Industria, ripresina a gennaio. Ma per il farmaceutico è profondo rosso.

Il fatturato industriale fa segnare un risultato positivo a gennaio, con un ampio 3,1% sul mese precedente. In altri contesti sarebbe considerato l’inizio dell’inversione di rotta, ma è presto per dirlo. Se si considera il trimestre novembre-gennaio, quest’ultimo ha fatto registrare un calo tendenziale complessivo pari all’1,8%. Stesso discorso per gli ordinativi. Positivi a gennaio su scala congiunturale dell’1,8%; ma ancora in debito del 2,1%, quanto a trimestre novembre-gennaio sotto il profilo tendenziale. Comunque sia, l’incremento congiunturale del primo mese dell’anno c’è; ed è dovuto, afferma l’Istat (istituto nazionale di statistica) sia al mercato interno (+ 2,3%) che alle esportazioni (+ 4,5%). Quanto alla crescita degli ordinativi, chiarisce l’Istituto, è la sintesi di una flessione delle commesse provenienti dal mercato interno (-1,1%) e di un marcato aumento di quelle provenienti dall’estero (+6%).

Bene le macchine utensili, crollo verticale del farmaceutico.

Secondo l’Istat, tutti i raggruppamenti principali di industrie segnano una variazione congiunturale positiva: +4,6% l’energia, +4,1% i beni strumentali, +2,5% i beni intermedi e +2,4% i beni di consumo. Guardando invece i singoli settori, si evidenziano da una parte la crescita tendenziale del settore dei macchinari e attrezzature (+ 8,8%), comparto che riprende la sua marcia dopo lo stop dovuto, negli ultimi sei mesi del 2018, all’incertezza governativa sugli incentivi al 4.0; dall’altra, come contraltare, la seria decrescita dell’automotive (- 21,5%; la questione sarà ricordata di seguito) e del farmaceutico (- 13,8%) settore nel quale l’Italia primeggia in Europa, avendo da due anni a questa parte superato la produzione tedesca. Cosa stia accadendo a quest’ultimo comparto non è facilmente comprensibile. Secondo alcuni osservatori, è un fenomeno legato alla stagionalità della domanda; secondo altri, le imprese sono impegnate nella trasformazione digitale legata alla serializzazione dei prodotti richiesta da una direttiva europea entrata in vigore il mese scorso. Lo si vede anche nell’indice grezzo degli ordinativi (che in generale mostra un calo tendenziale dell’1,2%, derivante da diminuzioni sia per il mercato interno pari al -1,9% sia, in misura meno rilevante, per quello estero pari al -0,2%): anche qui la diminuzione più marcata si rileva nell’industria farmaceutica (-5,1%), mentre la crescita maggiore si registra per le industrie tessili (+5,4%). Tra i settori in positivo, anche quello dell’elettronica (+ 5,9%), della gomma (+4,9%), del petrolio (+3,5%) e dell’abbigliamento (+3,3%). Tra quelli che arretrano, la metallurgia (- 2%), la chimica (-3,4%) e le attività estrattive (- 5,6%).







Profondo rosso per l’automotive.

Al di là del calo tendenziale del fatturato di gennaio, anche gli ordinativi, con una flessione pari a – 21,7%, non promettono nulla di buono per i prossimi mesi. Potrebbero esserci più motivi per la débâcle. Anzitutto, il contesto internazionale non aiuta. Il diesel, per esempio, incontra senz’altro gli ostacoli frapposti dalle amministrazioni centrali e territoriali di mezzo mondo, preoccupate dalle emissioni di ossidi di azoto. Anche le auto a benzina hanno incontrato forti difficoltà, sia perché l’Unione Europea ha fissato in 95 grammi al kilometro le emissioni massime di Co2 per il 2021, un traguardo definito «irrealistico» da molti carmaker, che per l’entrata in vigore di un nuovo test di omologazione delle auto, il Wltp (Worldwide harmonized Light vehicles Test Procedure), procedura assai rigorosa (soprattutto in fatto di emissioni), tanto che molte case automobilistiche hanno fermato le linee. Inutile produrre macchine che non passano i test. In Italia, poi, la situazione è aggravata del ticket ecobonus-ecotassa. Per saperne di più, si consulti questo articolo di Industria Italiana.

Le esportazioni di gennaio.

L’export è cresciuto in misura tendenziale in India (+ 24,6%), negli Usa (+ 18,1%), in Svizzera (+ 13%); è calato nel Mercosur (- 7,1%), in Medio Oriente (-11,5%), nell’Opec (-19%) e in Turchia (- 26,6%).














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