Il brillante futuro dei motori diesel secondo General Motors

di Marco de' Francesco ♦︎ Anche se nell'Europa occidentale c'è una sorta di guerra ideologica al diesel, questa motorizzazione ha ancora importanti prospettive di sviluppo: nei Paesi emergenti (dove le vendite di auto cresceranno) per i camion, per gli aerei, in America. L’elettrico infatti si affermerà solo in contesti urbani e in Paesi sufficientemente avanzati da realizzare importanti infrastrutture. Ne abbiamo parlato con Pierpaolo Antonioli, la massima autorità del settore nel mondo Gm

Una sala prova semi anecoica del laboratorio Gm di Torino

di Marco de’ Francesco ♦︎ Anche se nell’Europa occidentale c’è una sorta di guerra ideologica al diesel, questa motorizzazione ha ancora importanti prospettive di sviluppo: nei Paesi emergenti (dove le vendite di auto cresceranno) per i camion, per gli aerei, in America. L’elettrico infatti si affermerà solo in contesti urbani e in Paesi sufficientemente avanzati da realizzare importanti infrastrutture. Ne abbiamo parlato con Pierpaolo Antonioli, la massima autorità del settore nel mondo Gm

«Il governo promuova con urgenza politiche di aggregazione per i componentisti del diesel». L’appello lo lancia Pierpaolo Antonioli, che in materia di vetture a gasolio è molto qualificato: vanta titoli come quello di direttore esecutivo a livello mondiale per lo sviluppo del diesel del carmaker americano General Motors; nonché Amministratore Delegato di General Motors Propulsion System, la società del gruppo Gm che a Torino fa ricerca su questa motorizzazione per conto di tutto il colosso americano, in tutto il mondo. E non è certo un caso che questa società abbia sede a Torino, in Italia, dove sostanzialmente è stato fatto il maggior sviluppo e sono state introdotte le maggiori innovazioni su questa motorizzazione, che ancora adesso dà lavoro a ben 150mila persone. E che per assurde mode ideologiche (in realtà le ultimissime generazioni di motori diesel inquinano a livelli sostanzialmente insignificanti, con un impatto ambientale nettamente inferiore alle elettriche) viene “suicidato”. Mode ideologiche che Industria Italiana contesta radicalmente, argomentando in diversi articoli che potete trovare qui, qui, qui. Il motivo dell’esortazione di Antonioli – che ricopre anche il ruolo di vice presidente dell’Unione Industriale Torino – è presto detto: è vero che nel Vecchio Continente si assiste ad una flessione delle vendite di auto diesel; ma è presto per calare il sipario sui fornitori di una tecnologia al centro dell’industria automobilistica Made in Italy.







Una chance c’è, ma bisogna fare in fretta. Il calo si accentuerà in alcuni Paesi, soprattutto europei; ma la produzione mondiale di auto aumenterà. E nei Paesi emergenti –  in particolare in contesti non metropolitani e in territori poco urbanizzati, lì dove è difficile realizzare reti infrastrutturali green – i motori a combustione interna resisteranno alla concorrenza dell’elettrico per decenni, forse anche per 30 o 40 anni. Dunque, per Antonioli più i componentisti sono internazionalizzati, più possibilità hanno di superare il momento. Occorrono strategie che favoriscano i consorzi di fornitori, perché possano servire carmaker operativi in aree geografiche distanti e diverse. Si deve fare massa critica, per rimanere a galla. Ma entriamo direttamente nel merito parlando direttamente con Antonioli.

Pierpaolo Antonioli, amministratore delegato di General Motors propulsion system e vice presidente Unione Industriale Torino

Secondo le proiezioni della società di management consulting AlixPartners, nel 2030 le auto a motore diesel quasi scompariranno in Europa; meno intaccata sarà la posizione dei mezzi pesanti con questo tipo di propulsione. Qual è, secondo lei, il futuro del diesel a livello globale?

«Com’è noto, sul tema c’è un po’ di confusione. Alcuni carmakers, per esempio Toyota, come riportato in alcuni articoli, affermano che il diesel è morto; tuttavia, continua a produrlo per i Suv diretti in Asia. Altri invece, come Bmw, dicono che il motore a gasolio continuerà a svolgere un ruolo importante per i prossimi 20 anni. Ci sono opinioni contrastanti, che rimbalzano negli articoli dei quotidiani economici. Per alcuni l’elettrico finirà per scalzare completamente il diesel; ma altri mettono in discussione la ragione di base per cui ciò dovrebbe accadere, e cioè che il primo sia più ecologico del secondo. E in effetti si tratta di una motivazione discutibile, se si considera l’intero ciclo, dalla produzione dell’energia sino allo smaltimento o al riciclo delle scorie al litio. In realtà io penso che in alcune aree geografiche il diesel continuerà ad essere protagonista per un lungo periodo, e cioè per altri 30 o 40 anni».

Come sarà distribuita, geograficamente, la flessione del diesel?

«La posizione di General Motors è chiara: globalmente, i carmaker orienteranno la produzione verso un propulsore pulito ed elettrico. Ma questa soluzione non sarà ottimale in tutti i contesti. Lo sarà in Cina ma, restando in Asia, non in India, Tailandia e Indonesia.  E non lo sarà, nell’immediato, neppure in Australia, in Africa e in quasi tutti gli Stati del Sudamerica, dove i motori a combustione continueranno a calcare la scena. Alla fine, lo sarà in Europa; ma negli Usa non a tutti i consumatori piace l’elettrico. Pensare che i motori a combustione interna spariscano dal pianeta da un momento all’altro è pura illusione».

E perché in alcuni Paesi le vendite di auto diesel subiranno una forte contrazione e in altri no?

«L’elettrico si affermerà in città, o comunque nei contesti metropolitani. Con piccole vetture. E in Paesi abbastanza avanzati da realizzare importanti infrastrutture. Nelle regioni rurali, nei trasporti extraurbani, e nei Paesi con enormi spazi e scarsa densità abitativa, l’elettrico faticherà ad imporsi. Per un certo periodo, le strade di queste parti del mondo saranno percorse da macchine a motori a combustione interna di ultima generazione, e da auto ibride. È probabile che si svilupperà la tecnologia all’idrogeno, in grado di accumulare energia come una batteria».

Headquarters Gm a Detroit

Il diesel è sotto accusa dal 2015,  dallo scandalo del software della Volkswagen per aggirare le normative sulle emissioni. Da allora è stato oggetto di un ostracismo globalizzato. Il cambio di paradigma verso l’elettrico è stato influenzato dal fatto che così si rimettono le carte in gioco, che si inventa un’industria parallela? La vicenda ha avvantaggiato gli Usa, che avevano perso la guerra dell’auto con la Germania?

«A mio avviso, non è esatto affermare che sia “colpa” degli Usa. È una vicenda nata negli Stati Uniti, ma lì, dopo il clamore dello scandalo, la questione si era ridimensionata una volta trovati i “colpevoli” e una volta pagate le multe. Ora a Torino stiamo sviluppando un motore diesel 3 litri per sei cilindri Duramax: è un diesel, ed è diretto al mercato americano. È il nostro propulsore di punta per gli Usa. Anche Ford e Chrysler stanno progettando motori simili, sempre per gli Stati Uniti. Qui in Europa, per motivi politici, si è volutamente interpretata male la vicenda americana: sul banco degli imputati è finita la tecnologia diesel. E poi la cosa è sfuggita di mano ai detrattori del gasolio, tanto che sono stati danneggiati i produttori del Vecchio Continente: della Germania, della Francia e dell’Italia. E anche i componentisti hanno passato i guai».

Utilizzo del motore diesel (3.0 L) sul Chevrolet Silverado

Dunque, chi ha tratto vantaggio da questo movimento?

«Si è fatto il gioco della Cina. Che non aveva competenza nel diesel, e infatti inseguiva l’Europa in questa tecnologia. I cinesi hanno subito spinto sull’elettrico e hanno posto limiti sul diesel. Il primo è un motore molto più semplice; e poi la Cina dispone di notevoli riserve di litio, la materia prima per le batterie, che a loro volta sono il cuore dei motori green. Sul litio, sono all’avanguardia. In sintesi, i cinesi hanno messo al bando la nostra tecnologia, mentre gli europei aprivano loro un mercato prima impermeabile. È stato un grosso boomerang per il Vecchio Continente. Gli Usa, invece, giocano un’altra partita: parlano di elettrico, ma producono motori a combustione interna puliti, avanzati».

Sì, ma perché l’Europa ha preso di mira il diesel, visto quanto conta per i produttori tedeschi, francesi e italiani?

«Perché nel Regno Unito si è portato avanti il referendum sulla Brexit, e ora da quelle parti si piange? È il frutto di posizioni populistiche, generate dallo sconforto, da politiche incapaci di redistribuire la ricchezza. Il populismo ha portato il Vecchio Continente a danneggiarsi da solo sul diesel, ad autopunirsi. Si tratta di fenomeni che, una volta avviati, sono incontrollabili».

Una centralina Bosch per il controllo delle emissioni diesel

In Italia il governo ha inventato il ticket eco bonus-ecotassa. Qual è la sua posizione in materia?

«Ne ho due, distinte. Come membro di Confindustria posso dire che non ha avuto e non ha alcun senso una norma che favorisce solo l’elettrico in un momento in cui la nostra industria non era pronta ad abbandonare il motore a combustione interna. Sarebbe stato meglio coinvolgere le associazioni di categoria. Come responsabile dello sviluppo Diesel per Gm, e come senior automotive executive, devo sottolineare che il ticket premia le vetture a bassa emissione di anidride carbonica, e quindi spinge a realizzare soluzioni di motopropulsori puliti, inclusi i diesel; e poi avvantaggia le vetture ibride, che sono già una realtà. In tutti i casi, il governo avrebbe fatto bene a cercare il dialogo con Confindustria, perché si poteva fare molto di meglio».

Cosa dovrebbe fare il governo?

«Dovrebbe pensare al trasporto a 360°, che riguarda le metropolitane, i treni, i droni, il car sharing, la mobilità multimodale e tanto altro. È un campo in cui la mobilità e la logistica si integrano. E dove intelligenza artificiale, big data, blockchain e connettività rappresentano un valore aggiunto. Stiamo parlando di mettere insieme settori che valgono una parte consistente del Pil italiano. Trascurare questo genere di trasporto è un grave errore, anche dal punto di vista industriale. È necessario che sul punto il governo attivi un tavolo di confronto con Confindustria. Per la verità, noi lo abbiamo già chiesto al governo, ma stiamo ancora aspettando la convocazione. Ci sono tante cose intelligenti da fare in un mondo in cui, ad esempio, la mobilità in auto passa da un concetto proprietario alla condivisione. La cosa stupida, invece, è bandire il diesel e la benzina».

Mary Barra, General Motors Chairman and ceo. (Photo by Steve Fecht for General Motors)

Il diesel è al centro dell’industria automobilistica Made in Italy. Qui ci sono tante eccellenze, ed è forse questa una delle motivazioni della scelta di Torino per il Centro di Ingegneria di Torino. Ma l’attuale situazione sta danneggiando anche i fornitori. Che cosa devono fare?

«Il fornitori italiani per lungo tempo non hanno avuto un approccio globale, ma si sono sempre riferiti al mercato interno. Ora, sappiamo che la penetrazione del diesel sul mercato globale calerà nei prossimi anni dall’attuale 21% di quota al 18%; ma aumenteranno i volumi, perché i Paesi in via di sviluppo chiedono nuove macchine. Insomma, se un fornitore è globalizzato, può cavarsela. Ma deve esserlo veramente. In futuro, assisteremo ad accorpamenti fra fornitori, per coprire diverse aree geografiche. La politica deve assolutamente favorire queste aggregazioni, questi consorzi. Nessuno ce la può fare da solo».

Quali sono esattamente le strategie di Gm sul diesel? L’intento di Gm è quello affermato dal Ceo Mary Barra, che ha ribadito l’intenzione della casa di Detroit di costruire solo auto elettriche in futuro?

«La visione è quella: zero incidenti, zero congestione, zero inquinamento. Ma tra la situazione attuale e quella che coincide con la visione, ci sono tanti step. Per ora, lavoriamo nello sviluppo di motori a combustione interna puliti; lavoriamo sull’elettrico, per le grandi città; e sulle celle a combustibile di idrogeno. Quanto a queste ultime, la tecnologia esiste già. Produce acqua, dopo la combinazione con l’ossigeno.  Attualmente, però, è diffusa solo nel settore aeronautico. Per le auto, costa troppo. Su scala industriale, per queste sarà disponibile solo tra venti o trent’anni».














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