competitività del nostro Paese poiché infrastruttura e logistica sono le fondamenta per un’economia sostenibile. Mai dimenticarsi che il passo del Brennero rappresenta il collegamento Nord-Sud più importante all’interno dell’Unione Europea. Ogni anno, circa due milioni di mezzi pesanti lo attraversano, trasportando annualmente circa 40 milioni di tonnellata di merci. Non solo, attraverso il valico del Brennero transita più merce di quanta ne transiti da tutti i valichi svizzeri e francesi. La partita, per il momento, è stata vinta dal trasporto su gomma ma siamo finalmente arrivati a un punto di svolta.

Grazie alla realizzazione di uno dei più importanti ed imponenti progetti dell’Unione Europea, il Tunnel o Galleria di Base del Brennero, a partire dal 2028 si renderà possibile lo spostamento del traffico da gomma a rotaia, decongestionando l’asfittica A22. Il gate del corridoio “Scandinavia Mediterraneo” garantirà un aumento delle capacità di trasporto coerente con l’aumento del traffico previsto e nel contempo, favorirà un riequilibrio modale del trasporto a beneficio della ferrovia. Il futuro tracciato – coerente con il Piano Europeo Shift2Rail che prevede per il 2020 che un 30% del trasporto merci avvenga su rotaia – avrà una lunghezza di circa 20 km inferiore rispetto alla linea esistente; permetterà un transito attraverso il valico ferroviario di treni merci più lunghi, capienti e veloci, riducendo contestualmente i tempi di percorrenza – attualmente circa 75 minuti – a soli 25 minuti per i treni più veloci. Una volta completata la tratta di accesso Sud-Nord, la capacità ferroviaria della linea verrà così incrementata dagli attuali 220-240 treni/giorno a 400 treni/giorno, di cui 300 merci, con un considerevole aumento del peso utile trainabile per treno (+80% circa).

 

Il valico del Brennero punto nodale dell’interscambio Europeo e tra Italia Germania

 

 

[boxinizio]

La presenza tedesca in Italia

Sono 1.900 le aziende tedesche con una presenza in Italia. Il loro fatturato è di 72 miliardi di euro con un tasso di crescita dell’11% dal 2015, mentre tutte le altre aziende in Italia viaggiano su una media del +7,5%. Sono i dati che emergono dalla ricerca “Il valore delle aziende tedesche in Italia” realizzata dalla Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo. I tedeschi che hanno delocalizzato o rilevato gruppi in Italia sono quasi il 100% più produttivi del totale delle imprese. Gli americani e i francesi li superano, nell’ordine, per investimenti, ma i tedeschi spiccano come i più distribuiti sul territorio, in particolar modo nei distretti industriali. Anche la multinazionale sembra meno multinazionale se è tedesca.

 

La nuova sede Siemens a Milano (credits Alice Mantovani)

«Sono aziende a cui interessa soprattutto produrre negli stabilimenti e creare un indotto che, soprattutto per il meccanico e automobilistico, si traduce in forniture e componentistica», afferma Erwin Rauhe, presidente della camera di commercio italo-germanica. Per la farmaceutica è vero il contrario: è la Germania a mandare materie prime per i prodotti finali confezionati in Italia. Nel 2017, proprio l’Italia ha sorpassato i tedeschi come primo produttore farmaceutico dell’Ue e un export di 25 miliardi di euro: un record di aziende sopravvissute alla crisi grazie all’iniezione di capitali stranieri, anche tedeschi. La presenza della Germania in Italia è forte anche nella distribuzione (42 miliardi di fatturato) per l’incidenza dei concessionari auto e dell’ingrosso delle catene tedesche di supermercati. Ma l’integrazione economica tra Germania e Italia avviene soprattutto nelle fabbriche e nei laboratori, dove si incontrano la prima e la seconda manifattura dell’Ue. In Italia i tedeschi sono i primi anche per utili netti: al 12% nel 2017, contro il 10% per esempio dei francesi e appena il 7% degli italiani.

 

Il presidente cinese Xi Jinping

Il Memorandum d’Intesa Italia-Cina. Gli accordi commerciali

– Intesa di partenariato strategico tra Cassa Depositi e Prestiti e Bank of China.
– Partnership strategica tra Eni e Bank of China.
– Intesa di collaborazione tecnologica sul programma di turbine a gas tra Ansaldo Energia e China United Gas Turbine Technology.
– Contratto per la fornitura di una turbina a gas AE94.2K per il progetto Bengangtra tra Ansaldo Energia, Benxi Steel Group e Shanghai Electric Gas Turbine.
– Intesa strategica tra Cassa Depositi e Prestiti, Snam e Silk Road Fund.
– Intesa di cooperazione strategica tra Agenzia Ice e Suning.com Group per la realizzazione di una piattaforma integrata di promozione dello stile di vita italiano in Cina.
– Accordo di cooperazione tra Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale – Porti di Trieste e Monfalcone e China Communications Construction Company.
– Accordo di cooperazione tra il Commissario Straordinario per la Ricostruzione di Genova, l’Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale e China Communication Construction Company.
– Memorandum of Understanding tra Intesa Sanpaolo e il Governo Popolare della città di Qingdao.
– Contratto tra Danieli Officine Meccaniche e China Camc Engineering per l’installazione di un complesso siderurgico integrato in Azerbaijan.

[boxfine]














Articolo precedenteDa Fanuc un nuovo robot collaborativo: piccolo, ma con un braccio forte
Articolo successivoFin dove arriverà Yumi? E perché ha perso un braccio e acquistato due gambe?






LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui