Il pasticciaccio brutto del credito d’imposta che dovrebbe sostituire iperammortamento e superammortamento

di Marco de' Francesco ♦︎ A meno che non venga abortito prima di nascere (e non sarebbe la prima volta) il nuovo meccanismo sostituirà quello del ticket superammortamento/iperammortamento, che - grazie al suo semplice e immediato automatismo - aveva prodotto benefici per le imprese, per l’economia e addirittura per le casse dello Stato. E innescato la rivoluzione del 4.0 in Italia, contribuendo a due anni di investimenti a pieno ritmo. Ora per il credito di imposta occorreranno progetti, vagli e verifiche: attività troppo complicate per le piccole aziende. Parlano Marco Gay, Cesare Avenia e Marco Bentivogli

Stefano Patuanelli. Photo credits mise.gov.it

Con le parole del ministro per lo Sviluppo Economico Stefano Patuanelli, si è materializzato lo spettro del credito di imposta. Sostituirà un meccanismo ben oliato, quello del ticket superammortamentoiperammortamento, che avanti di essere rimodulato al ribasso dal primo governo Conte aveva prodotto benefici per le imprese, per l’economia e addirittura per le casse dello Stato – che si erano ritrovate più soldi di quelli impegnati con le agevolazioni per gli acquisti in tecnologie abilitanti alla trasformazione digitale. Il segreto del successo del piano Industria 4.0 va ricercato nell’automatica semplicità del meccanismo: bastavano una fattura e l’asseverazione di un tecnico. Ora, dicono gli esperti, per il credito di imposta occorreranno progetti, vagli e verifiche: attività troppo complicate per le piccole aziende – che costituiscono giusto il parco di riferimento della seconda fase della digital transformation. La prima fase aveva riguardato per lo più imprese ben strutturate. Forse l’esperienza 4.0 del Paese, e cioè quella che avrebbe dovuto riguardare il tessuto produttivo nella sua quasi interezza, finisce qui. Ma perché rivisitare una politica vincente?

Lo abbiamo chiesto, qualche ora prima delle parole di Patuanelli (che però erano nell’aria) al presidente di Anitec-Assinform Marco Gay, e a quello di Confindustria Digitale Cesare Avenia; dopo i fatti, il segretario generale di Fim Cisl Marco Bentivogli l’ha messa così: «L’innovazione logora chi non la fa. Con azioni come questa, si coltiva l’ultima nicchia di resistenza al cambiamento». I tre erano protagonisti di tavoli diversi, tenuti tutti a Milano; sono giornate impegnative per gli esperti di settore; di una certa irrazionalità  per l’esecutivo e gravide di sciagura per l’industria nazionale.







 

Il fantasma del credito di imposta

Ieri a Milano un fantasma si aggirava dalle parti di via Monte Rosa, in un’aula adiacente la sede de Il Sole 24 Ore, lì dove si è tenuto il convegno di Anitec – Assinform “Digitale per crescere – Innovazione, crescita, trasformazione”. Il mercato digitale, è risultato nel corso del meeting, è in costante avanzamento: 70 miliardi nel 2018; 72 nel 2019, oltre 74 e oltre 76,5 previsti per il 2020 e per il 2021. Tra il 2018 e il 2021 il rialzo medio composto è del 2,8%, ben superiore a quello del Pil italiano, che viaggia su grandezze da prefisso telefonico. Più di un relatore, sentito a latere, ha rimarcato lo scollamento tra le dinamiche del digitale e quelle del prodotto interno lordo, fenomeno avvenuto a seguito del passaggio tra il governo Gentiloni e quelli successivi, sia il giallo-verde che il giallo-rosso. Il digitale cresce, ma lo fa per i fatti suoi, nel senso che è sempre di meno il volano dell’economia generale. C’è di mezzo la rimodulazione al ribasso del piano Calenda. Che aveva avuto effetti sorprendenti, soprattutto per le casse dello Stato.

La crescita del mercato digitale italiano, comparto per comparto. Fonte Anitec-Assinform

Secondo Avenia «nel 2017 le aziende erano state incentivate dallo Stato all’acquisto di tecnologie abilitanti, tramite il superammortamento, l’iperammortamento e altri strumenti di fiscalità agevolata. Lo Stato, tecnicamente, ha avuto minori entrate per un miliardo. Ma il meccanismo innescato dal piano 4.0 ha determinato investimenti privati per 10 miliardi; dunque, solo con l’Iva il fisco ne ha incassati più di due, di miliardi». E ciò non considerando tutte le altre imposte sulla produzione, e la circostanza che molte aziende, per adottare nuove tecnologie, hanno assunto personale qualificato. Com’è noto, il piano Calenda aveva avuto un peso determinante sugli acquisti di macchine utensili interconnettibili, che costituiscono peraltro un elemento di forza dell’industria e delle esportazioni nazionali. Si era assistito ad un incredibile impennata delle vendite, che in certi mesi avevano di gran lunga superato, in percentuale, quelle della concorrenza tedesca. Insomma, il piano sembrava un’esperienza vincente, con benefici sia per lo Stato che per le aziende.

La crescita dei settori d’utenza del mercato digitale. Fonte Anitec-Assinform

«D’altra parte – ha convenuto Gay – si trattava dell’unico piano di politica industriale del Paese negli ultimi trent’anni. C’era tutto, dentro: innovazione, tecnologia e industria. Gli imprenditori avevano colto la palla al balzo perché avevano capito quali vantaggi potesse apportare ad aziende con visione di mercato». E poi? Con la caduta del governo Gentiloni, iniziano i guai. «Quello che andava bene fino al giorno prima – ha continuato Gay – non andava più bene per definizione. Un errore madornale». E ciò che non andava bene è che il piano fosse stato redatto da un ministro di un colore politico diverso da quello del governo in carica.

