Ibm: l’intelligenza artificiale per supply chain oltre pandemia e imprevisti

di Alberto Falchi ♦︎ Prevedere la domanda e avere visibilità su ogni asset, così da gestire in maniera più efficiente la catena di distribuzione e approvvigionamento. È l’obiettivo della multinazionale americana, centrato grazie al kit che controlla i flussi di entrata e uscita dalle aziende tramite AI e analytics. I casi Telstra e Southern Company Services

La logica della “remediation”, del tappare le falle quando il problema si è già manifestato, è oggi inadeguata per gestire la supply chain e la pandemia lo ha evidenziato bene. Quando arriva l’imprevisto tutti i dati raccolti fino a quel momento diventano improvvisamente poco utili e bisogna ragionare sulla base di nuove informazioni per garantire continuità al business. Gli strumenti tradizionali in queste situazioni si rivelano inefficaci e non è un caso che le aziende che meglio sono riuscite a gestire l’impatto della pandemia siano state quelle che si affidavano da tempo a soluzioni basati sull’AI.

Grazie a sistemi intelligenti, queste aziende hanno potuto vantare una visibilità completa su quanto stava accadendo, anticipando l’evolversi della situazione grazie ad algoritmi di machine learning che suggerivano – letteralmente – le azioni da intraprendere per rimodulare la produzione e adattarla ai nuovi ritmi. Se le soluzioni basate su AI fino a ora hanno garantito a chi le ha adottate un vantaggio competitivo, permettendo di ottimizzare i processi e aumentare la produzione, crisi come quella attuale ci fanno capire che d’ora in poi sarà sempre più difficile fare a meno dall’AI all’interno della supply chain.







 

Il Supply chain continuity support kit di Ibm per fronteggiare la crisi

Johnatan Wright, Global VP of Supply Chain Consulting di Ibm

Secondo Johnatan Wright, Global VP of Supply Chain Consulting di Ibm, i suoi clienti sanno bene cosa vogliono fare. Non hanno bisogno di risposte, ma di strumenti che gli diano un quadro preciso della situazione così da accelerare le decisioni. È per questo motivo che Ibm ha offerto ai clienti un Supply chain continuity support kit, un set di strumenti in grado di aiutarli a prevedere la domanda, avere visibilità su ogni asset e gestire in maniera più efficiente la supply chain, correlando una quantità impressionante di dati «a livello di zip code», sottolinea Wright. Acquisendo dati sull’apertura delle scuole, sul numero effettivo di persone in lockdown, sulle condizioni climatiche, Ibm è stata in grado di offrire ai propri clienti un quadro preciso della domanda, sui picchi e sulle variazioni di richieste. Perché in alcuni casi non necessariamente gli ordini sono aumentati o crollati improvvisamente, ma si sono modificati.

Wright porta l’esempio di un cliente che ha visto un calo importante degli ordini di confezioni singole, contrastato da un altrettanto significativo incremento delle confezioni formati famiglia: adeguare velocemente il flusso di lavoro alle nuove richieste non è stato banale, ma l’AI e analytics molto precisi hanno dato un supporto importante per raggiungere uno stato che definisce temporary normal, al quale ne seguirà uno di new normal, perché le cose non torneranno come prima, nemmeno a emergenza finita. Viene spontaneo chiedersi quali vantaggi possano portare questi strumenti all’atto pratico. La risposta alla domanda arriva durante Think 2020, evento globale dedicato a partner, clienti e giornalisti che quest’anno si è svolto a distanza, sotto forma di webinar. Durante una sessione dedicata al mondo della supply chain sono intervenuti due clienti di Ibm: Telstra, la principale compagnia di telecomunicazioni australiana, e Southern Company Services, azienda che genera elettricità per 9 milioni di cittadini statunitensi.

Prima gli incendi, poi la pandemia. Ecco come l’australiana Telstra è riuscita a garantire la business continuity

Jon Young, Supply Chain Executive di Telstra, è fortemente convinto che il successo di business sia nelle mani di chi ci lavora e di come organizza i flussi di lavoro. È un sostenitore di un approccio agile in azienda, convinto che però la tecnologia svolga un ruolo chiave nel supportare persone e processi. Telstra si affida da circa un anno alle soluzioni di Ibm, che sono state di grande aiuto nel gestire una crisi iniziata ben prima della pandemia, con gli incendi che a dicembre hanno devastato l’Australia. Il successivo lockdown dovuto a Covid-19 ha peggiorato la situazione, dato che molti fornitori tier 2 e tier 3 dell’azienda si trovavano proprio a Wuhan e si è creata la necessità di trovare nuovi fornitori in tempi brevissimi sia per i materiali standard, sia per forniture che fino a quel momento non erano mai state prese in considerazione, a partire da mascherine e disinfettanti. «In poche settimane ci siamo trovati ad affrontare aspetti nuovi», spiega Young, «La control tower ha rappresentato un asset fondamentale che ha dato modo al team di acquisire tutti i dati relativi alla nostra supply chain e di poter collaborare con gli stakeholder così da prendere decisioni migliori su dove inviare le parti di ricambio e i materiali necessari a riparare i danni al nostro network. Non siamo in una situazione di business as usual, assolutamente no, ma pensiamo che i processi, la metodologia agile, sfruttare strumenti come la Cognitive control tower ci aiutino a prevenire i problemi invece che limitarci a reagire».

Ibm ha sviluppato una metodologia che si chiama Fast Start, un modulo di Sterling che grazie all’AI è in grado di offrire i primi risultati nell’arco di 90 giorni. Il suo punto di forza è riuscire a far leva su informazioni non strutturate, su dati che spesso nascono e muoiono nell’arco di un mese

Il fatto che Telstra avesse già integrato in azienda una serie di strumenti evoluti per avere visibilità e gestire le variazioni della domanda è stato fondamentale per riuscire a rimediare a tutti gli imprevisti che hanno riscontrato, ma come può reagire una realtà che deve iniziare adesso a usare queste soluzioni? Quanto tempo ci vuole a vederne i risultati? Non tantissimo, secondo Felice Petrignano, Sales Consultant and Ecosystem Leader Ibm Sterling Supply Chain Solutions. Ibm ha sviluppato una metodologia  che si chiama Fast Start, sperimentata per un modulo di Sterling per i clienti. Il suo punto di forza è riuscire a far leva su informazioni non strutturate, su dati che spesso nascono e muoiono nell’arco di un mese. Adottare la logica della remediation è inefficace in queste situazioni: porta a correre dietro ai problemi, a cercare di barcamenarsi in mezzo al caos di un sistema che non risponde più alle logiche del momento. Diventa importate ragionare in termini di prevenzione, anticipando i problemi e mitigandone gli effetti. Anche in questo caso sono i dati la chiave per il successo, ma alla base ci deve essere un’AI che sia in grado di semplificare la gestione dei flussi di informazioni fra le aziende, i partner e i clienti.

Dati che non sono più necessariamente quelli storici, ma che devono essere freschi e devono tenere conto di tutto quello che accade nel mondo e che potrebbe avere un impatto sulla supply chain. «Puoi leggere sui giornali che domani c’è uno sciopero, ma correlare quell’informazione a uno specifico ordine  e predire l’impatto che avrà sulla supply chain, anche in termini economici, non è fattibile con gli strumenti tradizionali». Di qui l’importanza di strumenti come la Cognitive control tower di IBM, che garantisce una completa visibilità orchestrando i dati sparsi attraverso differenti sistemi aziendali e offrendo risposte a domande complesse. IBM Sterling Supply Chain Business Assistant permette di farlo nella maniera più semplice possibile: tramite il linguaggio naturale. I sistemi possono essere interrogati senza dover apprendere complessi linguaggi, con domande essenziali come «Perché questi  ordini sono in ritardo?”», ottenendo risposte altrettanto comprensibili, tipo:

«Ho individuato le seguenti cause: l’ordine SSP1 è stato ritardato e raggiungerà il Nodo 1 solamente fra 15 giorni. C’è stato un picco di richieste per Item4 nella regione di Melbourne. Ecco alcuni suggerimenti:

1) Spedisci l’ordine dal Nodo 2, che ha un surplus di inventario

2) Ordina 1000 pezzi dal fornitore SUPP2

3) Qui puoi verificare le performance di SUPP2»

Secondo Petrignano l’emergenza dovuta al coronavirus darà un’ulteriore spinta all’adozione di soluzioni come la control tower anche in Italia, dove a lungo hanno regnato logiche regionali, ma che ora, con l’apertura verso l’e-commerce, deve fare i conti con quello che accade al di fuori del Paese «Il 65% di quello che vendiamo dipende dagli acquisti, dato che siamo un paese che trasforma e il 71% dei responsabili della supply chain ha realizzato che è questa il fattore critico per la soddisfazione del cliente». E i problemi non arrivano solo da situazioni globali come quella attuale nel settore della supply chain. Il Covid-19 ha avuto un grande impatto emotivo perché coinvolge l’interno pianeta, nessuno escluso, ma ci sono una miriade di eventi, anche solo locali, che possono avere un forte impatto sulla supply chain, come l’eruzione del vulcano in Islanda avvenuta nel 2010. Sopratutto i tanti piccoli problemi quotidiani il cui effetto potrebbe essere prevenuto o mitigato: problemi finanziari di un subfornitore, eventi climatici che bloccano un aeroporto commerciale, o un incidente in una fabbrica…tante informazioni che l’AI può trasformare in risparmi operativi e salvate vendite.

La Cognitive control tower di Ibm garantisce una completa visibilità orchestrando i dati sparsi attraverso differenti sistemi aziendali e offrendo risposte a domande complesse

La produzione energetica ai tempi del coronavirus: come Southern Company Services ha garantito il servizio ai suoi 9 milioni di clienti

Southern Company Services è un fornitore di energia che serve 9 milioni di clienti negli Stati Uniti ed è responsabile della realizzazione dell’unica centrale nucleare attualmente in costruzione sul suolo statunitense. Joe Harvey, Vice President Technology Enterprise Technology Solutions dell’azienda, è intervenuto al webinar per raccontare come Ibm abbia avuto un ruolo importante nel permettere a Southern Company di erogare il servizio senza interruzioni anche durante l’emergenza. La chiave, secondo Harvey, è stata l’adozione di Maximo, un sistema di asset management nato nel 1985 e acquisito nel 2005 da Ibm (che per 26 anni di seguito è stata nominata da Gartner leader per il software di Enterprise Asset Management). Maximo offre alle aziende una serie di strumenti basati su AI e IoT per operare su asset fisici, indipendentemente da dove si trovano, estendendone il ciclo di vita, riducendo costi e periodi di inattività e offrendo visibilità su ogni aspetto del business. «Ci stiamo preparando a situazioni come questa da 10 anni», dichiara Harvey, «lavorando con Ibm per implementare Maximo in maniera che sia “always on”, affidabile, che sia pronto a gestire i nostri impianti per la generazione di energia».

I risultati sono stati più che soddisfacenti, tanto che il prossimo passo di Southern Company sarà quello di sfruttare il potenziale di Maximo per gestire la nuova centrale nucleare che l’azienda sta costruendo sul suolo americano: il primo reattore dovrebbe entrare in funzione già nel 2021, mentre un secondo sarà operativo l’anno successivo. «Usiamo Maximo per gestire la fase di costruzione e continueremo a usarlo per mantenere e gestire queste centrali man mano che proseguiamo col progetto. Maximo ci sta aiutando a realizzare uno dei nostri progetti ad elevata priorità». Harvey ha infine sottolineato come stiano lavorando sull’estendere l’uso di Maximo e farlo diventare lo strumento standard per tutte le attività di Southern Company. Maximo è una soluzione adottata anche da più di una realtà italiana. Ludovica Scarfì, Watson IoT Sales Manager di Ibm, ci conferma che le aziende italiane sono arrivate con un po’ in ritardo alle soluzioni di asset management basate su AI, spesso perché restrizioni del budget suggerivano di dare priorità ad altri aspetti, ma ora si stanno muovendo molto più velocemente, anche da prima che la pandemia desse uno scossone all’intero settore.

Maximo, sistema di asset management nato nel 1985 e acquisito nel 2005 da Ibm (che per 26 anni di seguito è stata nominata da Gartner leader per il software di Enterprise Asset Management), offre alle aziende una serie di strumenti basati su AI e IoT per operare su asset fisici, indipendentemente da dove si trovano, estendendone il ciclo di vita, riducendo costi e periodi di inattività e offrendo visibilità su ogni aspetto del business

Un esempio è l’adozione di Maximo da parte di Autostrade per l’Italia, che lo sta utilizzando da tempo per la manutenzione dei ponti (prima del crollo a Genova, sottolinea la Scarfi), mentre A2A la integra a tutto tondo, sfruttando tutti i moduli aggiuntivi. In particolare, quelli relativi all’health & safety e, più recentemente, il worker insights, una suite a supporto dei lavoratori remoti sia tramite assistenti virtuali, sia con il supporto a distanza di persone in carne e ossa, attraverso l’augmented reality. L’emergenza dovuta a Covid-19 sta avvicinando nuove aziende a Maximo, così come una spinta è arrivata dalle esigenze di compliance e regulation, che hanno dato lo spunto per adottare questo tipo di tecnologie, o parte di esse. Non è infatti necessario integrare l’intera soluzione di Ibm in azienda, è possibile fare affidamento solo sui moduli selezionati, che possono comunicare coi sistemi già presenti in azienda, ad esempio Sap.

 

La supply chain non può più fare a meno dell’AI

La pandemia ha messo a nudo la fragilità della supply chain, mostrando come il tradizionale approccio basato su logiche di remediation non sia in grado di rispondere adeguatamente a queste emergenze. Le imprese che già avevano adottato soluzioni evolute, ragionando in ottica predittiva, sono riuscite ad accusare meno il duro impatto, riorganizzandosi velocemente e adeguando l’intera supply chain alle nuove esigenze. Chi è rimasto indietro, invece, si è trovato in balia di dati storici praticamente inutili in questo momento e senza la visibilità necessaria per reagire in tempi brevi alle repentine variazioni. Terminato questo difficile periodo, però, non ci si può sedere e tornare al precedente modo di fare business. Si spera che per lungo tempo non si verifichino più eventi di tale portata, ma in un mercato sempre più globale è necessario farsi trovare pronti anche a problematiche locali, più contenute, ma in ogni caso in grado di innescare problemi alla supply chain. L’AI può essere un grande alleato nel mitigare gli imprevisti, a patto che l’organizzazione delle aziende cambi mentalità, smettendo di correre dietro ai problemi quando si verificano, ma anticipandoli. Per farlo, è utile applicare queste logiche non solo ai processi critici, ma estendere l’uso dell’AI a tutti i processi aziendali, dalla gestione degli asset fisici a quella degli ordini. Spesso, durante le situazioni di normalità, c’è una tendenza a considerare alcuni intoppi come inevitabili, senza considerare il fatto che un sistema basato sull’intelligenza artificiale, magari interrogabile con linguaggio naturale, possa aiutare l’azienda ad anticiparli prima che si manifestino, così da snellire l’intera gestione.

Il mercato supply chain finance in Italia. Fonte Osservatorio Supply chain Politecnico di Milano

Oggi è chiaro che i dati rappresentano il vero patrimonio dell’azienda, ma limitarsi a raccoglierli, magari solo su certi processi, non basta. Per garantirsi un vantaggio competitivo è necessario affidarsi a soluzioni in grado di analizzare dati e correlarli velocemente, per fornire risposte in tempo reale. Solo le AI oggi sono in grado di reagire in maniera tanto tempestiva, trovando soluzioni alternative che con gli approcci tradizionali richiederebbero tempo e risorse, che possono essere meglio impiegate all’interno della supply chain. Queste tecnologie sono state la ciliegina sulla torta delle realtà più lungimiranti, ma i recenti eventi ci stanno mostrando come la resilienza si basi non solo sulla capacità di reagire ma, soprattutto, su quella di prevedere quello che sta per succedere, prima che gli effetti si manifestino con tutta la loro forza. Adottarle, però, richiede un importante lavoro di pianificazione, che consenta di individuare le tecnologie più adatte, che devono essere scalabili e a prova di futuro: scegliendo la soluzione sbagliata, si corre il rischio di legarsi a una tecnologia che col tempo può rivelarsi inefficace, troppo costosa o poco versatile e, quindi, difficile da estendere al business nella sua interezza.














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