Ibm: come Watson reinventa il business

di Marco de’ Francesco ♦ L’AI di Big Blue declinata a misura delle necessità delle Pmi della manifattura industriale: dai servizi finanziari, alla salute, all’ Iot. Le case histories di Credito Valtellinese e Barilla. Nella otto giorni milanese Think,  il punto sullo stato dell’arte della tecnologia digitale. Parla Enrico Cereda

Oggi un’azienda che non abbia una strategia digitale per il proprio business corre il rischio di scomparire dal mercato. Occorre dunque abbattere le barriere sostanziali tra business e IT, realizzando una cerniera tra le due funzioni, entrambe di valore strategico. Va incontro a questa necessità la specializzazione per segmenti di mercato di piattaforme AI per il business come Watson di Ibm: la focalizzazione su elementi caratteristici di comparto consente all’IT di saperne di più di business, e al business di capirne un po’ di più di business. Si generano, cioè, competenze interdisciplinari tra di due mondi, tradizionalmente separati. Ed emerge così il vero valore aggiunto della digitalizzazione per le aziende. Di qui, l’avanzato processo di specializzazione di Watson. Ne abbiamo parlato, nel contesto della otto giorni (5-12 giugno) milanese Think di IBM – evento dedicato allo stato dell’arte della tecnologia digitale con esponenti delle istituzioni, dell’industria e delle professioni – con Enrico Cereda, presidente e amministratore delegato di Ibm Italia. Sempre nel corso dell’evento, peraltro, sono stati consegnati i Thinker Award; uno, per la prima volta relativo all’Etica, è andato al professor Luciano Floridi, docente di filosofia e di etica dell’informazione all’Università di Oxford.

 







Ginny Rometti, CEO IBM
Ginny Rometti, CEO IBM

Watson sulla strada della specializzazione

La piattaforma AI per il business Watson è già stata trattata da Industria Italiana in più occasioni, per esempio qui. In generale, l’idea di base è che l’intelligenza artificiale costituisca una leva competitiva importante per l’azienda, che grazie a strumenti come Watson «può saperne di più utilizzando meno dati». Di per sé, l’azienda può integrare l’AI nei processi aziendali, ottimizzando i compiti che già svolge e consentendo nuovi modi di fare impresa; arricchendo le interazioni, per esempio, o anticipando e prevedendo i guasti. Ma qualcosa sta cambiando. «Rispetto a qualche anno fa – ha affermato Cereda – stiamo focalizzando il prodotto sulle esigenze di singoli comparti industriali. Per esempio, ora c’è Watson Financial Services (che utilizza la combinazione di tecnologia e conoscenza del dominio per aiutare le aziende a gestire regolamenti nuovi e in evoluzione) studiato per gli istituti di credito; ma anche Watson Health (che offre, ricorda l’azienda, «soluzioni complete che coprono l’intero ciclo di vita di un farmaco: dalla velocizzazione della scoperta alla trasformazione dello sviluppo clinico e il monitoraggio della sicurezza del farmaco stesso; dalla conoscenza degli insight di mercato alla comunicazione efficace del valore clinico per il mondo reale» e altro); o Watson IoT, (che però serve più comparti, dall’automotive all’elettronica, dall’energia alle assicurazioni, dal manufacturing al retail ad altro) i cui headquarter sono a Monaco di Baviera, a mezz’ora di volo da Milano. Abbiamo portato centinaia di clienti, a Monaco, per mostrare loro le potenzialità dell’Iot nel manufacturing.» Comunque sia, sono state realizzate specializzazioni di Watson anche per l’advertising, per il customer engagement, per l’education, per i media, per il talent e per il work.

