“Ilva, il tira e molla con Arcelor Mittal ci porterà alla rovina”

di Luigi Dell’Olio ♦ Con il professor Riccardo Gallo facciamo il punto su una delle principali questioni industriali del Paese, anche alla luce di catastrofici progetti di chiusura vagheggiati da esponenti 5 Stelle. L’analisi contiene numeri inediti su bilanci, capacità produttiva, impatto occupazionale e relativi costi

 







Il destino dell’Ilva di Taranto sarà uno dei primi dossier che il nuovo Governo si troverà ad affrontare. La posizione del Movimento 5 Stelle, che avrebbe dovuto, insieme alla Lega, formare il nuovo esecutivo guidato da Giuseppe Conte era per la chiusura programmata degli impianti con l’obiettivo di riqualificare l’area. «L’era delle grandi opere inutili è finita» – aveva reso noto il partito di Luigi Di Maio. Ieri, però, Conte ha rimesso il mandato. Alla base di ciò, il no del presidente della Repubblica Sergio Mattarella sul nome di Paolo Savona, indicato da Lega e Cinque Stelle come ministro dell’Economia. Il Capo dello Stato, sulla scorta di posizioni euroscettiche espresse da Savona, ha chiesto che si presentasse un nominativo diverso. Di qui il braccio di ferro con la maggioranza, che si è concluso con l’aborto del governo Conte. Per stamane, è stato convocato Carlo Cottarelli, già direttore del dipartimento affari fiscali del Fondo monetario internazionale, nonché, Commissario straordinario per la Revisione della spesa pubblica del governo Letta (2013). Tecnicamente, è quasi impossibile che possa reperire una maggioranza in Parlamento. Comunque vadano le cose, tornando all’Ilva, tutto è da rifare rispetto all’accordo raggiunto lo scorso autunno dal Governo Gentiloni e da Arcelor Mittal, con quest’ultima che si impegna a curare le bonifiche ambientali e a farsi carico solo di 10mila dei 14mila dipendenti ancora in organico. Tecnicamente il colosso indiano non è ancora proprietario dell’Ilva, ma un promissario affittuario, dato che il contratto ha previsto un’offerta di acquisto (da 1,8 miliardi) previo affitto, con canoni di locazione annui da 180 milioni (che poi saranno scalati dal computo finale). L’impegno va firmato entro il 30 giugno, salvo proroghe dettate dal fatto che manca ancora un’intesa sul pano sindacale. Quale orientamento assumerà il nuovo Governo? Quale soluzione sarebbe opportuno adottare, considerati i vari interessi in gioco, tra tutela dell’ambiente, sviluppo del territorio e tenuta dell’occupazione in un territorio che già di per sé non vive una fase felice? Abbiamo provato a capirlo attraverso un’intervista a Riccardo Gallo, docente di Economia applicata alla Facoltà di Ingegneria dell’Università La Sapienza di Roma e già vicepresidente dell’Iri, in merito al futuro dell’acciaieria tarantina. In esclusiva per Industria Italiana, l’economista industriale ha condotto un’analisi che, partendo dai pochi dati ufficiali diffusi negli ultimi anni, consente di analizzare la situazione, i problemi e le potenzialità di quello che è il più grande impianto siderurgico europeo. Una base di studio importante per il nuovo Governo e per il dibattito pubblico.

 

Professore da quali elementi è partito nella sua analisi?

Sappiamo che l’Ilva è in amministrazione straordinaria e per legge i commissari non sono tenuti a pubblicare il bilancio. Ne fanno solo una relazione per il ministero dello Sviluppo economico. L’ultimo bilancio ufficiale risale al 2011, quando l’Ilva registrò un fatturato di 6,026 miliardi di euro, con un Ebit (o Risultato operativo che dir si voglia) negativo per 388 milioni. Se da questo dato togliamo gli oneri finanziari e le partite di bilancio straordinarie, è lecito stimare che il risultato finale sia stato molto peggiore.

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Riccardo Gallo, docente di Economia applicata alla Facoltà di Ingegneria dell’Università La Sapienza di Roma

Cosa è cambiato da allora?

I commissari hanno fornito qualche dato sparso, in relazione all’attività svolta nel 2016. Partendo da queste indicazioni sintetiche, ho effettuato delle interpolazioni che ci consentono di avere un quadro più aggiornato. Due anni fa, dopo un forte calo delle quotazioni del prodotto, il fatturato netto è stato di 2,2 miliardi di euro, secondo quanto comunicato dai commissari. Quanto al costo del lavoro, nel 2011 fu pari a 634 milioni a fronte di un numero medio di dipendenti di 14.998 unità. Nel 2016 sappiamo che i dipendenti erano diminuiti di poco, aggirandosi sui 14mila. Considerato che secondo quanto dichiarato dallo stesso management dell’Ilva, il costo del lavoro pro-capite è rimasto stabile rispetto a cinque anni prima (42.500 euro), il costo totale secondo le mie stime si è attestato a 594 milioni. Il dato reale potrebbe essere più alto o più basso di qualche milione, ma non cambierebbe la sostanza. Dato questo numero, stimando i costi variabili in proporzione ai volumi prodotti e venduti, sono arrivato a stimare per il 2016 un Ebit negativo per 617 milioni di euro.

