Baretta: industriamo il Veneto partendo da Marghera!

Marghera

di Filippo Astone e Paolo Del Forno ♦ Attraverso Industria Italiana, Pierpaolo Baretta rilancia la sua proposta di fare di Marghera il nuovo polo dell’economia reale della seconda regione manifatturiera d’Italia, allargandolo alla logistica. Ecco come. E dove trovare i soldi

«Sono convinto che ancora oggi l’area di Marghera potrebbe essere un polo industriale e logistico con straordinarie potenzialità, tali da creare enorme valore per la Grande Venezia, per il Veneto, per l’Italia. L’ho sempre pensata così, e oggi, con l’avvento dell’Industry 4.0 ci sono ulteriori ragioni. Ma bisogna passare all’azione. Ci vuole un piano strategico-industriale. E bisogna trovare le risorse, utilizzando la legge speciale per Venezia e mobilitando gli investitori privati, che potrebbero avere ritorni importanti». Parola di Pierpaolo Baretta, uno dei politici più noti e influenti a Venezia, in Veneto, a Roma. Deputato Pd dopo una lunga carriera di sindacalista nella Cisl, Baretta è attualmente sottosegretario all’Economia e alle finanze in attesa di una (molto probabile, secondo noi) riconferma. Ma anche se il destino cinico e baro dovesse tenerlo lontano da via XX Settembre, questo politico di lungo corso, grazie al ruolo di deputato e al potere accumulato dentro e fuori laguna, continuerà comunque a portare avanti questo progetto industriale, logistico e immobiliare. Progetto che, tra l’altro, secondo quanto risulta a Industria Italiana, sta trovando un numero crescente di consensi. In questo articolo, vedremo i dettagli e le modalità per attuare questa proposta.

 Pierpaolo Baretta
Pierpaolo Baretta

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 Con l’intervista a Baretta, Industria Italiana torna a parlare dello sviluppo possibile di Porto Marghera, già oggetto di due interventi di Tommaso Santini, amministratore delegato di Vega Parco Scientifico Tecnologico di Venezia Porto Marghera. Porto Marghera è una delle più grandi aree portuali-industriali europee con i suoi 1447 ettari di aree portuali e industriali oltre a 662 ettari di canali, strade e ferrovie servite da 12 chilometri di banchine raggiungibili da navi con pescaggi fino a 11,5 metri tutte dotate di raccordi stradali e di 135 chilometri di raccordi ferroviari. Un’area industriale che è passata dai circa 35 mila occupati degli anni Settanta del secolo scorso nei settori dell’industria di base, della chimica e della metallurgia agli attuali 13.500 addetti, di cui oltre il 50% è occupato nel terziario e nella logistica. In particolare, nell’ambito dell’area industriale di Portomarghera oggi si possono contare 4.220 addetti nelle attività portuali oltre ai 4.200 addetti in attività industriali collegate alla portualità (dati dell’Autorità portuale di Venezia).

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E’ doveroso dire che Baretta conosce Marghera da una vita. Il deputato Pd ex Cisl, classe 1949, era poco più che ventenne, quando, fresco di un diploma in ragioneria, varcava i cancelli della fabbrica di alluminio LLL. di Marghera, uno dei presidi storici del settore metalmeccanico-metallurgico della zona. LLL sta per Lavorazione Leghe Leggere, una fabbrica fondata dalla società SAVA (Società Alluminio Veneto Anonima) che vedeva in copartecipazione la svizzera AIAG (la futura Alusuisse) e alcuni industriali italiani, ma soprattutto veneti, legati allo sfruttamento dell’energia elettrica e capitanati da Marco Barnabò.  La fabbrica dal 1928 si divise a Marghera la produzione di alluminio e allumina in duopolio con la Montecatini. Era il 1970 quando Baretta entrava in fabbrica, e l’anno dopo, come delegato degli impiegati nel Consiglio di Fabbrica, cominciava la sua carriera sindacale all’ interno dei metalmeccanici, una carriera  che sfociò poi in quella politica ( è deputato del PD ) e  agli incarichi di governo.  Ha vissuto quindi  in prima persona  parte della lunga storia industriale della zona, fino ai giorni nostri.

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Porto Marghera – Lavorazione Leghe Leggere (L.L.L.) – Stabilimento produzione manufatti in alluminio 1958 ( photo by Bruno Stefani)

 Due scenari  per  il nuovo sviluppo di Porto Marghera, a cent’anni dalla nascita

«Con il prossimo anno, saranno cento gli anni da quando è nato Porto Marghera, che è stato fino agli anni 70 dopo la Ruhr il secondo polo industriale d’Europa – ci ricorda Baretta – Cento anni fa, nel 1917, a cento chilometri da qui c’era Caporetto, l’ Italia era nel pieno del disastro, sembrava non ci fosse futuro. Allora un gruppo illuminato di industriali decise di pensare al dopo e proprio mentre tutto sembrava perso impostò un progetto industriale decisivo per la zona ». ( per approfondimenti si veda  la tesi in dottorato di ricerca di F.Porchia ). Baretta non a caso esordisce con una citazione storica. Il valore del ricordo ha un significato morale. Oggi come allora, nel pieno della Prima Guerra Mondiale, il Paese è in una situazione critica e per Baretta sarebbe necessario impostare un progetto di medio e lungo periodo per il futuro di Marghera, con lo stesso tipo coraggio che animava chi decise in quell’epoca, nonostante il momento difficile, di dare il via all’ industrializzazione. L’alternativa oggi è accontentarsi di un progressivo degrado. Baretta pensa a un progetto con caratteristiche moderne, tali da raccogliere tutta l’esperienza accumulata sul territorio negli ultimi cento anni, un territorio dove esiste una cultura industriale radicata  da coniugare con le nuove sfide dell’ Industry 4.0. Un progetto che potrebbe svolgersi secondo due scenari.

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Venezia, nave in transito
Primo scenario : a Porto Marghera il terminal delle grandi navi commerciali

Il primo: fare di Marghera il terminal delle grandi navi commerciali. « Venezia non puo’ perdere le navi passeggeri- dice Baretta – Siamo tutti d’accordo che bisogna chiudere il passaggio del bacino davanti a San Marco e il Canale della Giudecca, però questo non significa dover rinunciare alla presenza delle grandi navi da crociera , bisogna fare in modo che Venezia resti il porto terminale di partenza e di arrivo per questo traffico.» Per fare questo due sono le soluzioni possibili : una è la cosiddetta fuori porto, la soluzione prospettata dalla Duferco (coinvolta nei progetti sul terminal passeggeri) che prevede che si faccia il terminal al Lido, fuori dalla bocca di porto. Ma questa scelta significherebbe fare di Marghera un porto di passaggio e non il porto terminale. Baretta preferisce l’altra soluzione: fare il terminal a Marghera utilizzando il canale petroli già esistente e riqualificando tutta la zona industriale. « Due anni fa qui è stato costruito un grande padiglione per iniziative convegnistiche, ci sono progettualità per fare alberghi.- dice il deputato PD -. Insomma, il primo contesto puo’ essere il terminal passeggeri. E d’altra parte questa è una delle porte d’ ingresso a Venezia, è la porta di terra; c è poi la porta di mare che è la parte Lido Arsenale, e poi la porta d’aria che è tutto il quadrante di Tessera con l’aeroporto . »

Secondo scenario: Porto Marghera hub Industry 4.0

L’altro scenario accantona un tipo di sviluppo trainato dal turismo e dalla cultura e prevede invece invece un progetto di riqualificazione industriale ad alto tasso tecnologico che approfitta dell’avvento dell’ Industry 4.0.  «Porto Marghera non è piu’ la sede delle grandi imprese primarie, non c’è piu’ l’alluminio, rimane l’Eni, sì, ma trasformata in green industry. Abbiamo quindi già un esempio della direzione di questo cambiamento.- dice Baretta – Si puo’ immaginare che l’ altra gamba dello sviluppo industriale del territorio, a questo punto saldamente collegato con il territorio veneto, possa concretizzarsi in una zona di eccellenza per la localizzazione di piccole e medie imprese, un grande hub tecnologico. Si può sfruttare il fatto che c è comunque una portualità, che ci sono banchine in autonomia funzionale, e che c’è un retroterra ricettivo, perché il Veneto resta una realtà interessante, industrialmente parlando.»Fin qui le idee, ma quali sono i passaggi e gli ostacoli per la messa in pratica?

 Si salva Venezia   mantenendo un equilibrio tra salvaguardia e sviluppo.