Marco Gay_Vicepresidente Esecutivo Digital Magics_web
Marco Gay, presidente Anitec-Assinform

«Iniziò un periodo di incertezza – ha affermato Avenia – in cui il governo ha dato il segnale politico della discontinuità. Piani come Industria 4.0 possono funzionare soltanto se sono strutturali, organici: dal momento che un’azienda deve investire, e non poco, deve sapere se ci perde o ci guadagna. Con gli strappi dell’esecutivo il meccanismo si è inceppato». L’incertezza bastò a determinare una frenata degli ordinativi delle macchine utensili; poi il piano, com’è noto, finì mutilato, con uno stanziamento di risorse pari ad un quarto del programma originale. Ma il fantasma che ieri si aggirava in via Monte Rosa ha un altro nome: credito di imposta.

 

Perché il credito di imposta è con tutta probabilità una iattura

In effetti era nell’aria. L’intenzione del governo di introdurre un credito di imposta in luogo del super e dell’iperammortamento era oggetto di voci, di illazioni, in genere respinte dagli intervistati con uno scaramantico “speriamo di no”. Invece, a convegno finito, il fantasma si è materializzato, quando il ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli ne ha parlato al Tavolo Transizione 4.0.  A quanto si capisce, l’iperammortamento si trasformerebbe in un bonus del 40% per investimenti fino a 2,5 milioni e con un vantaggio fiscale dell’8% per 5 anni; aliquote di credito di imposta destinate a decrescere al 20% e al 5% per investimenti tra i 2,5 e i 10 milioni. Quanto al superammortamento, sarebbe sostituito da un credito di imposta (per investimenti fino a 2 milioni di euro) pari al 6% e con un beneficio dell’1,2% per un quinquennio. La domanda è: perché un piano del genere dovrebbe essere considerato una iattura dagli esperti di industria? Per Avenia «il piano Industria 4.0 aveva avuto successo a causa delle semplici modalità di fruizione degli incentivi. Alla fine bastavano una fattura e l’asseverazione di un tecnico delegato. Due fogli di carta, e si godeva di benefici ex-ante». Invece, un credito di imposta è in genere molto più complicato, e pertanto rischia di rendere la norma inefficace. «Occorrerà fare un progetto, vagliarlo, farlo verificare:  dei vantaggi si godrà soltanto ex-post. A meno che non si realizzi un credito di imposta 2.0: con una piattaforma digitale sulla quale regolare tutti gli aspetti burocratici e amministrativi».

Il presidente di Confindustria Digitale Cesare Avenia

 

La Legge di Murphy dell’esecutivo: se un meccanismo funziona va annientato

La domanda che sorge spontanea è questa: perché bloccare o modificare un impianto che ha portato benessere alle imprese, all’economia e allo Stato? È difficile dare una risposta utilizzando comuni strumenti del pensiero logico-razionale. Almeno così la pensa Bentivogli, intervenuto oggi ad un altro tavolo, “Robot e automazione: le sfide per l’integrazione”, organizzato sempre nella sede de Il Sole 24 Ore da Messe Frankfurt Italia. E, soprattutto, tenuto a cose fatte, quando Patuanelli si era già espresso. Bentivogli ha cercato una spiegazione agli eventi che tenesse conto dei condizionamenti sociali su una politica debole. «L’innovazione – ha affermato parafrasando Andreotti – logora chi non la fa. Far saltare l’iper e il super ammortamento significa non comprendere ciò di cui ha bisogno il Paese. Il 52% delle esportazioni italiane è legato alla meccanica; eppure, quando la politica parla di export, si riferisce al caciocavallo».

Per Bentivogli, «si sta giocando una partita importante sull’industria: i Paesi con più densità di robot sono quelli con la minore disoccupazione”. Ciò, però, è solo la verità razionale, quella dei fatti, delle cause e degli effetti. Una verità che non attecchisce sulla classe politica. “Che ha bisogno di un nemico, e se questo non è un migrante, è un robot». In questo contesto, anche il senso comune è un elemento perturbatore. «Il senso comune – ha continuato Bentivogli stamane – è ormai costituito da elementi terrorizzanti e identitari: nessun paese mortificherebbe i settori che lo trainano. È lo stesso meccanismo alla base di un’altra polemica di questi giorni, quella innescata dal ministro per il Sud Giuseppe Provenzano, quella su Milano che non restituisce nulla all’Italia: non si ragiona sul fatto che il Sud ha bisogno di una altra classe dirigente». Insomma, se il Sud non riesce ad avanzare, è bene che arretri Milano. La logica è quella del tanto peggio, tanto meglio. Il nesso con il sistema di agevolazioni per le imprese che intendono intraprendere la strada del 4.0, è che questo non sarà mai un argomento popolare tra le masse che appoggiano questa o quella forza politica; queste sembrano guardare al proprio destino, e «coltivare con forza l’ultima nicchia di resistenza al cambiamento».

Marco Bentivogli, segretario generale di Fim Cisl













Articolo precedenteGfK. Vendite di tecnologia di consumo a 9,9 miliardi
Articolo successivoLenovo apre a Milano il primo Flagship Store europeo






LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui