Il mondo ex machina: 5 brevi lezioni di filosofia dell’automazione

||Cosimo Accoto||

Intelligenza artificiale e deep learning, droni, robot, blockchain e smart contract: una realtà sempre più generata dalle macchine si affaccia intorno noi

Un’esplorazione filosofica sulle nuove frontiere tecnologiche, potenzialmente ricche di opportunità per la costruzione di un mondo più trasparente, equo e sicuro, ma non prive di vulnerabilità. Viviamo in un universo che si sta evolvendo e che merita di essere analizzato in sé, senza preconcetti, con apertura, consapevolezza e profondità. L’automatizzazione sta ridisegnando non solo le nostre idee, ma anche le attività professionali e le relazioni umane, le pratiche cognitive e disciplinari, l’etica e la politica. L’automazione non è solamente una spinta ingegneristica a costruire macchine e automi, ma è una prospettiva più generale di produzione del nostro reale e del suo senso.







È questo che vuole indagare nel suo nuovo libro Il mondo ex machina Cosimo Accoto, attualmente research affiliate al Mit di Boston: la sua ricerca speculativa si focalizza su filosofia del codice, scienza dei dati, intelligenza artificiale, logica delle piattaforme e tecnologia della blockchain. Nel volume, Accoto analizza il bisogno collettivo di tornare a pensare filosoficamente gli orizzonti socio-tecnologici emergenti, perché il mondo si è avviato verso una trasformazione profonda e irreversibile delle proprie fondamenta ontologiche ed ontogenetiche. Un cambiamento che è molto agito ma, contemporaneamente, anche poco pensato, un passaggio che rimane a oggi sostanzialmente sottaciuto e confinato nelle ricerche degli specialisti e degli esperti.

Cosimo Accoto, autore de Il mondo ex machina

L’automazione non è, e non deve essere, per i soli addetti ai lavori

All’orizzonte si profila sempre più un mondo ex machina: un universo generato, movimentato e manutenuto risolutivamente dalle macchine. Basta dare un’occhiata alle manifatture, ai magazzini di stoccaggio, alle filiere logistiche, ai centri di elaborazione dati per apprezzare questi nuovi tecno-paesaggi così rilevanti per l’uomo (e per la sua futura economia e società) e, al tempo stesso, così privi di umani.

Cosimo Accoto sostiene sin dall’inizio che “il futuro sarà automatico o non sarà”, passando ad analizzare da vicino il crescente fenomeno dell’automazione che, dai laboratori, irrompe industrialmente e si riversa nella società e nell’economia. I dati parlano chiaro: nel 2017 la vendita mondiale di robot industriali è salita del 30 per cento (quasi 382mila unità). Secondo il World Economic Forum, nel 2025 il tempo di lavoro delle macchine supererà il tempo di lavoro dell’uomo.

La lista è sicuramente lunga: automazione di marketing e advertising, moneta, legge e contratti automatici su registri distribuiti, organizzazioni decentralizzate e automatizzate, finanza e trading algoritmici, medicina e cura automatizzabili, automazione robotica dei processi, intelligenza e apprendimento automatico, auto a guida autonoma, decision-making automatico…. Ma come possiamo leggere ed interpretare questa dimensione dell’automazione che sta pervasivamente conquistando il nostro mondo?

La fotografia di questo futuro ormai prossimo spaventa una grande fetta della popolazione: una realtà sempre più generata, alimentata, protetta – attaccata? – dalle macchine si affaccia introno a tutti noi. È proprio a questa inquietudine che il saggio intende dare una risposta: un’esplorazione filosofica della dimensione automatica in quanto tale, “una critica (nel senso di analisi) di questa ragion automatica”. Ed è quindi proprio la filosofia la chiave usata dallo scrittore per interpretare questo nuovo fenomeno.

I pilastri su cui si fonda Il mondo ex machina

Sono cinque i punti cardine analizzati da Cosimo Accoto all’interno del suo testo: conoscere, lavorare, organizzare, distruggere e governare. Essi toccano gli aspetti embrionali dell’automazione che possiamo già vedere nel nostro quotidiano. Studiando in profondità le dimensioni di questa automazione, l’autore ci porta a scoprire la realtà macchinica in dotazione infrastrutturale, quella cognitiva in senso computazionale e quella protocologica in una prospettiva istituzionale fino a farci comprendere perché non dobbiamo avere una reazione inquieta e timorosa rispetto a questa nuova tecnologia.

Dobbiamo domandarci non a quale versione dell’umano pre-tecnologico dobbiamo ritornare, ma a che umano-altro dobbiamo ambire, un umano che sappia comprendere e utilizzare le nuove tecnologie, automazione compresa. Davanti a queste sfide cognitive profonde, abbiamo bisogno di meno pensiero stereotipato e di più pensiero emancipato. «Perché – come scrive Alex Pentland, direttore dello Human Dinamics Lab del Mit, nella postfazione – seguendo solo le due tentazioni salvifiche opposte, il nostro pensiero rischia di rimanere schiacciato su e tra antropo-centrismo e macchino-centrismo». Con la mente aperta e senza preconcetti, l’invito è a riflettere su un mondo che si muove da sé.

Pubblichiamo un estratto del libro di Cosimo Accoto Il mondo ex machina, edito dalla Casa Editrice Egea

Di tanto in tanto nei boschi intorno a Boston accade di intravedere stupefacenti creature artificiali, per molti versi al contempo affascinanti e terrificanti. Passeggiano e corrono lungo campi erbosi, saltano agilmente tronchi d’albero e sassi, si inerpicano per alture collinari impervie. Sono il parto della mente e della mano di un novello Efesto, un emulo del dio greco maestro nell’arte di animare i bronzi, come recita un famoso verso dell’Iliade.

Al pari del suo divino precursore, nei suoi laboratori e insieme ai suoi collaboratori, Mark Raibert – questo è il nome del fondatore e presidente di Boston Dynamics – forgia e assembla macchine autonome in forma d’uomo o d’animale. Si tratta di robot reali, i più avanzati al mondo, a detta degli esperti. Sono idealmente simili agli automi più popolari del nostro immaginario: quelli dei poemi di Omero, dei disegni di Leonardo, dei romanzi di Asimov o del cinema di Ridley Scott col suo Blad Runner. Quelli di Mark si chiamano Atlas, Handle, Spot, Wildcat, RHex, BigDog. Le loro strabilianti performance lavorative, ludiche e sportive sono videoriprese e riproposte in internet a suscitare la meraviglia e lo stupore di molti (e lo sconcerto e il terrore di altrettanti).

Nata nel 1992 come spin-off del Mit, la società creata da Raibert, e rilevata da Google X a fine 2013, è stata acquisita nel 2017 dal gruppo giapponese SoftBank guidato dal visionario fondatore (oltre che potentissimo investitore in tecnologie d’avanguardia) Masayoshi Son. Non sappiamo, a oggi, di preciso dove porterà questo incontro. Di sicuro c’è che Masa e Mark stanno lavorando convintamente e in acce- lerazione perché l’automazione robotica abbandoni quanto prima laboratori e prototipi e irrompa industrialmente e massivamente nella società e nell’economia.

Ho incontrato e conosciuto personalmente Mark nell’estate 2018, quando, indossando una delle sue immancabili camicie floreali in occasione di una lectio al Massachusetts Institute of Technology, ha tenuto a precisare una prospettiva vitale per il presente e il futuro della sua azienda. «È arrivata l’ora», ha dichiarato, «di spingere per il trasferimento dei nostri robot dai laboratori ai mercati». Uno scenario che cambia di fatto anche la nostra idea di che cosa un robot può fare – come recita il credo di Boston Dynamics. Sempre più automazione, quindi. E a leggere i dati di fine 2018 della Federazione Internazionale di Robotica relativi all’anno precedente non ci sono dubbi.

[boxinizio]Nel 2017 la vendita mondiale di robot industriali è salita del 30 per cento (quasi 382mila unità), raggiungendo un nuovo picco nella crescita continua degli ultimi cinque anni. Una curva positiva che è in rapida accelerazione dal 2010, trascinata dagli acquisti di macchine industriali nell’area asiatica. Nuovo record anche per l’Italia dove le installazioni della robotica industriale hanno raggiunto le 7700 unità nel 2017, in crescita del 19 per cento rispetto all’anno precedente: un tasso superiore a quello giapponese (18 per cento), più del doppio rispetto a quello tedesco (7 per cento) e triplo di quello statunitense. Per non parlare della mirabolante crescita della robotica cinese, in salita del 59 per cento e legata soprattutto all’automatizzazione dell’industria manifatturiera. Il tutto senza contare i robot non industriali (dalla domotica intelligente alla mobilità autonoma) che diversi player stanno immaginando di immettere nei mercati, dentro le nostre case e lungo le nostre autostrade.[boxfine]

A settembre 2018, McKinsey & Company titolava un suo executive report The Automation Imperative riconoscendo proprio nell’automazione di processi e servizi un fenomeno dalla portata trasformativa globale e profonda. I dati della ricerca sono eloquenti: a livello mondiale, il 57 per cento delle imprese ha avviato processi di automatizzazione (il 16 per cento in scala sull’intero business, il 13 per cento parzialmente e il 28 per cento per progetti pilota); un altro 18 per cento ha in programma di automatizzare processi produttivi e modelli  di business a partire dal 2019. Non stupisce, allora, che la trasformazione della gestione dei processi di business attraverso la cosiddetta robot process automation (Rpa) sia nelle agende di molti amministratori delegati, imprenditori e manager.

Un mercato quest’ultimo che, secondo l’istituto di ricerca Gartner, nel 2018 è cresciuto del 57 per cento e che arriverà nel 2022 a 2,4 miliardi di dollari dagli attuali 680 milioni. Alla luce di queste cifre, è ipotizzabile che stiamo per raggiungere un nuovo tipping point, un punto di non ritorno nella storia dell’economia automatizzata e conseguentemente nella sofisticazione della scienza dell’automazione. Un ultimo dato: invertendo l’attuale composizione del tempo di lavoro (29 per cento alle macchine, 71 per cento ai lavoratori), nel 2025 per la prima volta nella storia umana, secondo il World Economic Forum, la quota di tempo lavorato dalle macchine (52 per cento) supererà quella lavorata dall’uomo (48 per cento). Infine, il New York Times con un articolo di fine gennaio 20197, dal titolo sorprendentemente cospirativo («L’agenda nascosta delle élite di Davos per l’automazione»), ha tinto di giallo il tutto rilanciando, dall’annuale meeting svizzero, la sensazione che in pubblico i leader del mondo si mostrino preoccupati dei pericoli e dei rischi del fenomeno, e nelle conversazioni e negli incontri privati si dicano invece pronti ad automatizzare in maniera intensiva i rispettivi business per non venire estromessi dalla competizione mondiale.

Con il trapelare di questa prospettiva e il sorpasso del tempo del lavoro macchinico atteso nel prossimo quinquennio si profila dunque sempre più all’orizzonte un mondo ex machina, vale a dire un mondo generato, movimentato e manutenuto risolutivamente dalle macchine. Forse è anche sufficiente, al di là dei numeri, dare un’occhiata alle manifatture, ai magazzini di stoccaggio, alle filiere logistiche, ai centri di elaborazione dati per apprezzare questi nuovi tecno-paesaggi così rilevanti per l’umano (e per la sua futura economia e società) e, al tempo stesso, così privi di umani. Luoghi in cui all’umanità sono impediti la presenza e l’accesso perché ritenuti ridondanti quando non invalidanti.

[boxinizio]Come racconta Young nel suo Machine Landscapes, le architetture attualmente più significative al mondo sono prive di persone: dai porti automatizzati ai campi agricoli robotizzati, dalle reti autonome di comunicazione alle stazioni orbitali extraterrestri si tratta di ambienti sempre più affollati di automi, ma insieme deserti di umani.[boxfine]

Contesti, quindi, intenzionalmente disegnati per un’eccellente machine experience e negati a qualsivoglia human experience. Spazi che implicano e impongono, in molti casi, proprio l’assenza dell’umano come condizione necessaria per poter funzionare efficacemente. Con una provocazione, allora: tecnologie astensive e non più estensive dell’umano. Hic sunt drones, potremmo dire aggiornando le nostre paure su queste terre incognite, inesplorate perché inesplorabili.

