L’industria deve cambiare, e anche abbastanza in fretta. Altrimenti……

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di Marco de’ Francesco ♦ Le imprese che vogliono cogliere in pieno i vantaggi di smart manufacturing, 4.0, digital transformation non devono guardare solo ai miglioramenti in efficienza, ma mettere in discussione l’ intera logica dei processi, abbracciando una visione disruptive. Lo sostiene KPMG. Lo spiega Carmelo Mariano, con le case histories di Ocado, Lamborghini, Mercedes

Il 75% delle aziende pensa che Industry 4.0 sia una reale opportunità per rivitalizzare il settore manifatturiero italiano. Insomma, la maggioranza delle imprese ritiene che sia una strategia vincente, sulla quale investire. Ciò che invece non si è capito  è che non si tratta di puntare esclusivamente all’efficienza dei processi, e al “far meglio quello che si è sempre fatto”. Casi di successo, come quelli di Lamborghini, Ocado, Mercedes, John Deer e Perkins dimostrano invece che sono le azioni disruptive – quelle che comportano una rivoluzione del proprio modo di lavorare e fare business – a portare all’azienda che le compie il maggior valore. La linea morbida, attendista, non paga. Bisogna cercare di arrivare primi al traguardo, sbaragliando la concorrenza. Tutto ciò secondo la ricerca di KPMGSmart Manufacturing tra ambizione e realtà”, presentata giorni fa ad una evento milanese da Carmelo Mariano, Partner KPMG Advisory.

 







Carmelo Mariano(KPMG)
Carmelo Mariano Partner KPMG Advisory

 

Una nuova consapevolezza: la quarta rivoluzione industriale è una realtà per il manifatturiero italiano

Negli ultimi 12 mesi è partita una vera e propria campagna di marketing politico-istituzionale, in materia di Industry 4.0. Se ne parla nei convegni; ed è uno di quegli argomenti che sono sul tavolo delle direzioni aziendali. Ma quanto conta per i destini della “fabbrica”? È davvero una leva fondamentale per il riscatto del manifatturiero? «Lo abbiamo chiesto a circa 300 aziende – ha affermato Mariano – e la maggioranza degli intervistati, per l’esattezza il 75%, pensa che lo sia. Il 23% è solo parzialmente d’accordo; e solo il 2% non è d’accordo». Secondo Mariano bisogna tuttavia tener presente che il manifatturiero italiano è caratterizzato da una forte connotazione culturale di prodotto, ed è composto principalmente da aziende di medie e piccole dimensioni. In pratica, non giova alla causa la circostanza che ci siano pochi player di grandi dimensioni in grado di svolgere il ruolo di capo-filiera e trainare l’innovazione di settore.

«In questo contesto si è inserito il piano Calenda – continua Mariano – diretto a incentivare la spesa con deduzioni fiscali, e a rilanciare il ruolo delle università e dei centri di ricerca come hub di innovazione. Qual è stata l’efficacia di questa policy? La produzione industriale, dal gennaio 2016 al luglio 2017 è cresciuta progressivamente di circa il 4%; nello stesso periodo, il fatturato del settore dei macchinari è cresciuto in modo rilevante (+15%) e superiore rispetto alla media delle imprese tedesche. Dunque la policy è servita a far ripartire gli investimenti. Va detto che queste misure sono state prese in un contesto di moderata espansione economica; forse è ancora un po’ presto stabilire un nesso di causalità con la crescita economica. Di sicuro c’è bisogno di più tempo, per analizzare i benefici di questa visione strategica».

Solo efficientamento ? Una valutazione parziale dei vantaggi di Industry 4.0

Le aziende, però, puntano soprattutto all’efficienza dei processi; ma così non si sfrutta appieno il potenziale del 4.0. La domanda è: quali sono le motivazioni per le quali le aziende dovrebbero investire nelle tecnologie legate al 4.0? «La ricerca di efficienza – ha affermato Mariano – è sicuramente la risposta più immediata. Circa due anni fa noi abbiamo iniziato a collaborare con una azienda che lavora nel settore dell’industrial machinery per definire il suo percorso verso la digitalizzazione. Il driver di questa iniziativa era l’efficientamento produttivo. Con piattaforme di digital manufacturing e sistemi di simulazione è stato possibile eliminare tutta una serie di tempi non produttivi, come quelli di fermo macchina. Il fatto è che l’efficienza non deve essere l’unico driver della trasformazione digitale. Per cercare di capire quale possa essere il vero potenziale del 4.0, può essere utile fare un confronto con quanto è successo un secolo fa con la Seconda Rivoluzione Industriale.»

 

Catena di montaggio nel primo stabilimento Ford

 

«Un’espressione inglese che a me piace particolarmente è “looking backward to look forward” e cioè: guardiamo al passato per trarre insegnamenti utili e per comprendere meglio il presente. La Seconda Rivoluzione è iniziata alla fine dell’Ottocento con l’introduzione di macchine elettriche in sostituzione di quelle a vapore. Le prime erano senz’altro più performanti delle seconde e ciò ha consentito degli indubbi aumenti di produttività. Ma gli incrementi più significativi si sono avuti a distanza di 20 o 30 anni, quando Ford e Taylor hanno utilizzato il potenziale offerto dalla nuova tecnologia per cambiare le logiche e i principi della organizzazione del lavoro. È proprio questo il potenziale del 4.0: offrire alle aziende le leve tecnologiche attraverso le quali cambiare il modo tradizionale di lavorare».

 

 

Robot Comau al lavoro sulla catena di montaggio dello stabilimento FCA di Pernambuco ( Brasile)

La linea morbida non paga. Le aziende sono chiamate a fare mosse disruptive

Cosa ci insegnano i casi di successo? Che non è il momento di attendere, e che bisogna utilizzare le nuove tecnologie per cambiare tutto. «Molte aziende – ha continuato Mariano – hanno avuto nei confronti del 4.0 un atteggiamento un po’ “attendista”; hanno aspettato che venissero fatti investimenti infrastrutturali e che le tecnologie sottese a questi ottenessero la più ampia diffusione. In realtà i casi di successo riguardano aziende che hanno avuto il coraggio di sviluppare un proprio percorso per di “arrivare prime”. È un grande vantaggio. Le aziende, come si è detto, sono spesso mosse dalla logica del “facciamo ancora meglio quello che abbiamo fatto sempre”; invece, il vero potenziale del 4.0 sta nella capacità di utilizzare la leva tecnologica per cambiare il modo tradizionale di lavorare; per far ciò, occorre sfruttare l’innovazione tecnologica.»

 

lavoro robot o umani
Per il settore manifatturiero le competenze digitali sono da inserire nel contesto di quelle “chiave” del proprio organico

La necessità delle competenze digitali

«Il vero cambiamento è legato all’Iot, all’intelligenza che viene distribuita nella produzione e nelle relazioni con i clienti. Le aziende, poi, devono dotarsi di nuovi talenti e competenze per imparare a fare cose utili con i dati; il problema è dove e come reperire questi talenti. Il settore manifatturiero non gode di una elevata attrattività per queste figure professionali. Alcune aziende, per colmare questo gap, hanno inserito le competenze digitali nel contesto di quelle “chiave” del proprio organico. Ancora una volta il digitale, la tecnologia diventano ragioni per rendere più attrattivo il posto di lavoro. E non si tratta solo di cercare progettisti software e data-scientist: c’è bisogno anche di competenze di tipo relazionale». Tutto ciò, secondo Mariano, è dimostrato da alcuni casi di grande rilievo.

 

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La app di Ocado Photo by Curtis John
L’esperienza di Ocado, il supermercato robotizzato

È uno dei principali supermarket online del Regno Unito, con un fatturato di 1,6 miliardi di sterline e altri numeri importanti: 580mila clienti attivi, 50mila prodotti gestiti e 264mila ordini alla settimana. Non ha alcun punto vendita né alcun negozio, ma è in grado di consegnare a casa la spesa al 70% della popolazione UK. L’offerta si articola in tre aree: grocery (alimentari, prodotti frigo, surgelati); general merchandise (prodotti per animali domestici, articoli da cucina) e platform business (dal 2013 vende la “Ocado Smart Platform” per supportare altri retailer nell’ingresso al mercato e-commerce). Ma che c’entra Ocado con l’Industry 4.0?