Baretta conviene che questo progetto ambizioso potrà avere un futuro solo se collegato con un progetto più generale su Venezia. «Il dibattito su Venezia è un dibattito a pezzi – dice Baretta – un giorno discuti dei flussi turistici, un giorno discuti delle grandi navi, un giorno discuti dell’ industria, un altro della salvaguardia architettonica, ma alla fine non c’è un’ idea unitaria. Forse non c’è perché negli ultimi 100 anni nostra città è che non ha mai trovato un punto di equilibrio tra salvaguardia e sviluppo. » Una dinamica questa che invece c’è sempre stata nella storia veneziana. La Repubblica Veneta ha spostato fiumi togliendoli dalla lagune deviandoli per evitare l’insabbiamento, ha costruito le dighe per impedire le inondazioni, i murazzi. Quindi la capacità di innovazione è parte integrante del DNA della città, Venezia non è solo conservazione. « Ma raggiungere questo punto d’equilibrio è difficile – sottolinea Baretta – perchè c’è un dibattito fondato sul no: no alle navi, no ai canali, e questo crea un blocco anche culturale. Non si salva Venezia tenendola ferma, tenendola come un museo, si salva mantenendo un equilibrio tra salvaguardia e sviluppo.»

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Venezia, l’alluvione del 1966

Le risorse: la legge speciale per Venezia come strumento di finanziamento

Per innescare il processo di un nuovo sviluppo territoriale allargato, Baretta ha in mente anche una fonte di risorse economiche specifica. Si tratta, nel momento in cui l’idea strategica arriverà a un quadro di sintesi, di utilizzare uno strumento straordinario che solo Venezia ha : la Legge Speciale per Venezia, concepita dopo l’alluvione del 1966. La legge prevede 6 capitoli riguardanti diversi aspetti, tra cui i più importanti sono la manutenzione, il marginamento dei canali, lo sviluppo economico e sociale. Secondo Baretta questo strumento legislativo puo’ essere usato vantaggiosamente con due finalità: la prima, quella di fare in modo che ritorni ad essere una fonte di finanziamenti pubblici, la seconda usandola come un collante per mettere insieme i diversi soggetti, anche i privati. «Bisogna anche richiamare gli industriali veneti e non solo veneti, far leva.- sostiene Baretta- I progetti ci sono, abbiamo lo strumento , mettiamo insieme i mosaici delle varie idee e smettiamo di litigare trovando dei punti d’accordo sui quali insistere. Ma si riparte solo se c’è una capacità congiunta. »

Il nodo dei confini amministrativi  inadeguati

Qui si arriva a un altro punto nodale, che da sempre ha costituito un ostacolo al pieno dispiegamento di qualsivoglia potenzialità sul territorio: la non coincidenza dei confini amministrativi con quelli delineati dallo spazio economico. «Oggi noi ci muoviamo sull’idea della città metropolitana, un’idea di territorio più ampio. Per quello che riguarda la città metropolitana di Venezia, purtroppo la legge ha un limite: fa coincidere i confini della città metropolitana con i confini delle vecchie province – ammette Baretta -. Siamo evidentemente oltre. Negli anni passati c’era stata una spinta per pensare una città metropolitana che comprendesse Venezia, Treviso e Padova. La città metropolitana di Venezia oggi da sola, come è strutturata, è la 24esima città  d’ Italia, mentre invece tutte e tre insieme sarebbero la terza o la quarta dopo Milano Napoli e Torino.»

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Il recupero dell’ area Sava

Gli assi portanti dello sviluppo per Venezia : manufatturiero, turismo, ma anche logistica

Secondo Baretta  lo sviluppo puo’ avvenire lungo tre assi : il manifatturiero perché nell’ Italia che è il secondo paese manifatturiero in Europa, la zona ha una storia industriale cui ricollegarsi; quello turistico culturale perchè il Veneto è la prima regione in Italia per flussi turistici; la logistica perché il Veneto è la porta d’ ingresso per l’ Europa del Centro e dell’ Est. «Io penso a queste tre opportunità su cui impostare gli investimenti e le scelte da compiere. – dice Baretta – Venezia è in una condizione straordinaria, oggettivamente è avvantaggiata dalla presenza nell’ insieme di questi tre assi d’intervento.

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Portomarghera

Prendiamo il manifatturiero – spiega Baretta – : qui c’è memoria, c’è presenza. Oltre a quella chimica tra Venezia e Trieste ci sono due sole grandi tipi di industrie: l’elettrodomestico e la cantieristica. Sono tutte e due grandi industrie che hanno alle spalle un indotto locale notevolissimo di piccole e piccolissime aziende che producono allestimenti, quindi c’è la possibilità di una integrazione ». Se l ’industria manifatturiera è fondamentale e per quel che riguarda turismo e cultura l’ importanza è evidente, per la logistica la riflessione è meno strutturata, ma Baretta è convinto che anche questo ambito rappresenti un asset.  «Siamo la porta d’ingresso dall’ Est del mondo verso l’ Europa centrale e l’ Europa dell’ Est. Le rotte passeggeri dell’ aeroporto Marco Polo segnalano un orientamento verso l’ Est del mondo che sembra stupefacente, ma in realtà è ovvio: Venezia è questo, sfruttiamo la nostra storia. Il fatto che adesso i cinesi siano interessati a Venezia e rilanciano loro la Via della Seta come concetto, significa che c’ è un futuro disponibile.»

