Il trasferimento tecnologico tra ricerca e industria

di Marco de’ Francesco ♦ Dall’invenzione al suo sfruttamento come prodotto industriale? Ora è più facile, utilizzando una banca dati ad hoc per i brevetti, una relazione diretta tra Pmi e atenei, e altri strumenti. Lo si è detto al 4T di Jacobacci. La case history di Prime Industrie

Può un imprenditore consultare e utilizzare uno dei tanti brevetti sfornati dall’università e giacenti da anni o decenni negli scantinati degli atenei italiani? Da qualche tempo, sì. Con la piattaforma Knowledgeshare realizzata dall’Ufficio italiano brevetti e marchi del Ministero dello Sviluppo economico si è creata una vetrina dove le invenzioni sono illustrate in modo che l’imprenditore le capisca, e ne comprenda le possibili applicazioni e i vantaggi economici.







Può una Pmi valorizzare i propri asset intangibili e contare su collegamenti più diretti con gli atenei per cercare competenze che non possiede? Sì, perché il Mise ha messo in campo altre tre azioni: il bando per il potenziamento degli uffici di trasferimento tecnologico nelle università e negli enti pubblici di ricerca; un pacchetto innovazione, con incentivi per valorizzare i titoli di proprietà industriale della Pmi e un gruppo di lavoro per determinare nuovi criteri per la valutazione beni immateriali. Sono tutti piccoli passi volti a realizzare il Trasferimento Tecnologico, e cioè quel processo di conversione di invenzioni scientifiche in prodotti e processi industriali che dovrebbe rivestire in Italia una funzione strategica. E ciò a causa della singolarità del tessuto produttivo, costituito per lo più da piccole imprese che non dispongono di risorse sufficienti per lo sviluppo, al proprio interno, di competenze necessarie alla competizione globale; e da aziende familiari di medie dimensioni, che spesso nei passaggi generazionali perdono l’inclinazione all’innovazione e al rischio.

Benché in Italia il fenomeno sia stato a lungo caratterizzato dalla mancanza di attori dominanti, da una moltitudine di reti e da differenti modalità di attuazione (i distretti tecnologici, gli incubatori e altro) nonché dalla carenza di una politica forte per l’innovazione, qualche avanzamento c’è. Sul fronte delle imprese, si registrano casi come quello di Prima Industrie, che si occupa di sistemi laser e che ha modificato il cuore di tutte le proprie applicazioni grazie ad una partnership con il Politecnico di Torino. Sul fronte degli atenei, invece, al di là delle attività del Mise, le cose procedono con eccessiva lentezza. È emerso nel corso della quinta edizione di 4T – Tech Transfer Think Tank – giornata di approfondimento e relazioni dedicata al mondo technology transfer e ai protagonisti del settore, ovvero imprese, Università, centri di ricerca e mondo finanziario, organizzata da Jacobacci & Partners e dal locale Politecnico.

La piattaforma Knowledgeshare

Tra i brevetti più recenti, un sistema di schermatura e controllo della radiazione solare, un apparato riabilitativo per arto superiore, una ruota sensorizzata e un meccanismo che produce messaggi di allerta a veicoli via rete Lte-5G. Secondo Francesco Morgia, dirigente degli affari generali e comunicazione di Uibm – Mise (l’ufficio italiano brevetti e marchi del Ministero delo Sviluppo economico) «attualmente i brevetti consultabili sono 300, ma a marzo prossimo saranno un migliaio». Il fatto è che, per Morgia «il trasferimento tecnologico non è un mestiere facile». Secondo il dirigente, «una delle difficoltà più importanti è l’asimmetria di linguaggio tra chi detiene l’innovazione e chi la valorizza, tra quello scientifico e tecnico dell’accademia e quello pratico di chi fa business. Le banche dati esistenti evidenziano documenti brevettuali incomprensibili per gli imprenditori. Di qui la necessità di creare una vetrina per i brevetti, dove le invenzioni siano esposte in modo che siano leggibili dagli operatori di business».  Questa vetrina è la piattaforma Knowledgeshare, realizzata dal suo ufficio in collaborazione con il Politecnico di Torino e con Netval (un network che raccoglie 58 università italiane, sette enti pubblici di ricerca e altri). Sempre secondo Morgia, «le schede delle invenzioni sono presentate in modo intuitivo, con una pagina di caratteristiche tecniche; vengono invece evidenziate le possibili applicazioni e soprattutto i vantaggi economici che l’azienda può trarne». Il link è http://www.knowledge-share.eu.

 

Francesco Morgia, dirigente degli affari generali e comunicazione di Uibm – Mise

Un bando per l’innovazione

 Come ha raccontato lo stesso Morgia, il bando è stato originato da questa considerazione: «Il dialogo tra chi porta avanti l’innovazione (l’accademia) e chi la valorizza (l’impresa) si era quasi interrotto, e pertanto abbiamo provato ad investire sugli uffici per il trasferimento tecnologico, perché ci sembrava una delle strade percorribili per riallacciare il rapporto tra i due soggetti». L’idea era quella di aumentare la capacità di innovazione delle Pmi, facendo in modo che queste assorbissero conoscenze scientifiche e tecniche particolari. Gli uffici in questione, come è noto, sono nelle università e negli pubblici di ricerca. Si sono cofinanziati progetti (metà della spesa a carico del ministero e metà a carico dell’ateneo) per individuare il personale in grado di potenziarli. «Sono entrate nuove risorse, che abbiamo definito Ktm (“Knowledge transfer manager”) e Ip (“innovation promoter”) e ciò in base all’attività che devono svolgere».

Il sistema di finanziamento ha in sé un meccanismo premiale: «Individuati degli indicatori di risultato, finanziamo anche la seconda annualità se viene raggiunto l’80% del valore di questi parametri. Ci siamo persi qualche progetto, ma i più validi sono rimasti». Con il primo bando, del 2015, sono stati agevolati 61 progetti con la spesa di 2,5 milioni in due anni; sono stati coinvolti 37 tra università e Epr (enti pubblici di ricerca). Sono tate attivate 60 risorse professionali «tutte di altissimo profilo, quasi tutte con dottorato di ricerca. C’è stato un grande turn over, perché molte di loro sono state assorbite dal tessuto imprenditoriale». Così, «dati i risultati positivi del bando, abbiamo deciso di non disperdere questo patrimonio. Abbiamo fatto quest’anno un secondo bando, rifinanziato 49 progetti e finanziando per la prima volta 16 di nuovi, per tre milioni di euro. L’iniziativa sarà portata avanti sino al 30 giugno 2020».

Il “Pacchetto innovazione” e il gruppo di lavoro sui beni intangibili

Quanto al primo, si tratta di un insieme di misure per valorizzare i titoli di proprietà industriale delle Pmi. Per esempio «”Brevetti +” – ha affermato Morgia – azione con la quale supportiamo le Pmi nell’acquisizione di servizi relativi ai brevetti; o “Disegni +”, misura similare attinente ai disegni industriali. “Marchi +” serve invece alle Pmi quando intendano estendere la validità del proprio marchio a livello comunitario o internazionale. Infine, abbiamo cercato di valorizzare economicamente i marchi storici, quelli la cui domanda di deposito sia antecedente al primo gennaio 1967». Per queste misure «sono stati concessi a 6mila Pmi circa 90 milioni di euro, con l’agevolazione di circa 7.500 domande di brevetto. «Il successo di questi bandi è molto forte: apriamo gli sportelli e dopo cinque mesi finiscono le risorse». Quanto al gruppo di lavoro sui beni intangibili, «i presupposti erano l’importanza di una corretta valutazione dei beni immateriali, l’inadeguatezza dei metodi attuali. È una questione molto rilevante: quando le banche vedono un livello elevato di questi beni, riducono di due punti il rating dell’azienda. È inaccettabile. Pertanto abbiamo costituito un team del quale fanno parte numerose università ed esperti del settore. Si tratta di modificare la nota integrativa del bilancio in modo tale di avere una rappresentazione di asset immateriali più aderente alla realtà».

 

Paolo Calefati, innovation manager di Prima Industrie

Il trasferimento tecnologico dal punto di vista dell’impresa. Il caso di Prima Industrie.

Prima Industrie è a capo di un Gruppo leader nello sviluppo, produzione e commercializzazione di sistemi laser per applicazioni industriali, macchine per la lavorazione della lamiera, e dell’elettronica industriale. Il gruppo è quotato in Borsa dal 1999. Ha otto sedi produttive, anche in Finlandia, Usa e Cina, e opera in 80 Paesi. «Nel 2011 – ha affermato Paolo Calefati, innovation manager di Prima Industrie – per noi è successo un cambiamento epocale: il cuore delle nostre applicazioni. La sorgente laser Co2 è stata sostituita da quella a fibra, totalmente differente dalla prima. Come abbiamo fatto? Era necessario un turnover di competenze, che abbiamo trovato al Politecnico di Torino. Con loro abbiamo stretto una partnership dedicata alle sorgenti fibra, e oggi siamo sul mercato con le nostre sorgenti fibra proprietarie. La partnership del Politecnico è diventata uno spin-off, “The Diode Fab”; è, in buona sostanza, un laboratorio congiunto tra la nostra azienda e l’ateneo. Il diodo, per intenderci, è una componente di microelettronica piccolissima.»

«Comunque sia, oggi abbiamo una gamma completa di sorgenti laser. Siamo tornati competitivi, e lo abbiamo fatto dal 2011 al 2018, in sette anni. Un tempo, per far propria una tecnologia vincente sul mercato, ci volevano 20 anni». È un esempio che contempla da una parte il trasferimento di competenze e conoscenze da ateneo ad azienda, ma anche il concetto di open innovation, un approccio in base al quale le imprese si basano anche su idee, risorse e competenze tecnologiche che arrivano dall’esterno. Per Calefati «tra la ricerca e l’industria c’è un percorso di avvicinamento che è il trasferimento tecnologico, che passa attraverso partnership di ricerca, competence center e prodotti e servizi innovativi. Quanto all’innovazione, quella vera si fa quando il mercato la richiede. Deve essere profittevole».

 

Lorenzo Maternini, vice presidente e socio fondatore di Talent Garden

 

Secondo Lorenzo Maternini, vice presidente e socio fondatore di Talent Garden – la più grande piattaforma fisica in Europa di networking e formazione per l’innovazione digitale, che oggi conta 23 campus in otto Paesi (Albania, Austria, Danimarca, Italia, Irlanda, Lituania, Romania, Spagna) e migliaia di talenti, tra startup, freelance, aziende e grandi società – «in realtà bisognerebbe parlare di transfer for techology, ponendo l’accento sul trasferimento, che è il contributo alla generazione di qualcosa di nuovo ed è la componente fondamentale del sistema dell’innovazione». D’altra parte, secondo Enrica Acuto Jacobacci – consigliere delegato della Jacobacci & Partners di Torino, una delle più importanti società di consulenza in Italia e in Europa in materia di proprietà intellettuale, «oggi la mera aggregazione di fattori produttivi – capitale, persone e mezzi – non è più sufficiente ad alimentare la competitività dell’impresa. Il primo fattore importante sono le idee, che possono avere un impatto profondo e soprattutto veloce, non solo sotto il profilo economico e industriale, ma sulla società in generale». Una intervista a Enrica Jacobacci si può reperire qui.

 

Enrica Acuto Jacobacci

 

Il trasferimento dal punto di vista dell’università

Secondo Romano Borchiellini, docente di Fisica Tecnica Industriale al Politecnico di Torino, nonché presidente dell’Advisory Board dell’Energy Center nella stessa città, è utile interrogarsi sul significato e ruolo di: innovazione, trasferimento tecnologico e digitalizzazione e quali legami vi siano con gli obiettivi di sostenibilità. «L’università – ha affermato – è il luogo dove si cerca di contribuire a dare risposte a questi interrogativi avendo presente che innovazione non è un termine confinato al solo ambito tecnologico, ma ha una connotazione etico-sociale – l’individuo deve essere il fine dell’innovazione. L’università è consapevole che la ricerca, che è rivolta ad accrescere la conoscenza, non è sufficiente ad attivare i processi di trasformazione tecnologica, economica e sociale prima ricordati se non si accompagna a innovazione e a trasferimento tecnologico attraverso un approccio multidisciplinare e multi-attoriale». Comunque sia, bisogna accelerare il processo di trasferimento tecnologico. Il quadro non è esaltante. «Nel 2016 – ha affermato Giuseppe Scellato, docente di ingegneria gestionale al Politecnico di Torino – tutte le università italiane hanno depositato circa 350 brevetti e hanno dato vita all’incirca a 100 spin-off di ricerca; va detto che quasi la metà dei brevetti sono stati realizzati da soli cinque atenei».














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