Impressionante, d’accordo, ma è tutto qui? Non credo. Ispirandosi a un detto antico, il titolo del libro che state leggendo non vuole essere solo un richiamo a una realtà in divenire sempre più popolata da automi: umanoidi, animaloidi o plantoidi che dir si voglia. E non intende neppure essere l’incipit di un testo sulla nuova civiltà (o inciviltà a detta di altri) delle macchine. Piuttosto – e più radicalmente –  Il mondo ex machina si propone di avviare un’esplorazione filosofica della dimensione automatica in quanto tale. Se nel precedente saggio Il mondo dato ho raccontato della «programmabilità» del mondo, in questo nuovo volume affronterò la questione cruciale della sua «automabilità».

Dopo aver svelato filosoficamente come la programmazione del codice software stia costruendo una nuova società, nuove economie e nuove organizzazioni, vedremo allora come l’automatizzazione stia istituzionalmente (non solo tecnologicamente) ridisegnando idee e prospettive concettuali, attività professionali e relazioni umane, pratiche cognitive e disciplinari, dinamiche di design e di politica nel mondo. Ma anche nuove tecniche e pratiche per una sua distruzione automata su scala planetaria. Filosoficamente, un orizzonte che non è solo tecnologico o infrastrutturale, ma – azzarderemo – più ontologicamente fondativo.

Automazione, dunque, non solo come spinta ingegneristica a costruire macchine e automi, ma come una più complessiva prospettiva di senso e di produzione del nostro reale in divenire. A me pare, infatti, che stia emergendo – in maniera ancora poco avvertita dai più e molto agita da alcuni – una nuova vocazione del mondo all’automaticità, un’inclinazione della nostra società nel suo complesso verso nuovi automatismi. È questo l’orizzonte di un mondo automato che urge e che merita di essere analizzato in sé, senza preconcetti neoluddisti, ma con apertura, consapevolezza e profondità. Una critica (nel senso di analisi) di questa ragion automatica che non è, come dicevo, solo ed esclusivamente algoritmica o robotica, dimensioni per le quali è immediato ed evidente il richiamo all’automaticità. Più astrattamente, mi sembra di intravedere nell’automazione ora in fieri una nuova ontogenesi, cioè un nuovo modo di essere, di generarsi e riprodursi (e distruggersi) del mondo.

Azzarderei di più: questa ontogenesi è, in ultima istanza, una ectogenesi. Un mondo che cresce dentro e grazie a una macchina-matrice. Un mondo, cioè, che si avvia sempre più a essere allevato – metaforicamente, ma anche materialmente – in seno a una tecnoecologia riproduttiva automata, come accade per le vite biologiche fatte crescere all’esterno del loro ambiente naturale, dentro placente e incubatrici artificiali. La macchina-madre del mondo, dunque. Chiediamoci, allora, come fa Irina Aristarkhova, filosofa delle maternità ectogenetiche: «Può la macchina generare?», può dare senso e dare futuro al mondo? Questa matrice automatica, questa nuova forza creatrice del mondo la vediamo già embrionalmente operare in molte dimensioni e industrie: nella produzione della conoscenza (machine e deep learning), nella creazione della fiducia (blockchain technology), nell’esecuzione della legge  (smart  contract),  nell’attivazione degli scambi (automated markets), nella gestione della guerra (auton- omous weapons), nel trading ad alta frequenza (high-frequency trading), nella manutenzione dei dati (autonomous datacenter), nell’editoria e nel giornalismo (automated journalism), nella consulenza patrimoniale (robo-advisor), nell’operatività chirurgica  (robotic  surgery),  nell’agricoltura di precisione (farmbot), nella dislocazione logistica (logistics automation), nella governance delle organizzazioni decentralizzate (decentralized autonomous organization) e così via. La lista non è esaustiva ed è destinata certamente ad allungarsi.