Le leve per lo sviluppo dei progetti  e l’impegno personale di Baretta

Parlamentare della Repubblica ormai da due legislature e per tre volte sottosegretario di stato all’economia e alle finanze, carica che ricopre attualmente, Baretta si è adoperato nel corso di questi anni per Venezia in tre modi. Per prima cosa ha cercato di far sì che ci fosse un flusso di risorse per il finanziamento della legge speciale per Venezia «  Recentemente  abbiamo acquisito un contributo di 5 milioni di euro per il 2017, l’anno scorso sono stati 65. – ma ammette che c’è un problema di discontinuità nei flussi dell’erogazione di risorse pubbliche -. Per molti anni la legge speciale è stata una fonte di finanziamenti pubblici rilevanti ma negli ultimi anni è arrivato poco o niente. Sulla carta le opportunità ci sono , crisi politica permettendo; nel mese di novembre è stato rinnovato un patto tra il governo centrale e l’ amministrazione comunale che prevede lo stanziamento di circa 400 milioni di investimenti distribuiti nella varie tipologie. »

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Venezia, Mose
Il rilancio legato anche al  futuro del Mose

E a questo proposito uno degli aspetti fondamentali è la manutenzione della laguna, collegato direttamente a uno sforzo non congiunturale di attuare una diversa gestione del territorio  « L’aspetto della manutenzione si lega al grande progetto del Mose che tra un anno o due dovrebbe essere ultimato. – dice Baretta – Da allora in poi il Mose avrà bisogno di una società che gestisca la manutenzione. E’un passaggio importante, perché la società di manutenzione del Mose non è quella che gestirà le paratoie che si alzano e si abbassano, ma gestirà la manutenzione della laguna con un progetto sui marginamenti e sulle darsene. Il modo in cui il Mose verrà ultimato e gestito anche in chiave di miglioramento complessivo della laguna rappresenta quindi una sfida straordinaria legata anche alla straordinarietà di questo territorio ( qui la manutenzione costa piu’ che in altre realtà perché incide la parte acqua ndr.)  ».

Il dialogo con gli amministratori locali

Il secondo impegno profuso da Baretta nella sua all’attività politica a favore di Venezia è quello orientato non solo ad attivare la collaborazione con l’amministrazione locale ma anche  «a dialettizzare perchè si arrivi a un’ idea più strutturata di progetto,- dice Baretta – oltre la quotidianità di gestione ». Un impegno nei confronti non solo nei confronti dell’amministrazione ma anche dei soggetti industriali, le forze economiche e culturali della città .

Il coinvolgimento di investitori, anche internazionali

Il terzo impegno riguarda le relazioni con mondo degli investitori. E’ quello su cui Baretta punta di più.      «Bisogna stabilire una rete di relazioni con gli investitori in maniera tale da poter orientare degli investimenti verso questo territorio, investitori non solo locali, ma anche internazionali. – dice Baretta – Qualche attenzione comincia ad esserci, è un lavoro complesso ma è una strada che si può praticare. Ci vorrebbe una politica unitaria.»

Un progetto unitario con ruoli definiti tra Stato, Enti locali e privati

Insiste molto Baretta sulla necessità di un progetto unitario, in cui ognuno, governo centrale, amministratori e forze imprenditoriali locali si dividono efficacemente i ruoli  « In una convegno che c’ è stato un mese fa per ricordare l’alluvione del quattro novembre del 1966 – ricorda – è stata sostenuta una tesi che a me convince: distinguiamo tra quello che compete allo stato e quello che compete agli enti locali e vediamo quello che è anche possibile fare in un accordo tra pubblico e privato.

 

Portomarghera
Portomarghera

Le grandi opere di salvaguardia senz’altro spettano allo Stato, – prosegue il deputato del Partito Democratico   – lo Stato non puo’ rinunciare a questo ruolo anche in una logica di investimenti pubblici. Detto questo però non è che la Regione e il Comune possono dire “fa tutto lo Stato”. Ci sono delle competenze e delle risorse che loro devono mettere a disposizione, e, per esempio nel caso di Marghera, anche una sorta di joint venture con i privati diventa un elemento fondamentale. Quello che bisogna fare – conclude Baretta – è scuotere l’ albero, risvegliarsi . Bisogna risvegliare un po’di orgoglio come quello che ci fu con la fondazione di Marghera cento anni fa, con una buona dose di coraggio ed entusiasmo. »














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