 

E la capacità produttiva, cioè la produzione massima ottenibile di acciaio grezzo?

Era di 11,5 milioni tonnellate nel 2011 ed è rimasta costante negli anni. Diverso è il discorso per la produzione effettiva, che nel 2011 si attestò a 8,4 milioni di tonnellate, e cinque anni dopo è scesa a 5,8 milioni. Il corrispondente grado di utilizzo degli impianti è crollato dal 73,3% al 50,4%. Svolgendo una semplice analisi di breakeven, possiamo arrivare a capire quale sfruttamento della capacità produttiva sarebbe necessario per arrivare all’equilibrio economico, cioè a un Ebit non negativo.

 

E dunque?

Nel 2011 sarebbe stato necessario uno sfruttamento del 118%, cioè il 18% sopra al massimo possibile. Alla luce dell’evoluzione al 2016 del prezzo dell’acciaio e di quello delle materie prime, quindi della struttura economica dell’azienda, per raggiungere il pareggio sarebbe stato necessario uno sfruttamento nell’ordine del 127%. Quindi il punto di pareggio che nel 2011 già era irraggiungibile si è ulteriormente allontanato, per cui dobbiamo concludere che la situazione è peggiorata. Questo spiega anche perché, nonostante una lieve flessione dei livelli occupazionali, l’Ebit da me stimato nel 2016 sia stato pari a – 616 milioni di euro contro – 388 milioni di euro del 2011.

 

Detto dell’evoluzione negli ultimi anni, cosa cambierà alla luce dell’accordo tra Governo e Arcelor Mittal?

Nel Dpcm del 29 settembre 2017 è scritto che nel transitorio delle opere di bonifica ambientale la produzione annua dell’Ilva di Taranto non potrà superare i 6 milioni di tonnellate di acciaio grezzo. Considerato che nel 2016 questa si è fermata a 5,8 milioni, si arriva a stimare un fatturato netto di 2,4 miliardi, a prezzi invariati.

 

Come si arriva a questo dato?

Partendo dagli elementi fin qui visti, aggiungo l’impatto di costi fissi costanti e di un incremento atteso dello sfruttamento degli impianti dal 50,4 del 2016 al 52,2% negli anni di transitorio. Nell’accordo con Arcelor Mittal è prevista genericamente un’accelerazione delle attività, ma fino a che non termina la bonifica resta il limite dei 6 milioni. E con questo tetto non si può andare oltre il 52,2% di utilizzo della capacità. In queste condizioni,perdite di gestione molto pesanti sono inevitabili.

 

La conclusione?

Dovremmo accendere un cero alla Madonna se Arcelor Mittal non se ne scappasse e prendesse davvero l’azienda.

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Carlo Calenda, ministro dello Sviluppo Economico del governo Gentiloni

Il punto più divisivo riguarda le ricadute occupazionali. Il colosso indiano offre di farsi carico di 10mila dei 14mila dipendenti attuali. Non basta per riequilibrare i conti?

Con questo,si passerebbe da una perdita di 617 milioni a una di 413. Insomma un miglioramento ci sarebbe, ma sarebbe ampiamente insufficiente. Mi chiedo, era il caso che il ministro Calenda a ottobre 2017 si rifiutasse di aprire il tavolo con le parti?

Carlo Cottarelli, foto di Niccolò Caranti, opera propria, CC BY-SA 4.0,

E allora quali sono le conclusioni?

Il problema è il basso sfruttamento del potenziale. La più grande acciaieria d’Europa ha bisogno di andare a tavoletta. Finché va a metà, imbarca perdite enormi. Chi compra è un santo, dato che per tutto il tempo della bonifica è disposto a far fronte patrimonialmente a queste perdite: stiamo attenti a non farlo scappare. D’altronde, il basso sfruttamento è imposto dall’obiettivo altrettanto sacrosanto della bonifica ambientale. Quindi, a mio parere, a occuparsi della ristrutturazione e della bonifica dovrebbe essere solo la Regione con le sue competenze, e il governo nazionale dovrebbe piantarla di interferire come fa da sette anni.

 

 

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milioni di euro 2011 2016 Anno post accordi
Fatturato netto 6.026 2.200 2.400
Consumi 5.384 1.826 1.992
Valore aggiunto 642 374 408
Costo lavoro totale 634 594 425
Margine operativo lordo 8 -220 -16
Ammortam Oneri pluriennali 1 1 1
Ammortamenti tecnici 396 396 396
Risultato operativo (Ebit) -388 -617 -413
Oneri finanziari 120
Proventi finanziari 112
Utile o perdita su partecipate -1
Risultato corrente anteimposte -398
Risultato anteimposte -447
N° dipendenti a fine anno 14.790
N° dipendenti medio nell’anno 14.928 14.000 10.000
Capacità produttiva annua (produzmax) degli impianti, milioni di tonnellate di acciaio grezzo 11,5 11,5 11,5
Produzione effettiva di acciaio grezzo (milioni ton) 8,4 5,8 6,0
Vendite acciaio grezzo (milioni ton) 5,5 6,0
Sfruttamento degli impianti, % 73,3% 50,4% 52,2%
Produzione necessaria per raggiungere pareggio economico 13,5 14,6 12,1
gucbep 117,7% 126,6% 104,9%

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La crisi dell’Ilva in pillole. Nel 2012 sono state depositate presso la Procura della Repubblica di Taranto due perizie, una chimica e l’altra epidemiologica, nell’ambito dell’incidente probatorio che vede indagati Emilio Riva (della famiglia proprietaria), suo figlio Nicola, e altri. Con il nome della originaria azienda fondata nel 1905, l’Ilva è nata sulle ceneri della dismessa Italsider. Il più importante stabilimento italiano è situato a Taranto, e costituisce il maggior complesso industriale per la lavorazione dell’acciaio in Europa. Dopo l’inchiesta avviata nel 2012, originata dalla questione dell’impatto ambientale, lo Stato ha avviato la procedura di commissariamento dell’azienda e avviato una gara internazionale per una riassegnazione della stessa; la Am Investco, cordata formata da ArcelorMittal e Marcegaglia è stata scelta per avviare le trattative di acquisizione. Mittal, però, resta fermo sulla disponibilità iniziale: assumere 10mila dei 14mila totali dell’Ilva lasciando gli altri 4mila in carico all’amministrazione straordinaria. E 10mila erano quelli che Mittal avrebbe dovuto assumere secondo l’accordo con il governo, presentato dal ministro Calenda ai sindacati. Che però hanno interrotto la trattativa: «Testo non condivisibile».

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La posizione del M5S, sul loro blog. «La trattativa sul futuro occupazionale degli operai del polo siderurgico si sta svolgendo in assenza di una ben definita linea contrattuale, di un piano ambientale, sanitario oe di riconversione economica del territorio. Questa è la triste conclusione di un percorso criminale durato 12 decreti legge che prevede: l’immunità penale per i Commissari e i futuri affittuari e acquirenti, anche in caso di accertamento di danno; l’autorizzazione all’attività di discariche di rifiuti speciali senza le normali procedure AIA; un rischio sanitario accertato che rimarrebbe, anche in caso di realizzazione di tutte le prescrizioni previste per il 2023, per oltre 12.000 cittadini; la possibilità per l’affittuario/acquirente di ridurre investimenti per salvaguardare salute e ambiente in caso di mancato raggiungimento del profitto; l’esonero totale dei debiti antecedenti al trasferimento aziendale; la mancanza di tutele sui redditi e sui diritti dei lavoratori, i quali verranno in ogni caso decurtati di un numero non inferiore alle 4000 unità; nessuna quantificazione della spesa per la decontaminazione del territorio. Queste sono solo alcune delle numerose criticità della vertenza ILVA. A conti fatti, questa trattativa è stata condotta dai vari Governi che si sono susseguiti in maniera dilettantistica, fallimentare, infischiandosene dei diritti dei cittadini e dei lavoratori. Questa è una verità ormai sotto gli occhi di tutti: il contratto sottoscritto dal Governo pregiudica il presente e il futuro di Taranto e per essere approvato occorre solo la firma dei sindacati e il via libera dell’antitrust europeo. Non è ancora scaduto il tempo per invertire la rotta: occorre una pianificazione attraverso un accordo di programma che preveda la graduale chiusura delle fonti inquinanti, la bonifica con l’impiego delle maestranze in forza allo stabilimento e una riconversione economica del territorio. Siamo una forza politica aperta al confronto e per questo annunciamo che nei prossimi giorni inviteremo le forze sindacali ad un tavolo di discussione a Taranto».

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1 commento

  1. L’analisi di basa esclusivamente sulla produzione di acciaio grezzo, mentre non tiene conto della capacità ILVA di trasformazione del prodotto a partire dalla bramma che può aggiungere 3/4 milioni di coils laminati a caldo da vendere o trasformare in laminati a freddo rivestiti o no. Questo AM l’ha previsto.

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