Industria del packaging: ecco perché crescerà ancora

di Marco de’ Francesco ♦ L’ azienda più nota è la Ima di Alberto Vacchi. Ma sono centinaia le aziende di un comparto che nel 2018  ha segnato ricavi per  7,6 miliardi  (+7,5%) e che potrebbe ancora fare grandi performance grazie a digital transformation, automazione avanzata e Iot. Le proposte di innovazione da parte di Abb, Omron, Universal Robots…

C’è un settore della manifattura del Belpaese al primo posto sul podio, non solo europeo ma anche globale. L’Italia dei costruttori di macchine per il packaging svetta nella classifica mondiale del fatturato industriale di comparto, dall’alto dei suoi 7,6 miliardi di euro. Tuttavia secondo Simone Castelli, vice presidente di Ucima, l’associazione che riunisce i costruttori «non sarà però semplice mantenere questa posizione: dobbiamo restare al passo serrato con l’evoluzione della tecnologia, cercando di individuare i trend futuri».

È questo un comparto avanzato, che ha già intrapreso la strada della digital trasformation approfittando del Piano Calenda. La Packaging Valley in particolare, il distretto emiliano cresciuto per gemmazione da impresa madre a imprese figlie grazie a operai che si sono “messi in proprio” nella seconda metà del secolo scorso, fa registrare la più alta concentrazione di stabilimenti produttivi al mondo e finora ha saputo adeguarsi alla richiesta di servizi e di innovazione del mercato. Ora, però, serve un salto di qualità: occorre imparare a realizzare confezioni a misura di azienda-cliente. Questo perché quest’ultima richiede macchine sempre più flessibili e personalizzate: c’è di mezzo la mass-customization.







 

Packaging: serve un salto di qualità

 

Ma anche più performanti, efficienti, e più adatte ad una produzione sostenibile, soprattutto ora che alcuni formati di plastica sono sotto scacco, per via dell’impatto sull’ambiente marino. Per tradurre in realtà questo passaggio cruciale i costruttori hanno individuato alcune tecnologie funzionali e strategiche, come il virtual commissioning, che riduce i tempi di collaudo; l’Iot, per controllare le macchine e i cobot e robot mobili, che consentono una produzione più flessibile. Ma hanno anche compreso che non ce la possano fare da soli, e che debbano invece contare sul dialogo con clienti e fornitori di tecnologia, come, tanto per citarne alcuni, Abb, Omron e Universal Robots.

 

Il vice presidente Ucima, Simone Castelli
Una punta di diamante dell’industria nazionale

L’economia italiana, si sa, deve parecchio alla manifattura e ai costruttori di macchine utensili in particolare. Stringendo ancora il campo, vediamo in prima fila i costruttori di macchine per il confezionamento, con il loro record mondiale, a lungo conteso ai colleghi tedeschi. Non è esattamente l’automotive, per dimensioni: stiamo parlando di 250 aziende medie e 350 ditte artigianali. Realtà per lo più dislocate, a parte la già citata Emilia-Romagna, in Lombardia, Piemonte e Veneto, regioni che assieme rappresentano più dell’80% delle unità di comparto. Tra le aziende più importanti, la G.D. di Bologna; la Ima di Ozzano dell’Emilia; la Tetra Pack di Modena; le parmensi Sidel, Cft e Ocme; il gruppo Marchesini di Pianoro (Bologna); il gruppo Aetna di Verucchio (Ravenna) e la Fava di Cento (Ferrara).

 

Alberto_Vacchi,_Presidente_IMA_S.p.A
Alberto Vacchi,Presidente IMA

 

Le radici storiche del packaging nazionale risalgono alla fine del XIX secolo, con la diffusione dell’industria meccanica nel Bolognese. Nel capoluogo vennero fondate la “Scuole tecniche Bolognesi” dal fisico Giovanni Aldini e dall’economista Luigi Valeriani, istituto che intendeva “anticipare” la domanda di tecnici e di mano d’opera specializzata. In realtà lo sviluppo di un primo distretto ha inizio attorno agli anni Trenta del secolo scorso. Una forte accelerazione si ebbe tra i primi anni del dopoguerra e gli anni Ottanta, con la particolare caratterizzazione dell’industria locale, che si focalizza sulla produzione di macchine utensili. Si arriva dunque all’epoca dell’internazionalizzazione, trend che i costruttori di macchine per il packaging abbracciano con energia: oggi più dell’80% della produzione finisce all’estero: negli Stati Uniti, primo mercato di sbocco, in Africa, in Australia, in Unione europea, e in Sud America. L’anno scorso le vendite oltre confine hanno superato i 6 miliardi con un incremento del 6,6% sull’anno precedente.

La crescita sostenuta degli ultimi anni

Nel complesso, l’incremento di fatturato per il 2018 è stato pari al 6,8%, un valore molto lusinghiero. Nel 2017, infatti, le revenue erano pari a 7,1 miliardi; nel 2016 a 6,6 miliardi e nel 2015 a 6,1. Dunque dal 2015 al 2018 si è assistito ad una crescita di quasi il 25%. È che, per adesso, il settore – che serve mercati di destinazione assai diversificati, dal farmaceutico al food&beverage al petrolchimico, dalla chimica alla cosmetica e al tabacco, e che dà lavoro a 30mila dipendenti (100mila con l’indotto) – ha mostrato elementi di grande competitività, con l’assistenza post-vendita globale, con la varietà della gamma di prodotto, e con l’implementazione tecnologica. Molto si riconosce a Calenda.

Secondo Castelli «il piano Industry. 4.0 ha favorito l’adozione di innovative tecnologie da parte della clientela italiana ma anche la ripresa del mercato». Nel 2018 l’Italia ha generato ricavi per 1,6 miliardi, con un rialzo del 7,5%; nel 2017, il fatturato indoor è stato pari a 1,5 miliardi, con una crescita del 14,4%. Ma ora il boost degli incentivi non basta più. Per l’anno in corso si prevede il rallentamento della crescita, con ordinativi ancora in campo positivo ma di poco. In parte, a causa di questioni congiunturali – Ucima si è detta preoccupata «per le politiche economiche e sociali del Governo che ad oggi scarsa attenzione verso il mondo produttivo e che rischiano di marginalizzare l’Italia sullo scacchiere europeo»; in parte per via «del contesto sempre più complesso, che richiede tecnologie sempre più differenziate».

 

Andrea Maramotti

Necessario il cambio di passo, per realizzare confezioni a misura di cliente

Secondo Andrea Maramotti, key account manager di Omron, colosso giapponese attivo nel settore dei componenti per l’automazione industriale «le aziende clienti dei costruttori vogliono essere trattate come Nestlè, Danone o Unilever». Vogliono cioè disporre di macchine di confezionamento che consentano una grande agilità e personalizzazione. «L’ho visto fare in Israele: macchine che stampano su lattine, ad esempio. Così, l’azienda può realizzare da un giorno all’altro oggetti con l’immagine delle due squadre di calcio che si contendono la Uefa Champions League. È solo una questione di programmazione». Anche il rapporto tra fornitori di tecnologia e costruttori cambia. Per Maramotti «il fornitore è sempre più un partner dei secondi. In passato Omron era sul mercato, e vendeva i suoi prodotti. Ora sono i costruttori a farsi vivi. Ci fanno sapere di aver bisogno di una certa tecnologia altamente differenziata e adatta ai loro progetti. Siamo consulenti, anzitutto, e poi realizziamo nuove soluzioni personalizzate, ad esempio per il cambio formato più veloce possibile».

 

Davide Azzolini, direttore tecnico divisione Ima Automation Gima packaging

Tecnologie individuate: il virtual commissioning

Se ne è parlato a Bologna al convegno “Packaging 4.0: efficienza e flessibilità al servizio della mass customization” dove peraltro erano presenti non solo i costruttori, ma anche i grandi fornitori di tecnologie. L’evento, organizzato dall’operatore globalizzato di fiere Messe Frankfurt, ha rappresentato una delle tappe di avvicinamento a Sps Drives Italia, la fiera dell’automazione che si terrà tra il 28 e il 30 maggio a Parma.

 

Il convegno “Packaging 4.0: efficienza e flessibilità al servizio della mass customization”, organizzato da Messe Frankfurt a Bologna

 

Secondo Davide Azzolini, direttore tecnico divisione Ima Automation Gima packaging l’azienda per la quale lavora «ha ottenuto una riduzione del 30%, 40% del tempo di delivering della macchina». Ora, il gruppo Ima è leader mondiale nella progettazione e produzione di macchine automatiche per il processo e il confezionamento di prodotti farmaceutici, cosmetici, alimentari, tè e caffè. Il contesto è quello di una importante realtà manifatturiera, anche lei localizzata in Emilia, esattamente a Ozzano dell’Emilia, nel Bolognese. Ma come è arivata ai risultati di cui parla Azzolini? Per virtual commissioning si intende il collaudo della macchina effettuato non sul mezzo fisico, ma sul digital twin, il gemello digitale. Si prova il software inserito nel controllore della macchina, e si simula la fisica del prodotto (ad esempio l’attrito tra le componenti), ottenendo feedback grafici immediati. Ma, soprattutto, si supera il sistema dei processi lineari.

Sempre per Azzolini «il virtual commissioning ha portato all’integrazione degli uffici tecnici, che hanno lavorato in parallelo, operando sul digital twin conoscendo real time le simulazioni realizzate dagli altri uffici». Curiosamente, un gruppo delle dimensioni di Ima, 1,5 miliardi di fatturato, ha stretto una partnership con una realtà avanzata ma molecolare, IPhysics. «Una azienda con cinque dipendenti». Quanto ai prossimi passi, il remote virtual training (e quindi l’addestramento della macchina in remoto), il virtual change over (il cambio di prodotto virtuale) e altri.

 

Yumi
Il robot collaborativo YuMi di Abb (courtesy Abb)
Tecnologie individuate: cobot e mobot

I robot collaborativi (cobot), sono strumenti destinati a interagire fisicamente con gli esseri umani in spazi di lavoro condiviso. Grazie ai sensori di movimento, a quelli per rilevare la forza impressa, a telecamere e a sistemi anticollisione, sono in grado di coordinare la propria azione con quella degli operatori umani. In genere, si tratta apparecchi piccoli e agili, studiati per manipolare le cose. Sono facilmente programmabili e configurabili. Secondo Stefano Verricelli, sales specialist – Bu Robotics Abb «possono essere posizionati in linea senza grandi cambiamenti, e spostati da una posizione all’altra dello shopfloor senza modificare il layout di produzione». I cobot occupano poco spazio, e trovano utilizzo nella maggior parte delle applicazioni di packaging e pallettizzazione.

Per Alessio Cocchi, Country Manager Universal Robots «non sostituiranno mai i robot, che operano in modo autonomo e lavorano all’interno di gabbie di sicurezza. Sono una cosa diversa, e rispondono a diverse esigenze. I primi hanno una sensoristica avanzata a bordo, ma non sono veloci come i secondi». Quanto ai mobot, si tratta di montare robot (ma si prestano meglio i cobot) su Agv (automated guided vehicle), banchi di lavoro mobili a guida automatizzata (in molti casi utilizzano il laser) che comunicano con le macchine e con il sistema gestionale, interagiscono con l’ambiente e costituiscono elementi attivi della catena intralogistica. Spiega Maramotti :«i mobot calcolano i percorsi in azienda, scansano gli ostacoli grazie ai laser scanner. Contribuiscono alla smart factory, e ci sono tante applicazioni anche per il packaging. Sarà poi interessante l’implementazione del mobile planner, l’intelligenza che gestisce la flotta. Quella che decide dove deve dirigersi il singolo mobot».

 

Un robot Mitsubishi

 

C’è poi il modello intermedio tra robot tradizionale e cobot, sviluppato da Mitsubishi Electric. Secondo Roberto Beccalli, Product Manager Servo & Motion per l’area europea della multinazionale, in pratica si tratta di un robot veloce e preciso come un modello industriale, ma che è in grado di comportarsi come uno di genere collaborativo grazie ad una aggiunta: uno scanner di area. Così, normalmente il mezzo agisce in quanto industriale; ma se un operatore penetra nei confini di un’area definita, il robot rallenta improvvisamente, muovendosi alla velocità prevista per un collaborativo. Se poi l’operatore tocca il robot, questo si ferma; ma poi riprende la propria azione, senza la necessità di essere riprogrammato.

 

Il dibattito a “Packaging 4.0: efficienza e flessibilità al servizio della mass customization” . Da sx a dx Stefano Verricelli, Roberto Beccalli, Andrea Maramotti, Alessio Cocchi
Tecnologie individuate: l’Iot e tutto il suo mondo

La diversificazione del prodotto, la realizzazione di più modelli sino alla cosiddetta customizzazione di massa, comportano cambi lungo i processi che possono essere realizzati solo controllando real time le linee di produzione. Si deve acquisire la possibilità di produrre modifiche funzionali in remoto. È stato osservato in altri contesti che l’Iot è «il controllo effettivo delle cose» (si legga, a proposito, questo articolo  di Industria Italiana); e che «delle tre C in inglese, connectivity, compute e control, quella che conta veramente è la terza». In realtà non è così semplice. Per esempio, «per arrivare ad ottenere un algoritmo preciso di manutenzione predittiva occorrono macchine interconnesse e un datalake di milioni di dati. E quali saranno le informazioni rilevanti? Il settore è ai primi passi, in questo campo», secondo Carla Masperi, chief operating officer.

 

Il machine controller Sysmac NJ501-1400 di Omron gestisce l’impacchettamento del pastificio Martini

 

Peraltro, secondo la società di consulenza strategica Gartner, entro il 2022 il 75% dei dati aziendali saranno creati e processati “at the edge”, e cioè in prossimità degli strumenti che li generano, contro l’attuale 10%. D’altra parte, si assisterà ad un aumento esponenziale dei dati, e che perciò diventerà difficile e costoso esaminare tutte queste informazioni in un ambiente lontano, il tradizionale data center centralizzato o cloud. Per certe funzioni, come la predittiva, si realizzano soluzioni embedded direttamente nei componenti della macchina. Secondo il sales manager della divisione meccatronica di Bonfiglioli Marco Bertoldi «il nostro inverter (apparato elettronico di ingresso-uscita in grado di convertire una corrente continua in ingresso in una corrente alternata in uscita e di variarne i parametri di ampiezza e frequenza) ha una funzione di aging (e cioè di valutare la consunzione) di apparecchiature interne critiche, come il capacitore (componente elettrico che immagazzina l’energia in un campo elettrostatico)».

E poi ora c’è IO-link, un protocollo di comunicazione che consente uno scambio direzionale dei dati tra i sensori inseriti nella macchina e una postazione più centralizzata. Prima della sua invenzione la comunicazione con sensori e attuatori non era possibile. Consente la configurazione e il monitoraggio remoti, funzionalità di diagnostica avanzate e una sostituzione semplificata dei dispositivi. Per Daniele Bonifazi, system sales engineer Ifm Electronic Italia «lì dove non si possono inserire sistemi di visione si può comunque controllare il campo. Dal Pc si può regolare il lavoro delle fotocellule, ad esempio». D’altra parte, secondo il manager packaging food&beverage per l’Europa meridionale di Baluff Automation Roberto Caffarelli, «oggi i clienti chiedono sempre di più sensori multifunzione e con una intelligenza a bordo, e IO-link fornisce la possibilità di gestire grandi quantità di dati e informazioni. Nell’ambito del packaging in particolare, è poi un considerevole beneficio la possibilità di intervenire sui sensori, affinché la macchina possa aggiustare il proprio funzionamento, garantendo minori sprechi e maggiore qualità produttiva».














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