 

IBM's Global Center for Watson IoT in Munich, Germanyjpg
Il Global Center for Watson IoT di Ibm a Monaco

 

Solo una forte specializzazione consente di abbattere i muri tra IT e Business, operazione che costituisce, secondo Ibm, il vero valore aggiunto della digitalizzazione. «Questo lavoro su Watson fa la differenza – ha continuato Cereda -. In azienda attualmente da una parte ci sono il Cio, i tecnici e gli informatici; dall’altra coloro che si occupano di business, finance e marketing. Questi due mondi, storicamente separati, vanno in qualche modo “abbinati”. Ora, specializzando le nostre soluzioni per comparto industriale possiamo consentire a chi si occupa di IT di capire un po’ di più di business, e a chi si occupa di business di comprendere qualcosa di IT. D’altra parte, solo mettendo assieme questi due mondi si riesce a liberare il vero valore che la digitalizzazione può portare. Anche perché non è immaginabile che si continui con le pratiche del recente passato, quando l’IT lanciava progetti di cui il business non era a conoscenza e viceversa. Capita anche il contrario, con evidenti problemi quando si tratta di armonizzare vecchie e nuove applicazioni.

La necessità di una cultura diversa

A questo punto la domanda sorge spontanea: l’operazione su Watson basta a realizzare l’incrocio tra IT e Business? «No – ha continuato Cereda -: noi facciamo la nostra parte, ma è evidente che occorre una cultura nuova e diversa. Nei board delle aziende statunitensi stanno entrando sempre più persone che capiscono di IT; non tecnici, ma quelli che nella loro carriera si sono creati una base di competenze in materia. Ora, non mi pare che in Italia stia accadendo lo stesso. Eppure, avere nei board, dove si decide con progetti e piani industriali il futuro dell’azienda, persone competenti in business ma anche un po’ in informatica e in intelligenza artificiale, potrebbe essere la chiave di volta».

 

Enrico Cereda, presidente e amministratore delegato di Ibm Italia all’ IbmThink Milano

Il processo di specializzazione di Watson è destinato a continuare

Cereda la mette così: «Ibm ha investito miliardi di dollari in Watson, e ogni anno spende sei miliardi di dollari in R&D, soprattutto quanto a tematiche cognitive. È un processo destinato a non finire mai, e per un motivo semplice: pensiamo che al centro della rivoluzione tecnologica in corso ci sia l’uomo; mentre ciò che emerge è che la mente umana non è più in grado di elaborare una tale mole di dati generati dai processi e dai prodotti. Dunque, abbiamo bisogno di sistemi come Watson che ci pongano nelle condizioni di vagliare tutte queste informazioni, pur nella consapevolezza che l’ultima parola spetti all’uomo. Non deve mai mancare il pensiero creativo umano».

Cosa significa Watson per le imprese? Esperienza e progettualità

Secondo Cereda, Watson è qualificato da una certa universalità. «L’intelligenza aumentata e i sistemi cognitivi – ha affermato – sono applicabili a qualsiasi industria, perché l’ IT e la digitalizzazione possono portare valore in qualsiasi comparto». E poi, Watson è frutto di una lunga esperienza. «Una circostanza che distingue Watson da altri sistemi simili è che non ne parliamo da 18 mesi, ma da diversi anni. Pensiamo di vantare una competenza significativa in queste tecnologie. E poi ci sono altre due considerazioni di rilievo. Anzitutto, Ibm dispone di una base clienti di rilievo: ciò significa che conosciamo le esigenze di singole imprese e che, se presentiamo un prodotto, lo facciamo in risposta a necessità reali dell’azienda, portando valore aggiunto. E poi, grazie alla nostra organizzazione di global business services, siamo in grado di realizzare interi progetti. Da una parte, cioè disponiamo di tecnologia, dall’altra di capacità progettuale – e ciò ci consente di fornire una soluzione complessiva all’azienda». Peraltro, secondo Cereda e in riferimento alla competizione tra Big, «c’è spazio per tutti». «In questo momento il mercato ha tali potenzialità – ha affermato – che non è neppure necessario farci la guerra tra di noi. Possiamo pensare a far crescere insieme il Paese».

 

Stilizzazione grafica di chatbot

Tutti i settori industriali sono interessati dalla digitalizzazione, e Watson è applicato su larga scala

Watson è utilizzato, ad esempio, dal Credito Valtellinese. La multinazionale la spiega così: «La banca (Creval) ha realizzato “Ambrogio“, un consulente virtuale powered by Watson, che supporta in modo mirato ed efficace i colleghi di sportello nella loro operatività e interazione con i clienti. Questa iniziativa si inserisce in un percorso di trasformazione di Creval verso la “Retail Bank of the future“, focalizzata su servizi di alta qualità ed esperienze uniche per i propri clienti, sia nel mondo digitale che in quello fisico delle filiali. La soluzione realizzata ha abilitato un cambio significativo del modello di servizio, consentendo di raggiungere importanti risultati in termini di maggiori volumi di contatto, estensione degli orari del servizio e riduzione delle attività “human-centric” a basso valore.

Ambrogio powered by Watson è l’unico punto di accesso per l’assistenza, è facile da utilizzare e risponde con un alto livello di affidabilità alle domande dei colleghi di filiale. L’assistente virtuale non è un semplice “chatbot” addestrato su uno specifico argomento, ma il “collega” virtuale a cui rivolgersi per qualsiasi domanda, completamente integrato nella catena della conoscenza di Creval. Ad oggi Ambrogio gestisce tutti e quattordici i domini di conoscenza della banca, con circa un migliaio di risposte autonomamente indirizzate dal sistema».

 

Esempio di blockchain Ibm applicata alla filiera alimentare

 

Un altro caso importante, e assai diverso per settore, è quello di Barilla. Qui invece si tratta di realizzare una tracciatura “dal campo alla tavola” grazie alla tecnologia blockchain. Il progetto, iniziato con un singolo produttore di basilico, è poi stato esteso a tutti i produttori del gruppo alimentare. «Il tema della tracciabilità – ha affermato peraltro Alessandra Ardrizzoia, digital engagement senior manager di Barilla, proprio nel corso di Think Milano – così come quello della trasparenza è importante per noi, ma soprattutto per i nostri consumatori, che devono riporre fiducia su quanto dichiariamo in termini di provenienza dei prodotti. Ora, in un certo senso, si può fornire la “prova” di ciò che viene attestato». Il fatto è che l’intelligenza artificiale trova una applicazione trasversale in tutti i comparti industriali. «C’è un ambiente che è rimasto un po’ indietro – afferma Cereda – nonostante l’importante lavoro del commissario Diego Piacentini: è quello della Pubblica Amministrazione. Le potenzialità dell’intelligenza artificiale e delle nuove tecnologie nella PA sono pressoché infinite. E i vantaggi che i cittadini potrebbero trarre dall’implementazione di queste sono enormi, in termini di tempo e di spesa. Se si potesse tagliare, ad esempio, la spesa sanitaria del 5%, il risparmio sarebbe miliardario».

 

Il Commissario Straordinario per lo Sviluppo dell’Agenda Digitale Diego Piacentini in collegamento a Think Milano. Secondo Enrico Cereda Le potenzialità dell’intelligenza artificiale e delle nuove tecnologie nella PA sono pressoché infinite ( photo by Marco de’ Francesco )

 

Quanto conta il Belpaese per Ibm. Un mercato strategico per numero di Pmi

«L’Italia è sempre stato un mercato interessante per Ibm – ha affermato Cereda – con una quota a livello globale tra l’11% e il 12%. È un mercato che tradizionalmente si è sviluppato anche grazie al successo, nelle Pmi manifatturiere, di AS/400(un minicomputer sviluppato dall’ Ibm per usi prevalentemente aziendali, come supporto del sistema informativo gestionale. Nasce nel giugno 1988 come successore del system/38 e dopo oltre 25 anni è ancora in produzione; il nome commerciale è stato cambiato in iSeries nel 2000 in System i nel 2004. Oggi si chiama semplicemente I). Se invece guardiamo ai giorni nostri, tre anni fa, esattamente il 16 giugno 2015, abbiamo inaugurato qui in Italia un Cloud data-center; e ancora oggi siamo ancora l’unica multinazionale che ha un impianto del genere qui in Italia. Quindi, quando la corporation ha deciso di fare un investimento in Europa ha pensato al parco delle Pmi e quindi all’Italia. Ne siamo molto orgogliosi, anche perché era previsto un playoff in 4 anni, e invece dopo un po’ di mesi la capacità dell’impianto è stata ampliata proprio perché abbiamo lo abbiamo saturato. E, a parte tre grandi aziende, la maggior parte degli utenti sono Pmi».

 

Il Cloud Data Center Ibm di Settimo MIlanese

La strategia di IBM per le Pmi italiane

Va anzitutto ricordato che Ibm ha in Italia 13 sedi e 5.500 dipendenti. «Il nostro go-to-market è di raggiungere le Pmi grazie alla nostra forza vendita. Sia diretta che indiretta. Proprio in questi giorni si è tenuto l’evento annuale dei partner, che sono intervenuti in quasi 300. Alcuni di loro stanno facendo la differenza sulle tematiche digitalizzazione, IoT, blockchain e AI e stanno utilizzando Watson per portare valore ai clienti». Si fa molta formazione. «Diventare partner Ibm – termina Cereda – significa aderire a un programma che prevede certificazioni sulle nostre soluzioni. I nostri sono partner applicativi esperti sino dai tempi di AS/400».

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I premi all’etica e all’ innovazione di Ibm

Dura otto giorni quest’anno (5-12 giugno) Think di Ibm, «l’evento disegnato per tenersi al passo con la trasformazione», e cioè quello dedicato allo stato dell’arte della tecnologia digitale con esponenti delle istituzioni, dell’industria e delle professioni. Secondo Cereda «l’obiettivo è mettere a fattor comune riflessioni sul presente e sul futuro dell’innovazione, non dimenticando aspetti come l’etica e la responsabilità nell’utilizzo dei dati che, per esempio, alimentano lo sviluppo dell’intelligenza artificiale». Pertanto l’azienda rende noto che per la prima volta in oltre cento anni di storia, Ibm ha assegnato i Thinker Award a quanti, in rapporto alla tecnologia, fanno della centralità dell’uomo la cifra del proprio pensiero e del proprio operato.

 

Luciano Floridi, premio Thinker Award per l’Etica, in collegamento con Maurizio Decollanz ed Enrico Cereda

 

Il Thinker Award per l’Etica, in particolare, è andato al professor Luciano Floridi, docente di filosofia e di etica dell’informazione all’Università di Oxford. «È un riconoscimento sfidante – ha dichiarato Luciano Floridi – perché esorta il mondo dell’Accademia a dedicare ancora più attenzione al tema dell’innovazione e delle sue potenzialità, anche attraverso una stretta collaborazione con il mondo delle imprese». Secondo Maurizio Decollanz, direttore comunicazione di IBM Italia «Una tecnologia che mette al centro le capacità umane e quanto esprimono deve essere anche in grado di attribuire il giusto valore ai pensatori. Riconoscere a Luciano Floridi, un filosofo, il contributo profuso per indirizzare al meglio l’innovazione rappresenta per noi, oggi, qualcosa di imprescindibile».

 

I premiati e i protagonisti del dibattito a Ibm Think Milano

 

Il premio, ispirato al Penseur di Rodin, ha trovato anche altre declinazioni. I Thinker Award sono infatti andati al Sindaco di Milano Beppe Sala (categoria ‘Citizenship’), al Commissario Straordinario per lo Sviluppo dell’Agenda Digitale Diego Piacentini (‘Forward’), al direttore dell’Istituto Italiano di Tecnologia Roberto Cingolani (‘Goodtech’), al Ceo del Gruppo Credito Valtellinese Mauro Selvetti (‘Business’) e al giornalista Andrea Frollà di Repubblica Affari&Finanza (‘Narrative’). All’Agorà hanno preso la parola pensatori e innovatori di grande spessore: dal direttore generale informazione di Mediaset Mauro Crippa ai direttore di testata Luciano Fontana (Corriere della Sera), Jacopo Loredan (Focus) e Andrea Cabrini (Class Cnbc), dal Ceo di Digital 360 Andrea Rangone all’AI Ethics Global Leader di IBM e docente di Computer Science dell’Università di Padova Francesca Rossi, senza dimenticare firme di peso come Andrea Bignami (Sky News Italia), Pierangelo Soldavini (Il Sole 24Ore) e Luigi Gia (la Repubblica Affari&Finanza).

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