«C’entra – ha affermato Mariano – perché in Ocado lavorano più di 1.200 persone: ingegneri, progettisti di software, data scientist, tutte figure impegnate a disegnare le soluzioni tecnologiche che Ocado utilizza sia per gestire la presa ordine online che i centri di distribuzione delle merci. Quindi in una azienda che per lo più è un operatore logistico lavorano più ingegneri che magazzinieri. Che cos’ha di così tanto rivoluzionario il sistema di Ocado? È un magazzino automatico, che si sviluppa su una griglia a più livelli e senza corridoi; i prelievi sono affidati a robot molto performanti, intercambiabili, che si muovono alla velocità di diversi metri al secondo, spostando casse del peso di decine di kg; la superficie coperta dalla griglia è facilmente estendibile e il numero di robot può essere modificato in funzione della capacità necessaria. E poi Okado utilizza le logiche dell’intelligenza artificiale per ottimizzare le sequenze di prelievo svolte dalle macchine».

In altri termini, i dati che vengono raccolti in tempo reale da tutte le piattaforme attraverso le quali Ocado vende i suoi prodotti sul mercato, e sono analizzati in tempo reale per ottimizzare le sequenze di prelievo che devono essere eseguite dai robot. Inoltre, si utilizzano logiche avanzate di rifornimento automatico del magazzino. Secondo Ocado, con questi sistemi si è ottenuta una riduzione dei picking-time di un ordine tipico da 50 pezzi da alcune ore a pochi minuti.

 

Stefano Domenicali (17)
Stefano Domenicali, AD Lamborghini con il nuovo modello Urus

L’esperienza di Lamborghini: l’impianto 4.0 per i Suv

Del caso, Industria Italiana si è già occupata  qui. «La casa automobilistica– ha affermato Mariano – ha ampliato la gamma prodotto sviluppando un nuovo modello di vettura, la “Urus”, per entrare nel segmento dei Suv (si tratta, in effetti, di un SuperSuv con motore V8 a benzina, un biturbo da 650 cavalli di potenza e 850 Nm di coppia; ndr). Pertanto l’azienda ha ampliato lo storico stabilimento di San’Agata Bolognese da 80mila a 160mila metri quadrati secondo i principi dell’Industry 4.0». Un nuovo comparto produttivo con una linea di assemblaggio dedicata a Urus, e ciò, appunto, all’insegna del modello Factory 4.0. «Nel nuovo impianto – ha sottolineato Mariano – non c’è la classica linea di assemblaggio rigida; ma anzi ce n’è una modulare, composta da isole, da celle, interconnesse ad un sistema centrale che guida gli operatori. Sono presenti robot collaborativi. Tutto ciò ha consentito di aumentare l’efficienza del sistema produttivo; ma ha anche permesso all’azienda di tracciare tutto ciò che avviene sulla autovettura nel corso della sua fabbricazione e ha messo gli operai nelle condizioni di lavorare in una situazione di maggiore ergonomia e sicurezza».

Lamborghini e Industry 4.0 – slide da uno studio KPMG

Altri casi di successo

Esperienze importanti sono quelle di Mercedes (marchio della Daimler Ag, multinazionale tedesca dell’automotive, con un fatturato di 164 miliardi di euro) John Deere (la Deere & Company, più nota come John Deere, ha sede in Illinois, USA. È una delle principali aziende al mondo produttrice di macchine agricole assieme a CNH e AGCO. Fu fondata a Grand Detour nel 1837 da John Deere, fabbro pioniere) e Perkins (per esteso Perkins Engines Company Limited, una società controllata da Caterpillar, si occupa della produzione di motori diesel e a ciclo otto per diverse destinazioni di mercato), che hanno utilizzato il 4.0 per cambiare il modo tradizionale di rapportarsi con il cliente, e per gestire processi di after-sales.

«Mercedes e John Deere – ha affermato Mariano – hanno sviluppato sistemi attraverso i quali sono in grado di gestire l’intero ciclo dell’ordine. Dalle fasi iniziali, quando c’è l’interesse all’acquisto fino al momento in cui questo si concretizza e fino al post-vendita. I camion di Mercedes e i mezzi agricoli di John Deere sono connected-product, perché hanno al loro interno delle smart box che consentono di raccogliere dati in tempo reale. Perkins ha brevettato sensori in grado di rilevare le condizioni di funzionamento dei motori. Tutti questi dati vengono analizzati da sistemi centrali di machine learning; Mercedes ha per esempio un sistema di diagnostica che sulla base di questi dati è in grado di far operare gli algoritmi di manutenzione predittiva, e intercettare con anticipo eventuali malfunzionamenti, notificarli al proprietario dell’automezzo grazie ad apposite app e sempre tramite queste il proprietario può prenotare la manutenzione presso il centro di assistenza».














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