Il futuro, pertanto, sarà automatico o non sarà. Tutto il mondo sembra orientato a «muoversi da sé» (questa l’etimologia semplice di automatico) in forme e dinamiche auto-generative e neo-automatizzanti (potenzialmente anche positive, ma non prive di criticità) che sono – così mi pare – diverse dalle altre che la civiltà umana ha conosciuto nel corso della sua storia antica, moderna e contemporanea.

[boxinizio]È in atto, credo, un cambio di paradigma epocale che culture, istituzioni e imprese faticano a comprendere e che – di più, direi – sono impreparate a cogliere. A fronte di questa crescente emergenza globale (nel senso di novità e di vulnerabilità non solo tecnologica, ma appunto culturale), i discorsi correnti scalfiscono a mala pena la superficie, impossibilitati come sono a riconoscere la natura profonda  di questa nuova condizione. Non tanto e non solo nella sua portata quantitativa, ma soprattutto nel suo impatto trasformativo e qualitativo profondo. Non tanto e non solo nella sua dimensione tecnologica progressiva e pervasiva, ma per l’appunto in quella ontologica costitutiva e fondativa. Automazione, quindi, non come meccanismo neo-macchinico, ma come dinamismo neo-ecologico.[boxfine]

Incapaci di cogliere questo cambio paradigmatico (per inconsapevolezza, per stanchezza o per vecchiezza), continuiamo a guardare al fenomeno dell’automazione attraverso categorie concettuali e modelli speculativi obsoleti. Sono «più che macchine» come ha titolato, giustamente, la rivista Nature nel lanciare il suo speciale Nature Machine Intelligence a gennaio 2019. Automazione da leggere con lenti speculative e filosofiche nuove. Ma che cos’è questa nuova dimensione dell’automazione, questa spinta automatizzante che sta pervasivamente conquistando il nostro mondo? Credo sia arrivato il momento di affrontare filosoficamente la questione. È tempo di iniziare un percorso speculativo che sia in grado di raccontare e reimmaginare, con una certa radicalità di pensiero, l’automazione. Chiediamoci, allora, com’è (e perché) un mondo che «da sé si muove».

In questa esplorazione, ci avventureremo nei territori speculativi – affascinanti tanto quanto arrischiati – delle filosofie e delle tecnologie contemporanee dell’automazione. Guarderemo all’automabilità del mondo secondo cinque dimensioni fondative del nostro futuro automato: conoscere, lavorare, organizzare, distruggere e governare. Ognuna di queste è impattata e ridisegnata prepotentemente dall’introduzione e dall’adozione di modelli e pratiche neo-automatizzanti. E, quindi: come conosceremo il mondo in ragione della rivoluzione tecnologica dell’apprendimento automatico del machine e del deep learning? Quali pratiche e dinamiche produttive, fisiche e cognitive, avrà la forza-lavoro nell’economia (al contempo automata ed eteromata) delle piattaforme? Con quali meccanismi di consenso e protocolli di decentralizzazione costruiremo e organizzeremo i futuri mercati e le imprese autonome basate sulla blockchain? Di quali armi materiali e culturali (dai cyber virus alle fake news) potremo disporre per distruggere in maniera automatica questo nostro mondo? E, infine, attraverso quali strategie innovative di design e di governo politico immagineremo di guidare – in maniera etica – una futura società in forme nuove automatizzata?

Per ciascuna prospettiva si dovranno di necessità selezionare, seguendo il nostro filo rosso, solo alcuni possibili stimoli d’analisi essendo i campi d’indagine vasti e ramificati. Procederemo pertanto con una modalità incursiva più che esaustiva, essendo interessati ad aprire nuovi itinerari di senso e di dialogo più che a inventariare e catalogare l’esistente.

Come anticipa il sottotitolo, l’esplorazione lungo la frontiera tecnologica sarà illuminata da una lente filosofica per riuscire a dare profondità concettuale e speculativa a materie e domini di norma interpretati solo tecnicamente. Con questa prospettiva di metodo, Il mondo ex machina riprende e rinforza l’approccio – introdotto e promosso con successo da Il mondo dato – che abbiamo denominato philtech. L’intendimento è quello di rendere pubblico e urgente il bisogno collettivo di tornare a pensare filosoficamente gli orizzonti socio-tecnologici emergenti. Il mondo si è avviato infatti a una trasformazione profonda e irreversibile delle proprie fondamenta ontologiche ed ontogenetiche. Una trasformazione che, come dicevamo, si comincia a percepire come molto «agita» ma, insieme e con preoccupazione, anche poco «pensata». Eppure, siamo a un momento di passaggio epocale nella storia della specie umana. Un passaggio che rimane a oggi sostanzialmente sottaciuto e confinato di norma nelle pratiche e nelle ricerche degli specialisti e degli esperti.

[boxinizio]A fronte di questa spinta tecnologica, appare sempre più indifferibile l’attivazione di un pensiero filosofico all’altezza delle sfide scientifiche e tecnologiche in essere. Un pensiero speculativo e prospettico, aperto ma attento, capace di studiare e accompagnare con la necessaria densità teorica la domanda di senso (sull’essere del mondo), di critica (sulla finalità del tecnologico), di guida (sull’etica e il governo del futuro) dell’umanità. Ma non solo.[boxfine]

Nella mia idea, l’approccio philtech deve anche poter osare la creazione di forme nuove dell’essere e del fare filosofia. Pertanto non è solo sic et simpliciter l’applicazione dell’analisi filosofica alle nuove tecnologie. Piuttosto e anche più radicalmente è la volontà e la necessità di immaginare e attivare innovative logiche e pratiche del filosofare incarnate proprio dalle nuove tecnologie. Credo che altre forme e tecniche del filosofare siano possibili e anzi, forse, ineludibili. Per dirla in sintesi: dal fare filosofia della tecnologia al fare filosofia con la tecnologia. Possiamo cominciare a guardare alla crittografia della blockchain come a una sorprendente pratica filosofica di «costruzione» e validazione di nuovi regimi di verità del mondo? O, ancora e viceversa, possiamo vedere nella guerra informatica un’inaspettata teoria e prassi filosofica di «decostruzione» del nostro mondo? E possiamo considerare primitive crittografie e intrusioni via malware, forme e pratiche nuove del filosofare del XXI secolo?

Il libro, tuttavia, non intende essere un saggio disciplinare di filosofia, ma un’esplorazione filosoficamente orientata della materia tecnologica contemporanea. Una narrazione, come tale, non diretta primariamente ai filosofi e ai cultori della materia, quanto piuttosto interessata e indirizzata a sollecitare (e ragionare con) la società, l’economia e la politica più ampiamente intese. Nelle pagine che seguono dialogherò in maniera piana con testi filosofici e autori internazionali rilevanti sebbene destinati a rimanere per lo più sconosciuti al vasto pubblico (e non tradotti in italiano) per intrinseca complessità o verticalità estrema del loro sapere. A queste letture sorprendenti, si aggiungeranno poi le osservazioni tecniche nate nella mia esperienza  sul campo tra laboratori e prototipi. Il tutto commentato e annotato  a margine con pensieri e riflessioni di sintesi. Naturalmente, rimangono per intero sotto la mia responsabilità l’idea e la scrittura di questo saggio. Un pensiero e una scrittura che si assumono consapevolmente, altresì, il rischio di avventurarsi in territori e verso orizzonti poco conosciuti ma certamente interessanti. Scenari gravidi di opportunità per la costruzione di un mondo neo-automato sostenibile ed equo, ma anche di reali vulnerabilità e rischi nell’amplificare o creare nuove diseguaglianze e sofferenze. Terre inesplorate, quindi, le cui estensioni sono tutte da mappare a vista, e nelle quali ogni percorso è da costruire a fatica con l’andare stesso, i campi base in cui sostare inevitabilmente temporanei e insicuri, le mete non indicate a priori e sempre precarie e fragili. Ma proprio questo ritengo sia il senso e il modo dell’avventurarsi.

 














Articolo precedenteWrm Group acquista Npl energy da Mediocredito per 180 milioni di euro 
Articolo successivoYolo e Sas: partnership per innovare il mercato assicurativo






LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui